Trump abbandona le forze curde dopo averle strumentalizzate per combattere lo Stato islamico. Anche la Russia ha dato via libera all'esercito turco di entrare a Kobane
La Turchia invade il Nord-Est della Siria
Accordo tra Rojava e il governo siriano per respingere l'invasione della Turchia. L'Ue stabilisce l'embargo delle armi alla Turchia solo a livello individuale e evita di definire “invasione” l'offensiva militare
Manifestazioni in tutto il mondo. A Milano e Catania il PMLI chiede la rottura delle relazioni diplomatiche con la Turchia da parte dell'Italia

 
 
Subito dopo il ritiro dei soldati americani dalle postazioni strategiche di Ras al-Ayn e Tal Abyad annunciato dalla Casa Bianca il 7 ottobre dopo una telefonata fra Trump e Erdogan partiva, nel pomeriggio del 9 ottobre, l'operazione “Fonte di pace” contro il Rojava, la Federazione curda divenuta Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est. Una invasione che inizialmente era condotta lungo tutta la frontiera via terra per la maggior parte da mercenari islamisti, rendevano noto le Forze Democratiche della Siria (FDS) e respinta in diverse località nonostante il pesante appoggio dell'artiglieria e dell'aviazione turchi che bombardavano indifferentemente postazioni militari e aree civili, convogli di sfollati, ambulanze e campi profughi; con le prime decine di morti, molti civili, e oltre 200 mila nuovi profughi in fuga dalla guerra.
Il Rojava Solidarity Committee Europe promuoveva immediatamente per il 12 ottobre la giornata mondiale di protesta contro “l’invasione turca e la pulizia etnica dei curdi nel nord della Siria” che chiudeva la prima settimana di manifestazioni partite spontaneamente in tanti paesi, primo fra tutti l'Italia, di solidarietà col popolo curdo che doveva fronteggiare l'attacco del secondo esercito della Nato dopo gli Usa, voluta dal presidente turco, il fascista Recep Tayyip Erdogan e resa possibile dalla complicità dei suoi alleati vecchi e nuovi, Donald Trump e Vladimir Putin.
Il primo obiettivo dell’intervento turco è di impedire la creazione della regione autonoma curda nel Rojava proclamata nel 2016, a indebolire comunque il progetto autonomista curdo modificando la composizione etnica del Rojava col trasferimento nella regione di un milione di rifugiati siriani di etnia araba. Con l'invasione della Siria Erdogan punta anche a ricompattare il fronte interno dove a causa della crisi economica il suo partito, l'AKP, ha perso consensi ed è stato sconfitto nelle recenti elezioni locali. Un arretramento che non consente al presidente turco di proseguire sulla strada dell'obiettivo più a lungo termine dell'allargamento dei confini nazionali a danno dei più deboli paesi vicini, Siria e Iraq, riprendendo quelli che una volta erano territori dell'impero ottomano.
Gli obiettivi a breve termine dell'invasione erano illustrati il 14 ottobre da Erdogan mentre si apprestava a partire per una visita in Azerbaigian: “la Turchia libererà dai terroristi le città di Ayn al-Arab (Kobane) e Manbij, nel Nord della Siria”, due delle città nel mirino di Ankara e del suo intervento militare diretto nella guerra civile siriana. Un intervento consentito fin dalla decisione del 2 ottobre 2014 del Parlamento turco che approvava la mozione del governo per inviare truppe in Iraq e Siria per fronteggiare lo Stato Islamico (IS) e “ogni altra formazione terrorista” e rinnovato fino all'ottobre del 2020 proprio alla vigilia dell'invasione, l'8 ottobre. Erdogan con le stesse motivazioni, ha occupato in territorio siriano due bersagli più facili, il cantone curdo di Afrin e la provincia di Idlib, nonostante fosse passato all'alleanza imperialista guidata dalla Russia di Putin e assieme al regime dell'ex nemico Assad. Si era dovuto fermare di fronte a Manbij, presidiata e protetta dai marines americani intervenuti in alleanza allora coi curdi siriani per combattere lo Stato Islamico. Trump ha ritirato i marines e Erdogan è partito all'attacco rivelando che “l’operazione della Turchia non avrà alcun problema ad Ayn al-Arab (Kobane), in Siria, poiché anche la Russia ha mostrato un approccio positivo”. In altre parole non lo ostacolerà nella sua guerra che non sarebbe, a suo dire, contro i curdi ma contro i “gruppi terroristici” nella regione di confine tra i due Paesi; o meglio non lo ostacolerà fino a un certo punto, perché Putin deve tener conto dell'altro fondamentale alleato, il regime siriano di Assad, e ribadire il suo ruolo di gestore della spartizione della Siria tra i numerosi appetiti imperialisti.
