1° Ottobre 1949
La fondazione della Repubblica popolare cinese: grande impresa storica di Mao
I revisionisti dopo la sua scomparsa l'hanno trasformata in un paese socialimperialista

 
 
“Il presidente del governo popolare centrale della Repubblica Popolare Cinese, Mao Zedong, ha proclamato oggi nella capitale della Nuova Cina il governo popolare centrale della RPC. La proclamazione è avvenuta durante le celebrazioni tenutesi a Pechino per la costituzione del governo popolare centrale della Repubblica Popolare Cinese. Alla cerimonia, svoltasi davanti alla Porta della Pace Celeste, hanno partecipato tutti i deputati della Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese e i lavoratori delle fabbriche, gli insegnanti e gli studenti delle scuole, il personale dei vari organi, i cittadini, i contadini dei sobborghi e la guarnigione della capitale, per un totale di 300 mila persone. La tribuna delle autorità è stata allestita sul torrione sovrastante la Porta della Pace Celeste, di fronte alla Piazza del Popolo, affollata ordinatamente delle masse popolari e gremita di bandiere rosse sventolanti. Alla comparsa del presidente Mao Zedong sulla tribuna, la piazza è prorotta in applausi e ovazioni.”
Così apriva l’articolo della Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale, del Primo Ottobre 1949, pubblicato dal “Quotidiano del Popolo” in prima pagina nell’edizione del giorno successivo.
Settanta anni fa la proclamazione della Repubblica Popolare di Cina, segnò un passo indelebile per la storia del proletariato cinese e per la storia del movimento comunista di allora di tutto il mondo e le parole di Mao dalla tribuna di piazza Tienanmen sono la migliore fotografia di quel momento, così importante per come era maturato, ma altrettanto per ciò che avrebbe significato in futuro; un nuovo mondo da costruire di pari passo all’Unione Sovietica guidata da Stalin, primo paese a liberarsi dalle catene dello zar, del capitalismo e dell’imperialismo.
Un cammino che fino al 1956 i due paesi hanno affrontato insieme, unendo in un destino comune i propri popoli, regalando ad essi stessi come ai popoli oppressi di tutto il mondo, la consapevolezza che il socialismo può essere realizzato in concreto.
Mao, artefice principale e protagonista assoluto di questa vittoria, insieme all’eroico popolo cinese guidato dal Partito comunista che lo stesso Mao aveva ideato e costruito, aveva chiarito che questo avvenimento era solo il primo passo di una “Lunga marcia” che avrebbe segnato la vittoria della rivoluzione di nuova democrazia ma, allo stesso tempo, l'inizio della lotta, ancora più complessa e difficile per l'edificazione del socialismo in Cina.
Proprio questi due aspetti, la Rivoluzione cinese e l’edificazione socialista in Cina, rappresentano per i marxisti-leninisti il grande capolavoro rivoluzionario di Mao che li ispirerà in eterno nella loro lotta per la conquista del potere politico del proletariato e per il socialismo.
 

