Elezioni regionali in Umbria del 27 ottobre 2019
Il 37% dell’elettorato si astiene
La destra fascista batte l’alleanza opportunista PD-Movimento 5 stelle. Tracollo di quest’ultimo partito. Continua il declino del PD. PC e Potere al popolo-PCI imbrigliano importanti forze di sinistra nelle istituzioni borghesi.
Lottare per abbattere le illusioni elettorali, dare un carattere rivoluzionario all’astensionismo e creare le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo

Il 27 ottobre si sono tenute le elezioni regionali in Umbria con un anno di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura a causa delle dimissioni nel maggio scorso della presidente uscente Catiuscia Marini (PD) travolta insieme alla sua giunta dallo scandalo sanità.
Un appuntamento elettorale che dati il carattere locale e l’esiguità degli elettori coinvolti (poco più di 700 mila) poteva passare quasi inosservato. E poteva essere così se nel frattempo non fosse caduto il governo dei due ducetti Salvini-Di Maio; se non si fosse compattata l’alleanza governativa tra PD e Movimento 5 stelle che ha fatto fuori Salvini; se per la prima volta il M5S non avesse accettato un’alleanza elettorale, il “patto civico”, con un’altra forza politica e nella fattispecie il PD, e non vi fosse in atto il tentativo di ricostruire un’alleanza a destra fra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia; se non fosse avvenuta appena pochi giorni prima la scissione di Renzi dal PD e la nascita di Italia Viva. Insomma se nel frattempo il panorama governativo, organizzativo e delle alleanze partitiche non fosse stato così modificato. E, per finire, se alle porte non ci fossero altri appuntamenti elettorali importantissimi come le regionali in Emilia-Romagna (il 26 gennaio) e in Calabria (forse nella stessa data) e poi, in primavera, le regionali in Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche e Puglia.
Ecco spiegato perché queste elezioni umbre hanno avuto fin da subito i fari puntati da parte di tutti i partiti e mass media di regime tanto da assumere un carattere di competizione politica e di carattere nazionale.
E poco conta che Conte, vista la mala parata, avesse spergiurato che non si trattava di un test nazionale. La verità è che per come sono state affrontate prima, durante e dopo, queste elezioni umbre hanno rappresentato un banco di prova pro o contro l’attuale governo, pro o contro l’opportunista alleanza PD-Movimento 5 stelle. Senza contare la necessità della Lega di bissare il risultato delle elezioni europee e di confermare l’assoluta leadership della sua coalizione ribattezzata “Coalizione degli italiani”. Un voto locale che eppure ha richiamato in Umbria tutti i leader dei partiti in lizza e lo stesso presidente del consiglio Conte.
 