Nessun problema per la Turchia nemmeno dai paesi imperialisti della Ue che per giorni hanno sventolato la possibilità di un embargo sulla vendita di armi, promossa dalla cancelliera tedesca Merkel, ma che nella riunione dei ministri degli Esteri a Lussemburgo il 13 ottobre non riuscivano a definire un embargo comune, rimandato alle decisioni dei singoli paesi, e riuscivano persino a non definire “invasione” l'offensiva militare turca, limitandosi a invitare Ankara “a fermare le sue azioni unilaterali in Siria del nord e a ritirare le proprie truppe”. Convinti anche dalle arroganti rimostranze di Erdogan ai colleghi imperialisti della Nato di non infastidirlo mentre è impegnato a “combattere il terrorismo” e dalla minaccia di riaprire la via di passaggio verso l'Europa ai 3,6 milioni di profughi siriani presenti in Turchia, quella via che ha chiuso prendendo una montagna di soldi da Bruxelles; parte di quei profughi che invece vorrebbe piazzare nella regione curda del Rojava. Anche il governo M5S-PD-LEU-IV Conte dietro la condanna dell'invasione non metteva sostanza, cincischiava sul blocco delle forniture militari a Ankara senza prendere in esame la più efficace e adeguata rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.
Un comunicato del 12 ottobre dell'Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est annunciava il raggiungimento di una intesa col governo di Damasco che consentiva all’esercito siriano di schierare le sue truppe nella striscia di confine tra la Siria e la Turchia a sostegno delle Forze Democratiche della Siria (FDS) per respingere l’aggressione turca e successivamente liberare i territori occupati dall’esercito turco e dai suoi mercenari, vedi Afrin. Le forze curde riconoscevano a Damasco il ruolo di garante dei confini esterni del paese anche nella regione della Rojava. Secondo i portavoce dell'Amministrazione Autonoma i negoziati fra le parti proseguiranno per definire intese politiche fino all'inserimento nella Costituzione dei diritti dei vari gruppi di popolazione presenti nella regione. Assad riconoscerà la specificità curda e i curdi la loro appartenenza alla Siria mettendo da parte ipotesi indipendentiste e separatiste.
L'accordo militare, finora rifiutato da Mosca e Damasco, era reso possibile dal voltafaccia dell'imperialismo americano che ha lasciato gli ex alleati curdi siriani in balia del fascista Erdogan. E provocava una prima reazione alla Casa Bianca che cambiava di nuovo idea e decideva di rischierare i marines presso Kobane e a Manbij in una situazione in piena evoluzione, una polveriera dove si troveranno nel mezzo tra l'avanzata turca e il controschieramento dell'esercito siriano. Divisi dal 15 ottobre solo dalla polizia militare russa che “sta pattugliando il perimetro di Manbij” lungo la linea di contatto tra i due eserciti, annunciava il ministero della Difesa russo.
L'operazione “Fonte di pace” dell'esercito turco in Siria ha caratteristiche simili a quella che si chiamava “Ramoscello d’ulivo” del 20 gennaio 2018 conclusa con l'occupazione del cantone a maggioranza curda di Afrin. Allora i militari russi si ritirarono dalla loro base militare presente nel cantone e l'aviazione di Mosca non ostacolò quella turca. Il favore non è stato ricambiato da Erdogan quando l'esercito siriano ha cercato di riprendere il controllo della vicina regione di Idlib in mano alle milizie islamiche, parte delle quali finanziate da Ankara. Assad vorrebbe riprendere il pieno controllo di tutto il territorio siriano, Erdogan pensa a allargare il controllo della Turchia intanto ai territori curdi oltreconfine, sia in Siria che in Iraq; una contraddizione interna all'alleanza imperialista guidata dalla Russia e di cui fa parte anche l'Iran.
Trovata la porta chiusa dalla parte di Mosca e Damasco che gli concedevano spazio solo contro i curdi allora alleati con gli Usa, il fascista Erdogan bussava a quella vecchio alleato imperialista americano. E trovava in Trump un interlocutore interessato a togliersi di mezzo dalla Siria, una volta ritenuta conclusa la guerra allo Stato Islamico. In una nota diffusa il 7 agosto dall’ambasciata americana di Ankara e dal ministero degli Esteri turco si rendeva noto che le delegazioni militari dei due paesi avevano raggiunto un accordo sulla costituzione di una “zona di sicurezza” nel nord della Siria, nei territori curdi della Rojava, profonda 30 km e lunga 150, una zona consegnata nelle mani del fascista Erdogan. A quel punto la questione non era più se sarebbe scattata l'invasione turca nella zona ma quando.
A metà settembre, il vertice di Ankara tra Putin, Erdogan e l'iraniano Rohani sulla Siria, concordava la formazione di una assemblea siriana col compito di scrivere la nuova carta costituzionale, formata da 50 membri scelti dal governo di Damasco, 50 scelti dalle opposizioni e 50 indipendenti. Da questa assemblea costituente erano esclusi i curdi siriani su richiesta turca, accolta dai due partner. Intanto le forze turche svolgevano pattugliamenti congiunti con le forze Usa in alcune parti della zona di sicurezza, senza tener conto delle proteste di Damasco, che erano ignorate anche a Mosca.
