Consip
A processo Lotti, Del Sette e Emanuele Saltalamacchia
L'ex ministro PD, l'ex comandante generale dell'Arma dei carabinieri e quello della Toscana sono accusati di favoreggiamento

Il 3 ottobre l'ex ministro Pd dello Sport, ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e uomo di Matteo Renzi, Luca Lotti, è stato rinviato a giudizio con l'accusa di favoreggiamento per lo scandalo Consip: la società per azioni, partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, istituita con il D.Lgs. 19 novembre 1997 n. 414 con l'obiettivo di razionalizzare gli acquisti della Pubblica amministrazione e trasformata invece, come si legge nell'ordinanza di arresto del marzo 2017, dall'imprenditore di origine campana Alfredo Romeo e dagli altri coimputati in una vera e propria "holding criminale" che agiva all'interno del Consip per accaparrarsi “a suon di tangenti” i bandi milionari.
L'inchiesta, iniziata a Napoli fu poi trasferita a Roma proprio per la parte inerente le indagini sul Consip.
Insieme a Lotti, il Giudice per l'udienza preliminare (Gup) Clementina Forleo ha rinviato a giudizio anche l'ex comandante generale dell'Arma dei carabinieri Tullio Del Sette e il generale Emanuele Saltalamacchia, già comandante della Legione Toscana.
Ai due pezzi grossi dell'Arma il Procuratore aggiunto (Pa) Paolo Ielo e il Pubblico ministero (Pm) Mario Palazzi contestano il reato di favoreggiamento; mentre Del Sette è accusato anche di rivelazione del segreto d'ufficio perché avrebbe avvertito l'ex ad di Consip Luigi Marroni dell'esistenza di un'indagine sui vertici della società.
Il Gup Forleo è certa che qualcuno tra i componenti del famigerato “giglio magico” renziano, a cominciare dall'ex ministro Lotti, ha cercato di intralciare e sviare ripetutamente le indagini. E lo scrive nero su bianco nel decreto che dispone il giudizio: “Appare evidente” che nell’indagine Consip “vi furono non pochi e non occasionali ‘ interessamenti’ di ambienti istituzionali vicini all’allora presidente del Consiglio Renzi, volti a impedire il regolare corso delle indagini ”.
Non a caso, proprio sul reato di favoreggiamento contestato a Lotti e ad altri imputati, la Forleo nel motivare la propria decisione risponde anche alle questioni procedurali sollevate dalle difese di alcuni imputati che ritengono come il favoreggiamento non si possa configurare nel caso il cui il favorito (ossia colui che riceve la notizia e in questo caso Luigi Marroni) non sia indagato.
Per il giudice, invece: “ai fini della sussistenza del favoreggiamento è sufficiente che la condotta dell’agente abbia l’attitudine, seppur in astratto, ad intralciare il corso della giustizia” dunque è “sufficiente una condotta attiva o omissiva che provochi una negativa alterazione del contesto fattuale all’interno del quale le investigazioni sono in corso”. A prescindere dal fatto che il “favorito” sia o meno indagato.
Non solo. La Forleo condivide in pieno con i Pm la tesi secondo cui Marroni è un testimone attendibile. Soprattutto perché sono state proprio le sue rivelazioni a tirare in ballo i boss politici e dell’Arma. È il 20 dicembre 2016 quando i carabinieri del Noe entrano nella sede della Consip. Interrogano Marroni e gli chiedono spiegazioni sul perché avesse fatto bonificare dalle cimici il proprio ufficio. Il manager (silurato proprio poco dopo la sua testimonianza) è lapidario: “Ho appreso in quattro differenti occasioni da Vannoni, dal generale Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Lotti di essere intercettato”. Ferrara a sua volta, spiega Marroni, lo avrebbe saputo da Del Sette.
Alla sbarra a partire dal prossimo 15 gennaio ci saranno anche Filippo Vannoni, ex presidente di Publiacqua, società partecipata del Comune di Firenze, accusato di favoreggiamento per aver rivelato l'esistenza dell'indagine all'ex ad di Consip Luigi Marroni; e l’imprenditore farmaceutico di Scandicci (FI), amico di Romeo e sodale dei Renzi, Carlo Russo accusato di millantato credito per essersi fatto promettere da Romeo soldi in cambio della "mediazione" nell'aggiudicazione degli appalti, spendendo anche il nome del padre dell'ex premier Tiziano Renzi a sua volta indagato per (traffico di influenze) ma per il quale i Pm hanno chiesto l'archiviazione.
