Come Salvini, per il caso Metropol, il premier non scopre le carte
Autorizzando gli incontri di Barr con i servizi segreti italiani, Conte ha reso un servizio a Trump sul Russiagate

Perché lo scorso 15 agosto Giuseppe Conte, in piena crisi di governo, autorizzò l'incontro del ministro della Giustizia di Trump, William Barr, con i vertici dei servizi segreti italiani per cercare le prove che il cosiddetto Russiagate, per il quale il presidente Usa rischia l'impeachment, sarebbe stato in realtà un complotto ai suoi danni che ha avuto origine in Italia tra il 2016 e il 2017, ordito dall'allora amministrazione democratica con il coinvolgimento anche dei governi Renzi e Gentiloni e dei nostri servizi segreti? Perché non informò nessuno dell'allora governo Lega-M5S e non indirizzò il ministro americano al ministro della Giustizia Bonafede, come avrebbe richiesto la prassi, e lo indirizzò invece direttamente e segretamente ai capi dei servizi, mettendoglieli compiacentemente a disposizione? Perché autorizzò anche un secondo incontro il 27 settembre, col nuovo governo già insediato, se già dal primo avrebbe potuto facilmente appurare se i nostri servizi erano o no coinvolti nella vicenda? E c'è stato un legame tra questo "favore" reso oggettivamente a Trump e il caloroso tweet del presidente americano all'"amico Giuseppi" nella fase cruciale della formazione del nuovo governo?
Queste ed altre domande, che da settimane gli venivano fatte senza risposta sulla stampa, sono state oggetto dell'audizione che il presidente del Consiglio ha svolto il 23 ottobre davanti al Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi di sicurezza, presieduto dal leghista ex sottosegretario alla Difesa, Raffaele Volpi. Al termine dell'audizione, pur non potendo rivelarne i particolari poiché sono coperti da segreto, Conte ha voluto tenere lo stesso una conferenza stampa per smentire, ha detto, la "massa consistente di ricostruzioni fantasiose" fatte dagli organi di informazione sull'argomento, che "rischiano di gettare ombre sul nostro impianto istituzionale". In cui però sostanzialmente non ha chiarito fino in fondo perché autorizzò quegli incontri, in quella forma a dir poco anomala, e quali siano le informazioni fornite agli inquirenti del governo Usa, limitandosi ad una strenua autodifesa del suo operato e a negare tanto qualsiasi coinvolgimento dell'Italia nella vicenda quanto di aver voluto rendere un servigio a Trump in cambio del suo appoggio politico.

Il risvolto italiano del Russiagate
La pista che ha portato Barr in Italia è partita dall'avvocato George Papadopoulos, ex collaboratore di Trump per la sua campagna presidenziale, che due anni fa fu condannato per aver mentito all'Fbi in merito all'affare Russiagate, quando furono utilizzate delle mail di Hillary Clinton hackerate dai russi per favorire la vittoria di Trump. Avvicinandosi il rischio di impeachment per il capo della Casa Bianca, ora Papadopoulos sostiene di essere caduto vittima di un complotto ordito nel 2016 da Obama, dall'Fbi e dalla Cia ai suoi ordini, con l'aiuto di alcuni servizi segreti occidentali, tra cui quelli inglesi e italiani, per screditare Trump e fargli perdere le elezioni. In particolare Papadopoulos, che nel 2016 si trovava a Roma, sarebbe stato avvicinato dal maltese Joseph Mifsud, un faccendiere internazionale e sedicente "professore" alla Link Campus University diretta dall'ex ministro dell'Interno DC Vincenzo Scotti, il quale gli avrebbe offerto i file contenenti le mail della Clinton in possesso del governo russo di cui egli diceva di essere un agente.
Secondo Papadopoulos Mifsud gli avrebbe invece rifilato una "polpetta avvelenata" confezionata dagli agenti americani a Roma agli ordini dell'amministrazione democratica per screditare Trump, in combutta con l'allora governo Renzi e i servizi segreti italiani, che non a caso sono di casa alla Link Campus, dove tengono corsi di intelligence e conferenze, e dove si sono formati ideologicamente e politicamente svariati dirigenti del M5S come l'ex ministra della Difesa Trenta e l'attuale viceministro agli Esteri Del Re. La moglie di Papadopoulos, Simona Mangiante, che fu presentata a Mifsud dall'ex eurodeputato renziano Gianni Pittella, la quale a sua volta lo presentò al marito, sostiene la sua tesi, dichiarando a "La Repubblica" che Pittella le presentò Mifsud come molto vicino al gruppo dei socialisti europei e legato al governo Renzi, anche se non conosceva il premier di persona. E che nel novembre 2016 Mifsud era con Pittella a Filadelfia per sostenere la Clinton ed era egli stesso un donatore della Fondazione Clinton, quindi "non era affatto filo Putin".
Dopo lo scoppio dell'affare Russiagate in America nel 2017, Mifsud, che era già stato interrogato dall'Fbi, forse temendo di essere di nuovo chiamato in causa dai servizi Usa, è sparito dalla circolazione e ha fatto perdere le sue tracce. L'ultimo a vederlo è stato l'avvocato svizzero suo amico Stephan Roh, che è anche azionista della Link: "Mi ha detto che nell'ottobre 2017 il capo dei servizi segreti italiani avrebbe contattato il presidente della Link University Vincenzo Scotti e gli avrebbe raccomandato di far sparire il professore e tenerlo per un po' di tempo in un luogo sicuro". Scotti ha smentito, ma la frase è stata registrata nel dossier di Barr.

