Il Pm su Cucchi: “I depistaggi hanno avuto picchi da film horror”

 
Il prossimo 14 novembre la Corte d'Assise di Roma emanerà la sentenza sul caso Cucchi, giudicando sulla responsabilità penale per la morte del giovane romano, oltre che per la falsificazione di prove e per calunnia, nei confronti di cinque carabinieri, ovvero Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Roberto Mandolini, Francesco Tedesco e Vincenzo Nicolardi.
Di Bernardo e D'Alessandro sono i due carabinieri che arrestarono il geometra la notte del 15 ottobre 2009, considerati dalla Procura gli autori materiali del violento pestaggio che contribuì in modo determinante alla morte di Cucchi, per i quali all'udienza del 3 ottobre scorso il PM Musarò ha chiesto 18 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale.
Mandolini, ossia il maresciallo comandante della Stazione Appia dove avvenne il pestaggio, viene indicato dalla Procura come il principale responsabile dei depistaggi, e per lui il PM Musarò ha chiesto la condanna a 8 anni di reclusione.
Per Tedesco, che è il carabiniere le cui deposizioni hanno consentito di far luce sulla vicenda, la Procura ha chiesto la pena di 3 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di falso ideologico, mentre per il quinto carabiniere, Nicolardi, la pubblica accusa ha chiesto il proscioglimento per intervenuta prescrizione relativamente al reato di calunnia nei confronti degli agenti della polizia penitenziaria che furono condannati - e in seguito assolti - nel primo processo che si celebrò per la morte del giovane geometra romano, e per lo stesso motivo ha chiesto il proscioglimento di Mandolini e di Tedesco.
A seguito della deposizione di Mandolini la Procura ha poi avviato un'indagine, affidata al PM Musarò, nei confronti di ulteriori otto carabinieri, tutti in seguito rinviati a giudizio, la cui prima udienza si terrà il prossimo 12 novembre, con l'arma dei carabinieri che ha già annunciato di costituirsi parte civile. Il generale di brigata Alessandro Casarsa, all'epoca comandante del gruppo carabinieri di Roma, e i carabinieri Francesco Cavallo, Luciano Soligo, Massimiliano Colombo Labriola e Francesco Di Sano dovranno rispondere del reato di falso ideologico relativo alla falsificazione dei verbali di arresto di Cucchi, che aveva prodotto il risultato di indirizzare le indagini della magistratura, e poi di celebrare i processi, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria, tutti in seguito assolti, che avevano avuto in custodia Cucchi. I carabinieri Lorenzo Sabatino e Tiziano Testarmata dovranno rispondere poi dei reati di omessa denuncia e di favoreggiamento, e infine il carabiniere Luca De Cianni dovrà dar conto dei reati di falso ideologico e di calunnia.
È quindi chiaro perché, avendo egli seguito direttamente l'indagine che porterà alla sbarra altri otto carabinieri tra i quali un alto ufficiale, il PM Giovanni Musarò ha affermato all'udienza dello scorso 3 ottobre del processo per l'omicidio di Cucchi, che si sono raggiunti in tale triste vicenda “picchi di depistaggio inimmaginabili, da film dell’orrore “ al fine di impedire alla magistratura l'accertamento della verità e di salvare dal processo i due carabinieri Di Bernardo e D'Alessandro, indicati come gli autori materiali del massacro di Cucchi da parte dei PM.
A tal proposito il PM Musarò nella sua requisitoria del 3 ottobre ha affermato che il giovane romano è stato sottoposto a un “pestaggio violentissimo” : “sono due - ha affermato il magistrato - le persone che aggrediscono l’arrestato, colpito quando era già a terra con calci in faccia” , un fatto che ha poi portato la vittima, conclude il PM, a rifiutare il cibo a causa di “un chiarissimo sintomo da 'disturbo post traumatico da stress' a causa del pestaggio subito” .
Questo non è un processo all’arma dei carabinieri - ha infine detto il magistrato - ma è un processo contro cinque esponenti dell’arma che nel 2009 violarono il giuramento di fedeltà alle leggi e alla costituzione, tradendo innanzitutto l’Istituzione di cui facevano e fanno parte” .
Su quest'ultima frase di Musarò ci sarebbe da discutere, e molto: infatti a rispondere di reati gravissimi (considerando complessivamente i due processi, quello per la morte di Cucchi e quello per i depistaggi sulla vicenda) non sono un gruppetto di inesperte reclute alle prime armi, bensì tredici esponenti dell'arma, tra i quali un alto ufficiale (il generale Casarsa), quattro ufficiali (i due colonnelli Cavallo e Sabatino, il tenente colonnello Soligo e il capitano Testarmata) e due sottufficiali (i marescialli Mandolini e Labriola).
Per la quantità di ufficiali coinvolti, anzi, è chiaro che tali processi mettono a nudo la responsabilità complessiva dell'arma, perché chi conosce un minimo come funzionano le cose all'interno di un corpo di polizia sa che è quantomeno molto difficile che i vertici nazionali di tale corpo non avessero capito quel che era effettivamente accaduto quella notte del 15 ottobre 2009.
 

23 ottobre 2019