Il Partito Comunista Cinese di Mao
Senza l’analisi teorica e politica di Mao, figlia diretta dall’esperienza e della lotta di classe dentro e fuori dal Partito nel periodo della rivoluzione di nuova democrazia, nelle tre guerre civili rivoluzionarie ed in quella di resistenza al Giappone, l’impresa storica di fondare la Repubblica Popolare sarebbe rimasta solo un miraggio.
Alla sua Commemorazione dello scorso 15 settembre, un capitolo intero è stato dedicato alla biografia di Mao e a come egli divenne capo del PCC. Un passo cruciale, che concretizzò quegli echi delle cannonate dell’Ottobre russo che portarono il marxismo-leninismo in Cina e, assieme ad esso, la consapevolezza che per fare la rivoluzione serviva un Partito rivoluzionario con determinate caratteristiche.
Fu qui che Mao, dopo mille battaglie e sviluppando in ogni campo la lotta di classe, riuscì a far diventare quello che era inizialmente un piccolissimo partito e in più saldamente nelle mani degli opportunisti di destra appiattiti sull’alleanza col Guomindang prima, e in quelle degli opportunisti di “sinistra” che non volevano allearsi coi contadini poi, un Partito marxista-leninista dalla testa ai piedi che alleò saldamente operai e contadini; grazie a questo prezioso e infaticabile lavoro, Mao riuscì anche a fondare l’Esercito rosso, i cui successi consentirono l’avvio delle prime esperienze di potere sovietico nel Paese.
In questo contesto non possiamo non ricordare uno dei più grandi capolavori politico e militare, decisivo per le sorti della Rivoluzione cinese, per la vittoria sul Guomindang e per la nascita della Repubblica Popolare: l'epica impresa della Lunga Marcia, lunga 12.500 chilometri, dallo Jiangxi allo Shaanxi per sfuggire alle campagne di annientamento lanciate da Shiang Kai Shek, che si concluderà vittoriosamente il 20 ottobre del 1935 e che valse a Mao la massima carica del Partito.
La direzione di Mao proseguì poi guidando il Partito, l'Esercito di liberazione nazionale, il proletariato ed il popolo cinesi, prima nella guerra di Resistenza contro il Giappone che dal 1937 cercò di impadronirsi della Cina, poi dal 1945 nella terza guerra civile rivoluzionaria contro Jian Jenshi ed il Guomindan, sostenuti dall'imperialismo americano, fino alla vittoriosa conclusione della rivoluzione di nuova democrazia ed alla fondazione della RPC.
L'esperienza dei primi 28 anni di rivoluzione sarà così sintetizzata nel 1949 da Mao: "All'interno del paese bisogna risvegliare le masse popolari. Ciò significa che bisogna unire la classe operaia, i contadini, la piccola borghesia urbana e la borghesia nazionale per formare un fronte unito sotto la direzione della classe operaia e da questo passare alla costituzione di uno Stato che sia una dittatura democratica popolare diretta dalla classe operaia e fondata sull'alleanza degli operai e dei contadini. All'esterno del paese bisogna unirsi in una lotta comune con tutte le nazioni disposte a trattare con noi su basi di uguaglianza e con i popoli di tutti i paesi. Questo vuol dire che dobbiamo unirci con l'Unione sovietica (allora diretta da Stalin, ndr ), con le democrazie popolari e con il proletariato e le larghe masse popolari di ogni paese per formare un fronte unito internazionale" (Sulla dittatura democratica popolare, 30 giugno '49, vol. IV pag 423).
Il proletariato ha così avuto in eredità un modello di rivoluzione valido in particolare in quei paesi del Terzo mondo coloniali e semicoloniali che devono anzitutto sbarazzarsi dell'imperialismo e del sistema feudale per poter aprire la fase della lotta per il socialismo.
 

La Cina “si alza in piedi” e inizia l'edificazione socialista
Una volta fondata la RPC, l'elaborazione politica di Mao si dimostra ancora una volta lungimirante e, nel tracciare la linea per la fase successiva alla conquista del potere politico, indica come principale da quel momento in poi la contraddizione tra classe operaia e borghesia e le sue “pallottole ricoperte di zucchero” che avrebbero rappresentato il pericolo maggiore una volta conquistato il socialismo. Un richiamo al passaggio immediato alla rivoluzione socialista ed alla continuazione della rivoluzione in una Cina già sotto dittatura del proletariato, che si concretizzerà definitivamente anni dopo attraverso la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, tanto vituperata dai borghesi e dai riformisti. Liquidato il Guomindang, Mao riorganizza l'economia nazionale confiscando le grandi industrie private trasformandole in imprese statali e promuovendo la riforma agraria per la confisca delle terre possedute allora al 70% dai proprietari fondiari e dai contadini ricchi.
Sullo sfondo continuavano le lotte coi controrivoluzionari, la resistenza all'aggressione americana e l'aiuto alla RPD di Corea. Nel 1953, Mao lancia l'obiettivo strategico di realizzare progressivamente l'industrializzazione socialista della Cina e la trasformazione socialista dell'agricoltura, dell'artigianato e del commercio affinché si realizzasse la proprietà socialista dei mezzi di produzione; anche con l'aiuto dell'URSS di Stalin, la sua politica riesce a centrare l'obiettivo realizzando una solida base industriale ed a mobilitare 500 milioni di contadini che provvidero ai bisogni essenziali del popolo cinese.
Sotto la guida di Mao la Cina diventa la settima potenza industriale del mondo. Se avesse seguito la linea di Mao, sicuramente avrebbe raggiunto il livello dell'Urss. Solo che al potere ci sarebbe ancora il proletariato.
 