Prosciolti anche l'ex vice comandante del Noe, colonnello Alessandro Sessa e l'ex capitano Gianpaolo Scafarto.
Scafarto è il carabiniere delegato con altri a svolgere le indagini quando il fascicolo si trovava a Napoli (poi spostato per competenza a Roma nel dicembre 2016). I Pm capitolini lo accusano di vari reati. Tra questi due falsi, uno commesso quando in un’informativa attribuisce la frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato” all’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, quando in realtà era stata pronunciata dall’ex parlamentare di An e FI Italo Bocchino. Questo che i Pm ritengono un reato, per il Gup è invece un “errore sicuramente involontario”. Da qui il proscioglimento perché il fatto non costituisce reato. Scafarto era accusato anche di due rivelazioni. Una nei confronti del vicedirettore del “Fatto Quotidiano”, Marco Lillo, che per primo ha pubblicato lo scoop sull’inchiesta Consip, e una nei confronti di due suoi ex colleghi, poi transitati nei servizi segreti esteri (Aise), ai quali Scafarto aveva mandato delle informative dell’indagine che stava svolgendo. Per le rivelazioni al Fatto Quotidiano, il carabiniere è stato assolto per non aver commesso il fatto, mentre per quelle relative agli 007 perché il fatto non sussiste. E lo stesso vale per il reato di depistaggio per il quale è stato prosciolto anche il suo collega Sessa.
In entrambi i casi i Pm hanno già annunciato il ricorso alla Corte di Appello.
Del Sette è anche accusato di “cospirazione per compromettere l’autorità di un comandante” dalla Procura militare di Roma. Il fascicolo è stato trasmesso ai colleghi romani lo scorso luglio dai colleghi di Sassari. La vicenda inizia in Sardegna, quando il magistrato Giovanni Porcheddu indaga sui presunti abusi di alcuni militari dell’Arma della compagnia di Bonorva (Sassari) fino a coinvolgere una buona parte degli ufficiali del comando provinciale sassarese e il sindacato del Cocer.
L’ex Comandante generale dei carabinieri è accusato di aver ostacolato le indagini e di aver esercitato pressioni sul colonnello Giovanni Adamo, comandante di Sassari, incaricato di svolgere le indagini interne sull’operato di alcuni militari.
Dalle indagini è emerso che Del Sette fece pressioni su Adamo per impedirgli “l’esercizio dei poteri del comando”, fino al trasferimento del comandante e di altri due ufficiali. A “tramare” contro Adamo, oltre a Del Sette, sarebbero stati i generali Paolo Nardone e Antonio Bacile, i colonnelli Domenico Savino e Salvatore Cagnazzo, il tenente colonnello Giuseppe Urpi, il maggiore Giovanni Bartolacci, il capitano Antonio Ruiu, il maresciallo maggiore Francesco Testoni e l’appuntato e delegato Cocer-Cobar Giovanni Pitzianti.
Agli atti è citata la conversazione tra Del Sette e Nardone, che discutono di una microspia trovata nell’auto di Pitzianti, forse messa a seguito dell’indagine di Adamo: “Da dove viene, da Sassari?”, domanda Del Sette. “Sembrerebbe di sì”, risponde Nardone. “Ma quello è proprio andato di cervello”, replica Del Sette, riferendosi probabilmente ad Adamo. “Se devo dire la mia signor generale, sì!”, è la risposta di Nardone.
Alla Procura militare c’è un secondo fascicolo su Del Sette. Qui l’accusa è divulgazione di notizie segrete o riservate. La vicenda si riferisce all’incontro a Roma tra il generale e il colonnello Adamo nel maggio 2016, chiamato ad esporre lo stato delle indagini di Sassari. Al termine della riunione, Del Sette avrebbe rivelato le notizie coperte dal segreto all’appuntato Pitzianti, indagato per lo stesso reato.

23 ottobre 2019