30 anni fa, il 9 novembre 1989
La caduta del muro di Berlino è la caduta del revisionismo non del socialismo

Con il 30° anniversario della caduta del muro di Berlino, datata ufficialmente al 9 novembre 1989, la borghesia, i circoli imperialistici e i mass-media loro asserviti celebrano in pompa magna quella che hanno spacciato al proletariato e ai popoli come la "caduta del comunismo", e con essa il conseguente trionfo della democrazia borghese e la supremazia del sistema economico capitalista.
Questo infatti costoro hanno sancito sui libri di storia dopo quell'evento di 30 anni fa, che diede il via alla rapida dissoluzione dell'Unione Sovietica e al sistema di Stati dell'Est europeo ad essa legati politicamente e militarmente. Con il "crollo del comunismo" e la fine della "guerra fredda", essi proclamarono trionfalmente allora, sarebbero finite anche le guerre, e un'era di pace e di prosperità economica capitalistica si sarebbe finalmente aperta per i popoli di tutto il mondo.
Come suona falso oggi tutto ciò! In realtà non erano passati nemmeno due anni da quella osannata "vittoria", che doveva schiudere un'era di pace, che la prima terrificante guerra del Golfo del 1991 annunciava sinistramente quell'infinita catena di nuove e ancor più devastanti guerre - dalla ex Jugoslavia, all'Afghanistan, all'Iraq, alla Libia, alla Siria, allo Yemen, alla Palestina e ad altri conflitti tutt'ora in corso - che in questi 30 anni ha spazzato via tutte le chiacchiere trionfalistiche e demagogiche su ciò che allora venne spacciato come "fine della storia" e delle guerre.
L'alleanza militare imperialista Nato non è stata sciolta, anzi si è rafforzata e allargata a Est e si trova oggi a contatto diretto con la Russia. La quale è a sua volta uno Stato imperialista, dominato da un'oligarchia capitalista di stampo mafioso, che con a capo il dittatore fascista Putin ha ripreso la politica espansionista degli zar. Nei Paesi dell'Est europeo dominano il capitalismo e il liberismo e avanzano l'oscurantismo medievale e il fascismo. In Europa, negli Usa, in Palestina, si erigono ben altri "muri della vergogna" per tenere a bada i paria della terra. E intanto infuriano le guerre economiche e commerciali tra Cina, Stati Uniti e Ue e si acuiscono le tensioni tra le varie superpotenze imperialiste, anche a livello militare, antesignane di un nuovo possibile conflitto mondiale.

Il colpo di Stato revisionista del 1956
Questa è la cruda realtà. E se a tutto questo si aggiunge la devastante crisi economica e finanziaria, che partita dagli Usa nel 2007-2008 ha contagiato tutta l'economia “globalizzata”, risvegliando lo spettro della crisi mondiale del 1929 e facendosi beffe delle teorie liberiste del capitalismo trionfante ed eterno, la destra e la "sinistra" borghesi e imperialiste hanno poco da esultare e festeggiare. Perché in realtà nell'89 non è caduto il socialismo ma il revisionismo, che aveva svuotato da ogni elemento socialista i paesi già socialisti, compresa la Repubblica democratica tedesca di Honecker e del suo successore Krenz. Lo sanno bene anche gli storici della “sinistra borghese”, come Ezio Mauro, che invece spargono menzogne sulla storia del socialismo. Menzogne anche da parte del “manifesto” trotzkista secondo il quale la caduta del muro di Berlino è dovuta allo “stalinismo”, si poteva evitare se si fosse attuato il “socialismo democratico” di Rosa Luxemburg e di Christa Wolf.
Non è fallita cioè la necessità storica ineluttabile dell'abbattimento del capitalismo e l'aspirazione al socialismo, che continua e continuerà sempre a vivere tra gli sfruttati e i popoli oppressi dal capitalismo e dall'imperialismo, ma è fallito solo il simulacro di socialismo che era rimasto dell'Urss e degli altri Paesi ex socialisti dell'Est a seguito del colpo di Stato dei revisionisti kruscioviani al XX congresso del Pcus del febbraio 1956. Finché furono vivi Lenin e Stalin in Urss e Mao in Cina il socialismo ha conosciuto sempre grandi e ininterrotti successi in tutti i campi, ha sconfitto i mostri del nazismo e del fascismo ed era arrivato a rappresentare una grande parte del mondo e dell'umanità, diventando il baluardo mondiale che ispirava e appoggiava le lotte del proletariato dei Paesi capitalisti contro lo sfruttamento e l'oppressione della borghesia e le lotte di liberazione dei popoli dal colonialismo e dall'imperialismo.
Il revisionismo moderno, andato al potere con il colpo di Stato di Krusciov, che con la "destalinizzazione" ha distrutto l'eredità di Lenin e Stalin e restaurato il potere della borghesia, è stata l'arma vincente dell'imperialismo per espugnare la gloriosa fortezza socialista dell'Urss, riuscendo laddove perfino le allora “invincibili” armate hitleriane che avevano conquistato tutta l'Europa si erano rotte le unghie e i denti. E che finché fu vivo Stalin, nemmeno l'accerchiamento, la minaccia nucleare, lo strapotere economico e le provocazioni della superpotenza Usa allora in piena ascesa e dei suoi alleati della Nato erano riusciti ad isolare e far crollare.
Contrapponendo alla dittatura del proletariato lo "Stato di tutto il popolo", alla concezione marxista-leninista del partito il "partito di tutto il popolo", alla via esemplare della lotta di classe e della Rivoluzione d'Ottobre le "vie parlamentari al socialismo", la cricca revisionista kruscioviana pose allora le basi per la liquidazione del movimento comunista internazionale e lo smantellamento pezzo per pezzo della dittatura del proletariato e del socialismo in Urss, che in breve tempo cadde completamente in mano alla borghesia annidata nell'apparato economico, burocratico e militare.

