Accordandosi con Erdogan
Putin, come Trump, tradisce il popolo curdo. Rojava rischia di essere cancellata
Le forze curde sembrano accettare il dominio della Siria di Assad

 
Nel pomeriggio del 29 ottobre, alla scadenza del periodo di tregua concordata a Sochi da Putin e Erdogan per completare il ritiro delle milizie curde nel Nord della Siria avviato in seguito al primo accordo definito tra Usa e Turchia, l'esercito di Ankara e le milizie islamiche alleate hanno attaccato le truppe del regime di Damasco che si erano schierate poco a Sud della città siriana di confine di Ras al Ayn. La notizia diffusa dall'Osservatorio siriano per i diritti umani dava conto di violenti scontri e di decine di morti e soprattutto segnava il primo scontro ufficiale tra le due parti dal lancio dell'offensiva di Ankara denominata Fonte di pace per cacciare le forze curde fuori dall'area inziata il 9 ottobre. Un segnale che mostra le prime crepe della spartizione della Siria definita sotto la regia dell'imperialismo russo, intervenuto con un accordo di tregua fotocopia di quello stipulato dal concorrente imperialismo americano e che deve mostrare ancora la sua validità nel tenere a bada lo scalpitante presidente fascista Erdogan che comunque, grazie alle intese con Washington e Mosca, si appresta a occupare militarmente una buona fetta della Siria del nord, lungo tutta la linea di frontiera tra i due paesi, dal già occupato cantone curdo di Afrin alla regione di Idlib, al resto della Rojava. Rojava che rischia di essere cancellata dal tradimento di Putin, che ha seguito quello di Trump; tutti e due si sono infatti impegnati a “preservare l'unità politica e l'integrità territoriale della Siria e la protezione della sicurezza nazionale della Turchia”, che non lasciano spazio ai sacrosanti diritti dei curdi.
Il Memorandum d'intesa tra la Turchia e la Federazione russa stipulato il 22 ottobre a Sochi dal presidente della Repubblica di Turchia, Recep Tayyip Erdogan e il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, riportava anzitutto l'impegno dei due caporioni imperialisti a preservare “lo status quo stabilito nell'attuale area operativa Peace Spring che copre Tel Abyad e Ras Al Ayn con una profondità di 32 km”, ossia a mantenere sotto controllo di Ankara i territori invasi e conquistati dall'esercito turco dopo il via libera di Trump. Stabiliva che la polizia militare russa e le guardie di frontiera siriane sarebbero entrate a partire dal 23 ottobre nella parte siriana del confine turco-siriano, al di fuori dell'area dell'Operazione Peace Spring, per “facilitare la rimozione degli elementi YPG e delle loro armi verso profondità di 30 km dal confine turco-siriano”, comprese invece le città di Manbij e Tal Rifat e ad eccezione della città di Qamishli, la capitale dell'Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est, meglio conosciuta come Rojava.
Il comandante delle Forze democratiche siriane (Fds), Mazlum Kobani, lo scorso 17 ottobre aveva sottolineato che le milizie curde del nord della Siria erano parte dell'accordo raggiunto da Usa e Turchia ma solo per quanto riguardava il cessate il fuoco nell'area tra Tal Abyad e Ras al Ayn, al centro dell'offensiva di Ankara, e che avevano ricevuto “garanzie” sul loro futuro da Washington. Nelle altre aree del nord della Siria si stavano schierando le forze di Damasco e la polizia militare russa sulla base delle intese con l'Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est. Schieramento che sarà oggetto del negoziato chiuso il 22 ottobre a Mosca. Nel ringraziare “il presidente Vladimir Putin e la Federazione Russa per il loro impegno per porre fine alla guerra nelle nostre regioni”, Mazloum Abdi, Capo di Stato maggiore delle Sdf garantiva nella conversazione telefonica del 24 ottobre al ministro della Difesa russo Sergey Shoigu l'impegno al trasferimento dei suoi soldati lontano dal confine turco-siriano, attraverso la Siria nord-orientale, conformemente ai termini dell'accordo che ha rinnovato il cessate il fuoco per permettere la loro sostituzione con le guardie di frontiera del governo centrale. Abdi chiedeva inoltre alla Federazione Russa di “adempiere ai suoi impegni e garantire un dialogo costruttivo tra l'Amministrazione autonoma del Nord e dell'Est della Siria e il centro governo di Damasco”.
Un appello finora caduto nel vuoto tanto che alla prima riunione del Comitato costituzionale siriano a Ginevra del 30 ottobre non ci sono rappresentanti curdi della Rojava.
D'altra parte Putin il 22 ottobre a Sochi aveva ripetuto che “deve essere avviato un ampio dialogo tra il governo siriano e i curdi che vivono nella Siria nord-orientale. È chiaro che tutti i diritti e gli interessi dei curdi come parte integrante della nazione multietnica siriana possono essere pienamente considerati e realizzati solo attraverso un dialogo così inclusivo”. Che comunque prevede l'assorbimento della Rojava nella “nazione multietnica siriana”.
Le foto dei veicoli militari russi che pattugliavano Manbij e le città curdo-siriane, da Kobane a Qamishlo facevano da contraltare a quelle dei blindati americani che rientravano in Iraq o ripiegavano verso i pozzi petroliferi della regione. Putin occupava fisicamente la scena e dirigeva gli ultimi passaggi della spartizione della Siria col regime di Assad che doveva fare buon viso a cattivo gioco e dopo aver tuonato contro l'invasione della Turchia accettava di cedere il controllo della cosiddetta zona di sicurezza alla Turchia ma si riprendeva quello di parte dei territori curdi.
Gli attacchi alla frontiera presso Ras al Ayn delle forze di Ankara contro quelle di Damasco del 29 ottobre possono essere solo un incidente di percorso inevitabile nel marasma della guerra imperialista in Siria o un avvertimento alle forze curde affinché completino senza indugi il ritiro dalla linea di frontiera. Intanto Putin perdeva momentaneamente il centro della scena, sostituito dal Trump esultante per l'uccisione di al Baghdadi.

30 ottobre 2019