La lotta contro il revisionismo e il Grande balzo in avanti
Complice il nefasto XX congresso del PCUS col quale l'Unione Sovietica cadeva sotto i colpi del revisionismo mettendosi al servizio della borghesia restaurando il capitalismo, i revisionisti cinesi rialzarono la testa. Mao prese le distanze da Krusciov, rilanciando la lotta antirevisionista all'interno del Partito. Dal punto di vista economico, Mao lanciò la politica del Grande balzo in avanti che sostanzialmente significava prendere l'agricoltura come come base economica e l'industria come fattore guida, sviluppandole contemporaneamente. Si crearono così le comuni popolari sotto la guida del PCC i cui quadri dovevano diventare “rossi ed esperti”. La Cina in questo periodo fu obbligata a contare solo sulle proprie forze poiché da un lato continuava l'embargo imperialista, dall'altra era venuto meno l'appoggio dell'URSS ormai revisionista.
La lotta tra le due linee nel PCC si replica alla decima sessione plenaria dell'VIII Comitato centrale nell'agosto 1962 quando Peng Dehuai, appoggiato da Liu e Deng attacca il Grande balzo e le comuni. Mao risponde lanciando la parola d'ordine "non dimenticare mai la lotta di classe" e stabilisce la linea fondamentale del socialismo: "La società socialista abbraccia un periodo storico molto lungo, nel corso del quale esistono ancora le classi, le contraddizioni di classe e la lotta di classe, esiste la lotta tra le due vie, il socialismo e il capitalismo, ed esiste il pericolo di una restaurazione del capitalismo. Dobbiamo comprendere che questa lotta sarà lunga e complessa, aumentare la vigilanza e svolgere un lavoro di educazione socialista. Dobbiamo comprendere e risolvere in modo giusto le contraddizioni di classe e la lotta di classe, distinguere le contraddizioni fra il nemico e noi e le contraddizioni in seno al popolo e dare ad esse una giusta soluzione. Altrimenti un paese socialista come il nostro si trasformerà nel suo opposto, cambierà natura e si avrà la restaurazione. D'ora in poi dobbiamo parlare di questo problema ogni anno, ogni mese e ogni giorno, in modo da averne una comprensione abbastanza chiara e seguire una linea marxista-leninista".
 

La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria
La linea marxista-leninista che seguirà Mao porterà alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria che viene lanciata con una Circolare il 16 maggio del 1966, che ha nel suo passo più significativo il seguente:”I rappresentanti della borghesia infiltrati nel Partito, nel governo, nell'esercito e nei diversi ambienti culturali, formano un'accozzaglia di revisionisti controrivoluzionari. Se si presentasse l'occasione, prenderebbero il potere e trasformerebbero la dittatura del proletariato in dittatura della borghesia. Abbiamo scoperto alcuni di questi individui; altri non sono ancora stati scovati; altri ancora, per esempio gli individui tipo Krusciov, godono ancora della nostra fiducia, vengono formati come nostri successori e si trovano attualmente in mezzo a noi" .
Mao, per la prima volta nella storia del movimento operaio e dei paesi socialisti, fa appello non solo al partito ed allo Stato, ma alle larghe masse popolari, nel tentativo di schiacciare il revisionismo, riappropriarsi di quella parte di potere usurpato dalla borghesia ed esercitare la dittatura del proletariato anche nei campi della cultura, dell'insegnamento, dell'arte e delle istituzioni statali, oltre che in quelli politico ed ideologico. Mao lanciò nei fatti un processo di trasformazione nella coscienza delle masse secondo la concezione proletaria del mondo per educare milioni di successori alla causa rivoluzionaria proletaria:” (...) se riusciremo o no a prevenire la nascita del revisionismo kruscioviano in Cina. In breve, si tratta di una questione di estrema importanza, una questione di vita o di morte per il nostro Partito e il nostro Paese. E' una questione di fondamentale importanza per la causa rivoluzionaria proletaria nei prossimi cento, mille o diecimila anni".
La Rivoluzione Culturale venne praticata dalle masse proletarie e popolari, dai milioni di studenti che parteciparono al movimento delle Guardie Rosse, che rinnovarono il loro appoggio al socialismo denunciando pubblicamente traditori ed i rinnegati attraverso grandi dibattiti pubblici ed i “dazibao”, grandi manifesti murali scritti a mano. Furono costituiti i Comitati Rivoluzionari che fecero nuove esperienze e che assunsero nuove responsabilità dirigenti. Grazie a questo processo, la cricca revisioniste di Liu e Deng fu battuta al IX Congresso del Partito nel 1969, quella di Lin Biao al X Congresso nell'agosto 1973. L'ultima lotta contro la nuova cricca di Deng che si opponeva alla direttiva di Mao secondo cui "la lotta di classe è l'asse attorno a cui ruota tutto il resto", non si concluse a causa della sopraggiunta morte di Mao; in quel momento Deng Xiaoping era stato destituito da tutte le sue funzioni all'interno e all'esterno del Partito e posto in condizione di membro in osservazione con la risoluzione del 7 aprile 1976 dell'Ufficio politico del PCC.
 