L’astensionismo
In questo quadro assume un’importanza ancor più rilevante il risultato dell’astensionismo che, seppure con un calo del 10,1%, si attesta al 37%.
Articolando questo dato nelle sue tre componenti (diserzione dalle urne, schede nulla e bianche) si vede che la diserzione è la componente di gran lunga maggioritaria, infatti raggiunge il 35,3% dell’intero corpo elettorale e in proporzione flette in modo minore rispetto alle altre due componenti (-9,3%). Le schede nulle sono passate da 12.390 del 2015 a 8.248 del 2019 (-0,6%). Le schede bianche da 5.139 a 3.577 (-0,2%).
L’astensionismo regionale si attesta poco sotto a quello delle elezioni europee del maggio scorso. Anche in questo dato si evidenzia la particolarità di queste elezioni. Infatti, se a partire dalle elezioni regionali 2000 la forbice fra elezioni regionali e quelle europee e ancor più con le elezioni politiche (vedi grafico in questa stessa pagina) si allarga fino a registrare la massima ampiezza nel 2015 quando alle elezioni regionali la diserzione raggiunge la quota record del 44,6%, nelle elezioni odierne questo processo si è arrestato e parzialmente invertito. Ciò è dovuto come detto soprattutto al carattere che è stato attribuito a queste elezioni e di riflesso da come sono state vissute dagli elettori. È la dimostrazione che l’astensionismo non è mai un voto scelto a caso, frutto di qualunquismo e semplice disinteresse. Ma è un voto che gli elettori scelgono coscientemente quando e come esercitare.
È anche la testimonianza di quanto salde siano stati le elettrici e gli elettori, soprattutto di sinistra, che si sono astenuti nonostante i forti richiami alle urne e ricatti tipo al cosiddetto “voto utile” per fermare la destra fascista di Salvini e della Meloni.
Un richiamo alle urne che invece ha pesato molto sull’elettorato di destra e anche su quello che di solito, visto il risultato scontato, si asteneva alle regionali per poi votare invece alle politiche e alle europee. Secondo le varie analisi dei flussi elettorali, la destra e in particolare la Lega rispetto alle politiche del 2018 non ha rilasciato alcun voto verso l’astensionismo. I maggiori consensi in Umbria la Lega li realizza in quelle aree del sud-est dove l’astensionismo è risultato più arretrato. Mentre ben quasi il 50% dell’elettorato che alle politiche del 2018 aveva votato M5S oggi si è astenuto. Verosimilmente elettori di sinistra delusi dal M5S ma non propensi a tornare fra le braccia del PD. Così come, sempre secondo i flussi elettorali, si è astenuto buona parte dell’elettorato di Liberi e uguali che non ha gradito il “patto civile” con l’ex alleato di Salvini.
In questa situazione e in questa congiuntura il fatto che oltre un terzo dell’elettorato umbro si sia astenuto occupando saldamente il posto di primo “partito” della regione con un distacco di ben 16 punti dalla Lega è quindi un dato molto significativo sul piano politico ed elettorale. È l’espressione della diffusa volontà di prendere le distanze e punire, delegittimandole, le istituzioni rappresentative borghesi, i suoi governi e i suoi partiti della destra come della “sinistra” borghese.
Del resto a dimostrare che non vi sono differenze sostanziali fra i vari schieramenti basta considerare il tipo di candidato che la coalizione PD-M5S ha contrapposto alla senatrice leghista e ora neogovernatrice dell’Umbria Donatella Tesei: Vincenzo Bianconi, sostenuto anche da Europa verde, Sinistra civica e verde, Bianconi per l’Umbria, un imprenditore di Norcia del settore alberghiero di lusso (4 hotel, 1 residence, 2 dependance, un grande centro sportivo), presidente di Federalberghi Umbria che alle ultime elezioni comunali aveva votato (per sua stessa ammissione in un’intervista a “La Repubblica” del 23 settembre) per Nicola Alemanno, un civico di “centro-destra”. E, per par condicio con la Tesei, anche su Bianconi gravano sospetti a proposito dell’80% dei fondi per la ricostruzione transitati per Norcia (oltre 8 milioni di euro) finiti alle aziende di Bianconi per il restauro degli alberghi di famiglia e per appalti acquisiti.
 
La destra fascista batte l’alleanza PD-M5S
La destra fascista batte l’alleanza opportunista PD-M5S e conquista dopo cinquant’anni il governo della regione Umbria che era considerata, insieme a Emilia-Romagna, Toscana e Marche, il quadrilatero rosso, lo “zoccolo duro” e inespugnabile del PCI revisionista e poi dei suoi eredi. Non è più così. Se prima del 2017 il “centro-destra” era al governo in 3 regioni (Liguria, Lombardia e Veneto), oggi dopo il voto umbro le regioni controllate dalla destra sono salite a 12 (Liguria, Piemonte, Lombardia, provincia di Trento, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata, Sicilia e Sardegna).
In verità già alle elezioni europee del maggio scorso la Lega dell’aspirante duce d’Italia Salvini aveva scavalcato il PD, prosciugato l’elettorato di Forza Italia e ridotto drasticamente i consensi all’allora alleato di governo M5S ipotecando così il risultato odierno. La destra aveva poi già conquistato i comuni di Perugia, Terni, Foligno, Umbertide, Todi e Marsciano e altre città.
Quello della Lega non è stato quindi un fulmine a ciel sereno. Né un inedito e inaspettato esploit elettorale. In verità, se sommati i voti della Lega a quelli della Lista Tesei presidente, Salvini prende sostanzialmente gli stessi voti ottenuti alle elezioni europee. Forse qualcosa di meno considerando che i dati di queste ultime elezioni sono riferiti a un corpo elettorale inferiore (senza cioè gli elettori all’estero).
Fratelli d’Italia della fascista Meloni raddoppia i suoi consensi passando dai 21.931 voti ottenuti nel 2015 ai 43.443 voti attuali, superando addirittura i voti di Forza Italia e dello stesso Movimento 5 stelle. Anche se dei suoi 18 mila voti in più rispetto alle politiche 2018, è quasi certo che buona parte provengano da Forza Nuova e CasaPound che in quell’occasione ottennero 8.827 voti e che alle regionali invece non si sono presentati. Senza contare che anche la massoneria ormai non disdegna il partito della Meloni visto che nella lista di Fratelli d’Italia in Umbria c’era anche un commercialista di Perugia, Paul Dongmeza, già maestro venerabile del grande Oriente d’Italia.
Del resto, appena 9 anni fa, alle regionali 2000, Alleanza nazionale e Movimento sociale (che dovrebbero rappresentare il potenziale bacino elettorale di Fratelli d’Italia) poteva contare in Umbria ancora su oltre 90 mila voti.
Complessivamente la coalizione di destra ottiene il 34,9% sull’intero corpo elettorale che corrisponde al 58,8% dei voti validi alle liste. La neogovernatrice Tesei è stata eletta con il 57,5% dei voti validi che rappresentano solo il 36,3% dell’intero corpo elettorale. La Tesei, peraltro è già al centro di una sorta di scandalo per ora politico anche se non ancora giudiziario per il buco in bilancio (un quinto del bilancio totale) del comune di Montefalco di cui è stata sindaco fino a un anno fa e per un esposto all’ANCI (Autorità nazionale anticorruzione) per violazione delle norme anticorruzione. La Tesei era stata eletta nel 2009 sindaco del comune in provincia di Perugia in una lista civica del “centro-destra”. All'epoca i conti del comune erano perfettamente in regola. Già vicepretore onorario presso la Pretura di Montefalco e in seguito presso la Pretura circondariale di Spoleto, nel 2018 si presenta tra le file della Lega venendo eletta senatrice.
 