Il 7 ottobre, uno dei consueti twitter del presidente americano Trump avvertiva che aveva deciso di dare il via al ritiro dei 2 mila marines dalla Rojava, un ritiro annunciato fin dal dicembre 2018. E finora rimandato perché alla Casa Bianca non hanno trovato sostituti affidabili alla loro presenza militare in Siria, come in Iraq, che ha una valenza strategica in funzione anti-iraniana. Del resto soffiare sul fuoco dell'autonomia curda veniva vista da Washington come un attacco al governo di Damasco, alleato di Teheran. E così ha provato a affidare il compito a Erdogan, sancito dall'intesa di agosto sulla creazione della zona cuscinetto. “È il momento per noi di sfilarci da ridicole guerre senza fine, molte delle quali tribali, è il momento di riportare i nostri soldati a casa. Combatteremo solo dove avremo benefici e combatteremo solo per vincere. Turchia, Europa, Siria, Iran, Iraq, Russia e i curdi dovranno risolvere la situazione”, con due righe Trump decideva di abbandonare le forze curde al loro destino, anche se poi ci ripensava, dopo averle strumentalizzate per combattere lo Stato islamico e beffandosi della denuncia dei vertici delle FDS che definivano l’annuncio di un disimpegno statunitense come “una pugnalata alle spalle” e accusavano gli Usa di non aver rispettato i propri impegni a garantire la sicurezza e la stabilità delle popolazioni lungo il confine turco-siriano attraverso il meccanismo di pattugliamenti congiunti organizzato in accordo con Ankara e le stesse FDS.
Le truppe turche cominciavano a muoversi mentre Mosca dichiarava di concordare sull'ipotesi che “la Turchia potrebbe intervenire per garantire la sua sicurezza”. Nel linguaggio imperialista era il via libera a colpire oltreconfine, senza esagerare, e i carri armati turchi avevano davanti una autostrada a tre corsie per correre a invadere il nord della Siria.
L'11 ottobre il Ministero degli Esteri russo ripeteva che “non abbiamo dubbi sull'obiettivo oggettivo di combattere i terroristi e proteggere la Turchia”, espresso da Erdogan, “in questo contesto, chiediamo a tutte le parti di esercitare la massima moderazione e misurare meticolosamente le loro azioni, per rispettare pienamente la sovranità, l'unità e l'integrità territoriale della Siria”. “Siamo convinti – concludeva il comunicato - che la pace e la stabilità di questa parte del territorio sovrano della Siria possano essere garantite solo attraverso un dialogo concreto e rispettoso tra il governo e i curdi, che sono parte integrante della società. siriana. Mosca conferma la sua disponibilità a favorire questo dialogo, nonché iniziative volte a normalizzare le relazioni tra i paesi della regione”. Noi siamo i garanti degli equilibri nella regione, sostenevano gli imperialisti russi, un ruolo che si sono guadagnati sul campo una volta precipitatisi in soccorso dell'alleato Assad e a difesa soprattutto delle sue basi militari nel paese.
Il ministro degli Esteri russo Lavrov, non prendeva di mira l'aggressore Erdogan ma il rivale imperialista Trump accusando gli americani di aver “stabilito nella regione strutture quasi governative, che hanno mantenuto in funzione, promuovendo la questione curda e provocando dissenso fra tribù arabe che vivono in questi territori”. Quasi una giustificazione per l'invasione turca della Siria come se fosse dipesa solo dalla scellerata decisione delle forze politiche curde di allearsi con gli Usa. La decisione sul ritiro degli Usa e l'aggressione turca nel nord della Siria hanno al momento provocato il riavvicinamento dei curdi siriani a Damasco e una Siria nuovamente unita consente a Mosca di rafforzare il suo ruolo di gestore principale della spartizione e del controllo del paese. Non permetteremo che Turchia e Siria si scontrino, sosteneva l'inviato speciale russo in Siria, Alexander Lavrentyev, il 15 ottobre quando i carri armati russi affiancavano quelli siriani sui fronti del nord-est del paese. Dovrà convincere anzitutto Erdogan a fare un passo indietro. Intanto in ogni caso il prezzo lo pagano ancora il popolo curdo e quello siriano.
Mentre le potenze imperialiste mondiali coprivano e di fatto incoraggiavano il dittatore fascista Erdogan in tutto il mondo si svolgevano manifestazioni antimperialiste di solidarietà col popolo turco e di condanna ferma dell'invasione turca al Nord-Est della Siria. A Milano e Catania, dov'era presente, il PMLI chiedeva l'immediata rottura delle relazioni diplomatiche dell'Italia con la Turchia.

16 ottobre 2019