La Cina di oggi
La Cina di oggi non è più un paese socialista, perché il socialismo dopo la morte di Mao è stato distrutto dalla cricca revisionista e fascista di Deng Xiaoping e dai suoi simili Hu Yaobang, Zhao Ziyang, Jiang Zemin, Zho Rongji, Ho Jintao, fino al nuovo imperatore Xi Jinping.
Oggi, dopo oltre quaranta anni di revisionismo e di piena omologazione al capitalismo, la Cina è divenuta una superpotenza imperialista, dove imperano parole d’ordine come il “mercato”, eletto a grande guida economica per lo sviluppo cinese, l’economia privata che ha sostituito praticamente quella di Stato, la competitività internazionale e l’arricchimento individuale unito alla massiccia diffusione di accordi commerciali con le più grandi multinazionali europee e statunitensi, l’espansionismo attraverso la “Via della Seta”, un accordo commerciale è stato firmato dal primo governo Conte dei fascisti del XXI secolo con Xi Jinping – che sono la prova delle caratteristiche ultracapitaliste ed imperialiste cinesi.
Il prezzo che paga la “nuova Cina” per il suo status di superpotenza è lo stesso prezzo che da sempre contraddistingue i paesi capitalisti, e cioè privatizzazioni e licenziamenti di massa che colpiscono i lavoratori, disoccupazione e povertà che aumentano di pari passo con l’arricchimento di un pugno di sfruttatori, il dilagare di corruzione e nepotismo, l’urbanizzazione spinta incontrollata, grandi opere inutili ed ambientalmente devastanti ed il ritorno massiccio della terra nelle mani private, l’incremento delle misure repressive ed antidemocratiche che schiacciano ed opprimono innanzitutto il proletariato cinese.
Tutto ciò nulla toglie al grande capolavoro di Mao rappresentato dalla rivoluzione cinese e dall’edificazione del socialismo in Cina, grazie alle quali il proletariato internazionale si è arricchito di nuove esperienze che gli saranno utili in futuro quando altri paesi inevitabilmente si cimenteranno in questo percorso rivoluzionario.
 

Le celebrazioni in Cina
La Cina si appresta a celebrare la nascita della Repubblica Popolare con molteplici iniziative che culmineranno con la “solenne cerimonia” prevista per il 1° Ottobre a Pechino, che vedrà sfilare quindicimila militari in parata, per un totale di 59 formazioni, assieme a 160 aerei ed oltre 580 mezzi militari di ultima generazione.
Wu Quian, portavoce per il Ministero Nazionale di Difesa, ha dichiarato che “La Cina non ha alcuna intenzione né bisogno di flettere i muscoli nella parata militare”, ma in realtà è proprio ciò che fa, rivendicando ancora il suo ruolo di superpotenza mondiale. Come sono distanti i tempi in cui Mao annunciava la proclamazione della RPC davanti a centinaia di migliaia di contadini, operai e donne, membri dell'Esercito rosso festanti in piazza Tienanmen! Questa profonda differenza è sostanza politica, non solo formalità di facciata.
Xi Jinping, consapevole come tutti i burocrati revisionisti e fascisti del PCC dell'amore sconfinato che lega ancora le masse alla figura e all'opera di Mao, non perde occasione per declamare una Cina attuale come un paese in perfetta continuità col passato, come se lo stesso filo rosso avesse legato i vari periodi senza tradimenti e discontinuità. Una operazione opportunista che si è concretizzata stavolta con la visita dell'imperatore cinese a Shuangquing, dove Mao aveva lavorato e vissuto, facendo tappa anche in un museo della “Rivoluzione” per “rivivere la storia del PCC del 1949”, ma che continua anche sui giornali di regime come il Renmin Ribao, il Jiefangjun Bao ed il Guangming Daily che hanno redatto centinaia di articoli nei quali la parola più scritta non era né RPC, né Mao, bensì “Xi Jinping” che svetta in cima a questa speciale classifica.
In uno di questi articoli di regime si legge:”Con l'istituzione della RPC la Cina fu finalmente liberata. Ma questo non è bastato a porre fine all'aggressione del mondo occidentale. La Cina ha impiegato quasi tre decenni, durante il periodo 1949-1978, per realizzare riforme interne incentrate sull'ideologia, l'unità ed il cambiamento di mentalità sotto la grande guida del presidente Mao. Solo dopo aver ottenuto un grande successo sul fronte politico, la nazione è entrata in una nuova fase di riforma economica sotto la leadership visionaria del compagno Deng a partire dal 1978. ” Adesso Hi Jinping si appresterebbe a consolidare il “socialismo con caratteristiche cinesi” - che noi sappiamo essere capitalismo - traghettandolo nella cosiddetta “nuova era” che, diciamo noi, non può essere che quella dell'affermazione imperialista della superpotenza cinese a livello mondiale.
Altro che continuità con la Cina di Mao!.
 