PD e M5S
Stando ai numeri, la vittoria della destra è causata ed esaltata dalla pesante batosta elettorale della “sinistra” borghese. Basti pensare che nel 1970 il PCI da solo poteva contare su 215.174 voti. Nel 2000 ancora la coalizione di “centro-sinistra” otteneva 286 mila voti.
È la sconfitta del “buongoverno” revisionista. La verità è ormai sotto gli occhi di tutti. Il PD non riesce ad arrestare l’inesorabile declino a cui ormai sembra condannato e l’alleanza governativa ed ora anche elettorale col M5S non è servita ad arrestare l’emorragia di consensi. Al contrario lascia altri voti a sinistra verso l’astensionismo e a destra verso liste civiche di “centro-destra”.
Lascia il passo alla Lega in quasi tutta la regione. Conserva il primato solo in alcune limitate aree al confine con la Toscana. Rispetto al passato è anche cambiata la distribuzione del voto al PD. Se nel 2015 andava meglio nei piccoli comuni, oggi va un po’ meno peggio solo nei comuni sopra i 15 mila abitanti. L’esatto contrario dell’andamento dei consensi alla Lega.
Perde un quarto dei suoi consensi rispetto al 2015 e alle politiche del 2018 e cala ulteriormente rispetto alle europee 2019. È vero che la corsa nel precipizio si è un po’ rallentata ma non si è certo arrestata. E ancora non si conosce l’effetto che avrà la scissione di Renzi che alle elezioni umbre non era presente ma che ha annunciato che potrebbe essere presente già a quelle dell’Emilia-Romagna e quasi sicuramente a quelle della Toscana.
Ancora peggio è andata al M5S che rischia davvero di ripercorrere il destino di altri movimenti “apartitici” e “antisistema” che la classe dominante ha creato negli anni sul piano elettorale per mantenere all’interno delle istituzioni rappresentative borghesi l’elettorato non più controllabile dai partiti tradizionali.
Il M5S quasi dimezza i propri consensi passando dai 51.203 ottenuti nel 2015 ai 30.953 del 2019. Un raffronto fra elezioni locali omogenee e quindi un dimezzamento non giustificabile dal fatto che in genere il M5S ha le migliori performance nelle elezioni politiche ed europee per mancanza di radicamento locale. Rispetto alle politiche del 2018 quando aveva ottenuto il massimo dei consensi in regione e anche sul piano nazionale divenendo il primo partito (dopo l’astensionismo), con 140.731 voti, in poco più di un anno perde ben 108.778 voti. È il punto più basso raggiunto da questo partito dal 2013 ad oggi. Paga sia l’alleanza di governo con la destra di Salvini, sia quella con il PD di Zingaretti e della giunta uscente travolta dallo scandalo sanità.
Le sue smanie governative hanno sciolto come neve al sole ogni promessa di “purezza”, di “coerenza”, di “integrità”, di “rottura con il passato” aprendo gli occhi a gran parte dell’elettorato che gli aveva concesso corda e fiducia nella speranza di un qualche cambiamento.
A convincere l’elettorato umbro non è valso nemmeno il decreto ad hoc varato in tutta fretta dal governo alla vigilia delle elezioni a favore delle popolazioni terremotate della Velnerina, insieme a quelle di Marche, Lazio e Abruzzo, che da tre anni attendono case, lavoro, infrastrutture, una sanità pubblica efficiente. Troppo poco e troppo tardi per una regione dilaniata ormai da troppo tempo dalla disoccupazione, dalle dismissioni industriali, dal terremoto e dalla crescente povertà.
 