La resa dei revisionisti all'imperialismo occidentale
Dopo la caduta di Krusciov e la salita al potere di Breznev e i suoi successori Andropov e Cernenko, l'Urss si trasformò in una superpotenza imperialista, con ambizioni espansioniste ed egemoniche in Europa, in Oriente e in Africa, militarizzando l'economia ed intensificando lo sfruttamento dei lavoratori e l'impoverimento della popolazione, per sostenere una massiccia corsa agli armamenti in competizione con la superpotenza Usa e per sostenere guerre di conquista come in Afghanistan.
Con la dottrina della "sovranità limitata", applicata con l'invasione della Cecoslovacchia nel 1968, la cricca revisionista completò la trasformazione del Patto di Varsavia, creato dopo la morte di Stalin in funzione difensiva a seguito della nascita della Nato imperialista, in uno strumento per garantire la sottomissione economica e politica di stampo colonialista degli ex Paesi socialisti dell'Est europeo alla superpotenza sovietica, e per reprimere le inevitabili rivolte popolari contro il giogo socialimperialista.
Finché nel 1989, stremato dall'insostenibilità economica della competizione militare con gli Usa e dalla disastrosa guerra in Afghanistan, il socialimperialsimo sovietico implose e con il liberale Gorbaciov si arrese definitivamente al capitalismo e all'imperialismo. Passando il potere alla borghesia capitalista e filo occidentale del rinnegato e corrotto Eltsin e degli oligarchi mafiosi, che privatizzò tutte le proprietà statali e collettive, restaurò un capitalismo liberista selvaggio e sciolse l'Urss: fino ad instaurare l'attuale regime fascista e imperialista del nuovo Zar, Putin.
A questo proposito, nel suo discorso per la 15ª Commemorazione di Mao dell'8 settembre 1991, il Segretario generale del PMLI Giovanni Scuderi, così chiariva la questione della resa dell'Urss all'imperialismo occidentale: "Non si può quindi parlare di crollo del socialismo e del comunismo, ma del fallimento storico dei revisionisti che non sono riusciti nemmeno a conservare il potere e sono stati costretti a passarlo a settori classici borghesi e ad altre correnti della borghesia".

La lotta di Mao contro il revisionismo moderno
Mao aveva capito e denunciato subito la portata controrivoluzionaria della svolta a destra dei revisionisti kruscioviani, e l'aveva combattuta fieramente nel movimento comunista internazionale, consapevole che la partita non era ancora persa e che il revisionismo poteva essere rintuzzato, anche perché allora il vento rivoluzionario prevaleva su quello della reazione. Ma era anche pienamente cosciente che ciò sarebbe potuto accadere anche alla Cina, perché, come egli allora aveva capito dall'esperienza sovietica, le classi e la lotta di classe continuano ad esistere anche nel socialismo, e se il partito avesse abdicato alla lotta di classe e smesso di lottare per la rivoluzione e il socialismo, anche in Cina la borghesia sarebbe tornata al potere. Per prevenire questo aveva ideato e promosso la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, mobilitando milioni di operai, contadini, studenti e intellettuali in difesa del socialismo.
"La grande rivoluzione culturale in corso - metteva in guardia Mao nel 1966 - non è che la prima di questo genere; sarà necessario intraprenderne delle altre. Nella rivoluzione la questione di sapere di chi sarà la vittoria non sarà risolta che al termine di un lungo periodo storico. Se non agiamo come si deve, la restaurazione del capitalismo può prodursi in ogni momento. I membri del Partito e il popolo intero non devono credere che tutto andrà bene dopo una, o due o anche tre o quattro grandi rivoluzioni culturali. Restiamo in guardia e non allentiamo mai la nostra vigilanza" .

Ritornare ad avere fiducia nel socialismo
Purtroppo Mao non ha potuto completare la sua opera, e dopo la sua morte anche in Cina i revisionisti capeggiati da Deng sono riusciti a conquistare il potere, a restaurare il capitalismo e trasformarla col tempo in una tenebrosa dittatura fascista, in una superpotenza socialimperialista in ascesa e protesa a sfidare la declinante ma ancora predominante superpotenza Usa per l'egemonia mondiale.
Tuttavia, visto alla luce del materialismo dialettico e su scala storica, la scomparsa dei primi paesi socialisti non significa affatto la fine del socialismo, ma solo una conferma che la lotta per conquistare il socialismo è una lotta di lunga durata, che conosce e conoscerà ancora fasi di avanzata e di riflusso, prima di potersi affermare in tutto il mondo. In questa fase, in cui il vento della reazione prevale su quello della rivoluzione, occorre lavorare affinché il proletariato riacquisti la coscienza di classe generale destinata a cambiare la società e la fiducia nel socialismo, oggi disperse per colpa del revisionismo, e riprenda la lotta per conquistare il potere politico.
Come ha detto il Segretario generale del PMLI nel già citato discorso del '91: "Non importa quanto tempo ci vorrà, ma prima o poi siamo certi che avverrà. In ogni caso continueremo alacremente, e con più entusiasmo di prima, a svolgere i nostri compiti rivoluzionari ripetendo fiduciosi con Mao che "il sistema socialista finirà col sostituirsi al sistema capitalista; è una legge obiettiva, indipendente dalla volontà dell'uomo. Per quanto i reazionari si sforzino di fermare la ruota della storia, prima o poi la rivoluzione scoppierà e sarà inevitabilmente vittoriosa" .
 

6 novembre 2019