L'operazione falsificatrice del “Manifesto”
Con un inserto di otto pagine uscito in supplemento il 25 settembre, il quotidiano trotzkista “il manifesto”, ricorda a suo modo il settantesimo della fondazione della RPC, e lo fa con il suo stile, preoccupandosi più di infangare Mao che di denunciare la Cina imperialista di oggi. La cosa che più colpisce è l'assenza pressoché totale dei riferimenti relativi alla grande opera di Mao e del popolo cinese che ha portato alla proclamazione della RPC.
Non una parola sugli anni della rivoluzione di nuova democrazia né della Lunga marcia né sulle guerre civili rivoluzionarie ed antigiapponesi né sugli embarghi. Insomma, si preferisce tacere sull'opera immensa di Mao, di grande e inedito valore politico, ideologico, culturale, morale, strategico, tattico e militare di quel periodo anche se esso è stato il padre diretto della RPC stessa che si vorrebbe celebrare. Perchè?
Un secondo aspetto che salta immediatamente agli occhi del lettore, è la catena temporale, ben evidenziata in basso alle pagine, riepilogativa degli eventi principali con la quale il curatore Simone Pieranni sintetizza in estrema sintesi alcuni periodi di particolare importanza dalla proclamazione della RPC ad oggi.
Mentre negli articoli contenuti si parla ripetutamente di “tragedie e successi”, implicando i primi quasi esclusivamente al periodo di Mao e gli altri nel rinnovato benessere cinese del periodo delle riforme e via a seguire, nei riquadri si evidenziano passaggi specifici, definendo ad esempio il Grande Balzo in avanti come “un errore che portò alla morte di milioni di persone”, oppure commentando la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria come “un evento drammatico, una specie di guerra civile, su cui ancora oggi la Cina si interroga”.
“il manifesto” si smaschera definitivamente nella sua operazione anti marxista-leninista quando definisce Deng Xiaoping, oltre che “politico scaltro, pragmatico e deciso”, come colui che “scampato più volte alle purghe all'interno del PCC”, ed autore meritorio del lancio della “stagione delle aperture e riforme grazie alle quali la Cina comincerà a diventare la fabbrica del mondo, costruendo così il suo successo”.
Ma non basta: apprezzamenti anche per Jiang Zemin per la sua teoria delle “tre rappresentanze” che aprì il partito anche agli imprenditori, all'ingresso nel WTO del 2001, ad Hu Jintao che ha il merito di aver “supervisionato il decennio d'oro, quello della crescita economica del 14% (ma a beneficio di chi? ndr )e delle olimpiadi di Pechino” e di aver dato avvio alla “trasformazione della quale oggi vediamo i risultati”.
Insomma abbiamo capito, demolire Mao e la sua lotta al revisionismo ed alla borghesia è stato l'obiettivo dell'edizione dello speciale del quotidiano che si definisce comunista diretto da Norma Rangeri; a noi il compito di mettere in guardia i suoi lettori da questa vigliacca operazione, ripristinando la verità storica e di classe di questi fatti che hanno segnato in maniera indelebile il secolo scorso ed il destino della gloriosa Cina socialista di Mao.
 

2 ottobre 2019