I partiti falsi comunisti
In Umbria erano presenti anche liste alla sinistra del PD. Il PC di Marco Rizzo ha corso da solo con il candidato Rossano Rubicondi e ha ottenuto 4.108 voti. Alle regionali 2015 non era presente, alle politiche 2018 i voti erano 4.521 e alle europee di quest’anno erano stati 7.001.
La liste di Potere al popolo e PCI hanno invece corso in coalizione con il candidato Emiliano Camuzzi. Complessivamente hanno ottenuto 3.442 voti. Alle politiche 2018 Potere al popolo da solo aveva ottenuto 6.733 voti.
Tutti questi partiti sono quindi leggermente calati rispetto alle consultazioni precedenti. Il che non ha impedito a costoro di imbrigliare di fatto nelle istituzioni borghesi migliaia di elettori di sinistra presentandosi con i simboli e il nome di comunisti e altrettanto si ripromettono di fare ai prossimi appuntamenti elettorali a cominciare dalle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna.
Lo stesso PRC, peraltro alleato del “centro-sinistra” in Umbria fino al 2015, non si è presentato alle elezioni umbre né col proprio simbolo né in liste unitarie dopo che la coalizione “Umbria civica, verde e sociale” è confluita nella coalizione del PD-M5S, ma si augura già di poter partecipare a quelle dell’Emlia-Romagna.
Queste forze spargono l’illusione che il cambiamento è possibile subito, senza distruggere il capitalismo e conquistando il socialismo. È possibile addirittura conquistare una sorta di “isole” del socialismo di gramsciana memoria. Nel programma elettorale di “Potere al popolo”, per esempio, si legge che “Possiamo rovesciare questo sistema”, “Non lasciamo l’Umbria nelle loro mani. La vogliamo senza sfruttamento e senza problemi” e poi rilanciano il “bilancio partecipativo” già clamorosamente fallito a Roma come a Napoli e altrove.
Il candidato del PC, Rubicondi, ha invece sostenuto che è necessario usare le elezioni “come strumento di lotta per un’Umbria rossa di orgoglio e non di vergogna e per un’Italia migliore”. “Abbiamo parlato del nostro programma – ha commentato il risultato elettorale - e di come possiamo cambiare l’Umbria qui ed ora. Il momento è adesso. Cambiare lo stato di cose presenti è il compito dei comunisti”.
 
L’alternativa elettorale di classe
La verità che non dicono è che senza socialismo non vi è e mai vi potrà essere reale cambiamento perché solo il socialismo può cambiare l’Italia e dare il potere al proletariato.
Ovviamente, date le condizioni oggettive e soggettive del nostro Paese, il socialismo non è dietro l'angolo, ma possiamo progressivamente avvicinarci ad esso se le avanguardie del proletariato, delle masse lavoratrici, pensionate, disoccupate, popolari, femminili e giovanili e le elettrici e gli elettori coscienti faranno propria questa proposta strategica e si uniranno al PMLI.
Sul piano elettorale questo significa lottare per abbattere le illusioni elettorali, parlamentari, costituzionali, pacifiste e governative che rallentano, demotivano e disperdano le forze che invece vanno concentrate nella lotta di classe e di piazza.
Astenersi (disertando le urne, annullando la scheda o lasciandola in bianco) è già un atto importante e imprescindibile ma occorre dare un carattere rivoluzionario all’astensionismo e creare in tutte le città e in tutti i quartieri le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari basati sulla democrazia diretta.
Organizziamoci fin da ora militanti e simpatizzanti del Partito, ma anche astensionisti coscienti e avanzati di sinistra per propagandare e sostenere l’astensionismo elettorale marxista-leninista e la linea delle istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo.
Intanto l’appuntamento è per la festa per il 50° anniversario de “Il Bolscevico” che si terrà a Firenze il 15 dicembre.
 

30 ottobre 2019