La zoppicante autodifesa di Conte
L'amministrazione Trump si è buttata a pesce su questo filone italiano aperto da Papadopoulos, per trasformarlo in una controinchiesta per scagionare il presidente e screditare l'inchiesta condotta a suo tempo dal procuratore speciale Mueller nominato da Obama. Trump ha incaricato il suo ministro della Giustizia e il procuratore speciale John Durham di condurre questa controinchiesta, con il compito in particolare di rintracciare Mifsud e trovare le prove del complotto ai suoi danni. Per questo li ha inviato in Italia a interrogare i responsabili dei servizi segreti italiani, sospettando che abbiano coperto la fuga di Mifsud e le trame degli agenti Fbi e Cia che avrebbero architettato insieme a Mifsud l'offerta dei file russi a Papadopoulos.
Il 15 agosto si sono perciò incontrati, secondo quanto dichiarato dallo stesso Conte, William Barr e il direttore del Dis Gennaro Vecchione, che coordina i due servizi segreti italiani, quelli interni (Aisi) e quelli esterni (Aise), nella sede del Dis in piazza Dante. L'incontro del 27 settembre avvenne tra Barr e il procuratore Durham da una parte, e il prefetto Mario Parente e il generale Luciano Carta, direttori rispettivamente di Aisi e Aise, oltre allo stesso Vecchione, dall'altra. In mezzo ai due incontri ci fu il famoso tweet di Trump in favore dell'"amico Giuseppi", e il sospetto legittimo è che fosse stato propiziato dalla compiacente messa a disposizione dei nostri servizi agli inviati di Trump da parte del presidente del Consiglio. Anche perché i contatti tra servizi segreti di paesi alleati devono avvenire tra livelli omogenei e di pari grado, cioè tra servizi e servizi, e non possono avvenire tra servizi e livelli politici stranieri, come è avvenuto in questo caso.
Per smentire che il suo acconsentire alle richieste americane fosse stato un favore reso a Trump per aiutare la nascita del suo governo Conte ha precisato che la richiesta americana risale a giugno, e non è stata fatta da Trump ma dal ministro Barr, e non direttamente a lui ma "attraverso canali diplomatici", ovvero l'ambasciatore italiano a Washington, Varricchio. "Trump non mi ha mai parlato di questa inchiesta", ha detto. Quanto a Barr, con cui egli non ha mai parlato, né di persona né per telefono, "essendo anche responsabile Fbi" (ma non tecnicamente il capo, ndr) era anche titolato a contattare servizi segreti all'estero. Del resto la richiesta riguardava "verificare l'operato degli agenti americani. cioè il quesito era verificare l'operato dell'intelligence americana", e quindi "se ci fossimo rifiutati di sederci a un tavolo con un nostro alleato storico avremmo arrecato un danno al nostro comparto di intelligence, oltre a una grave slealtà".

La faccenda è tutt'altro che chiusa
Conte si è autoassolto anche per non averne parlato con Bonafede o altri nel governo, perché "se avessi condiviso informazioni con persone non titolate a riceverle avrei violato la legge". E ha difeso anche la regolarità dei due incontri nella sede del Dis, sostenendo che il primo è servito "a delimitare il perimetro della collaborazione" e il secondo "è servito a chiarire che alla luce delle verifiche fatte la nostra intelligence è estranea a questa vicenda. Questa estraneità ci è stata riconosciuta".
Cogliendo poi al balzo una provvidenziale domanda sugli attacchi di Salvini sulla vicenda, ne ha approfittato per stornare l'attenzione contro l'ex alleato di governo: "Rimango sorpreso - ha attaccato Conte - che Salvini pontifichi quotidianamente sulla questione Barr, sollecitandomi a chiarirla perché non gli tornava". "Salvini - ha aggiunto ritorcendo l'accusa - dovrebbe chiarire cosa ci faceva in Russia con Savoini, in incontri riservati".
Tuttavia la faccenda non sembra chiusa qui, come il premier vorrebbe far credere. Barr e Durham non hanno ancora presentato i loro rapporti sulle due visite a Roma, e bisognerà vedere cosa c'è scritto in quei rapporti e se il contenuto coinciderà con la versione di Conte al Copasir. Intanto, proprio in coincidenza con l'audizione, Fox News ha lanciato la notizia secondo cui l’indagine "si è allargata sulla base di nuove prove scoperte durante il recente viaggio di Durham a Roma con il ministro William Barr". La tv notoriamente vicina a Trump non specifica di che prove si tratta e se a fornirle siano stati i servizi italiani durante gli incontri romani con Barr o se l'Attorney General se le sia procurate da altre fonti, per esempio agenti americani in loco. Fonti dei servizi segreti italiani hanno comunque fatto filtrare una smentita di aver fornito al dipartimento di Giustizia americano le "new evidences" di cui Fox parla, così come in precedenza avevano smentito di avergli consegnato due cellulari Blackberry appartenuti a Mifsud, né tanto meno di aver fatto ascoltare a Barr e Durham un nastro registrato con la voce di Mifsud che si rivolgeva agli agenti italiani per chiedere protezione.
A breve saranno sentiti dal Copasir Anche Vecchione, Carta e Parente. Lo stesso Conte non si deve sentire tanto tranquillo sui possibili sviluppi della vicenda, se è vero che per cautelarsi si sarebbe fatto ribadire per iscritto dai tre capi dei servizi segreti che nei loro archivi non figura nessuna informazione sugli agenti dell'Fbi in Italia nel 2016. Sta di fatto che anche lui è reticente e tiene coperte le sue carte sul servizio reso a Trump, esattamente come fa Salvini sul caso Savoini e la trattativa del Metropole per i soldi di Putin.
 

30 ottobre 2019