Dopo due sentenze che avevano dato un giudizio opposto, la Cassazione respinge l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso per Carminati e Buzzi
Non c'è Mafia Capitale?
L'indagine dell'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatore aveva dimostrato che i capi delle due famiglie criminali romane erano mafiosi e che a Roma esiste un Mondo di Mezzo

Con una sentenza a dir poco scandalosa, il 22 ottobre la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione presieduta da Giorgio Fidelbo ha smontato la sentenza di appello su Mafia Capitale emessa il 6 settembre dalla Terza Sezione della Corte d’Appello di Roma cancellando il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso a carico dell'ex Nar Massimo Carminati, del boss delle Coop “rosse” Salvatore Buzzi, dei loro rispettivi luogotenenti Riccardo Brugia e Matteo Calvio, e degli altri 13 imputati (su un totale di 32) già condannati e detenuti al 416/bis.
Dunque, dopo 5 anni di indagini e tre gradi di giudizio, anche l'inchiesta sul Mondo di Mezzo e il processo a Mafia Capitale che per almeno un lustro hanno scosso dalle fondamenta tutti i palazzi del potere e coinvolto in pieno sia le giunte di centro destra (Gianni Alemanno) che di centro “sinistra” (Ignazio Marino), finisce nel famigerato “Porto delle nebbie” come è già successo in passato con i processi alla banda della Magliana o più recentemente con le inchieste su “Tangentopoli”.
Era il 2 dicembre 2014 quando Roma si svegliò sotto un dispiegarsi di sirene che annunciavano l’operazione che avrebbe portato all’arresto di 37 persone, e oltre un centinaio di indagati tutti accusati a vario titolo di corruzione, estorsione, usura, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, violenza, malversazioni, traffico di influenze ma soprattutto associazione per delinquere di stampo mafioso.
Una seconda retata scattò nel 2015 quando, il 4 giugno, 19 persone finirono in carcere, 25 ai domiciliari, altre 21 indagate a piede libero e furono disposte altrettante perquisizioni.
Il processo di primo grado, è stato diviso in 240 udienze. Un numero enorme, così come consistente era la quantità degli imputati, che erano 46, tutti scagionati dalla Decima Sezione del Tribunale di Roma, presieduta dal giudice Rosanna Ianniello, dall'accusa più pesante, ossia l’associazione a delinquere di stampo mafioso inclusa l’aggravante prevista dall’articolo 7.
E pensare che fu proprio da una intercettazione di Carminati che gli inquirenti trassero l'ispirazione per dare il nome all’inchiesta denominata appunto di Mondo di Mezzo perché, come spiegava l'ex Nar parlando al telefono con il suo interlocutore: “Ci sono i vivi sopra e i morti sotto e noi in mezzo, un mondo in cui tutti si incontrano”.
Dell’architettura del processo istruito dall’ex Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, dai suoi aggiunti Michele Prestipino, Paolo Ielo e Giuseppe Cascini (oggi consigliere del Csm) e dal sostituto Luca Tescaroli non resta praticamente niente.
Tolto il muro maestro dell'associazione mafiosa tutto l'impianto accusatorio viene a crollare; i reati verranno derubricati e la loro gravità non sarà più giudicata nell'ambito di un contesto mafioso ma di semplice criminalità organizzata e di conseguenze le condanne saranno rideterminate e attenuate con forti e ulteriori sconti di pena.
Grazie agli Ermellini del Palazzaccio diventano definitive solo le condanne per 8 dei 32 imputati che già nella serata del 22 ottobre sono stati tradotti in carcere. Si tratta di: Mirko Coratti ex presidente dell’Assemblea capitolina del Pd (4anni e 6 mesi), Giordano Tredicine ex consigliere di Forza Italia (2 anni e 6 mesi), Franco Figurelli (4 anni), Marco Placidi (5 anni), Andrea Tassone ex presidente Dem del Municipio di Ostia (5 anni), Guido Magrini (3 anni), Mario Schina (4 anni) e Claudio Turella (6 anni).
Per gli altri 24 imputati, tra i quali Carminati, l’ex capogruppo di Forza Italia in Regione Lazio Luca Gramazio, e il boss della Cooperativa sociale 29 Giugno trasformata in Grande Elemosiniere della politica capitolina Salvatore Buzzi (già condannato in passato per omicidio) le pene andranno ridefinite in un nuovo processo d’Appello.
Mentre la tesi dei Pm era che non solo a Roma ci fosse la mafia, ma che fosse autoctona - Mafia capitale, per l’appunto - e che speculasse sui migranti, sui campi nomadi, sugli appalti di manutenzione della città e sui rifiuti. “Con questa operazione abbiamo risposto alla domanda se la mafia è a Roma - disse Pignatone - Oggi abbiamo individuato quella che abbiamo chiamato ‘Mafia Capitale’, romana e originale, senza legami con altre organizzazioni meridionali, di cui però usa il metodo mafioso”.
Tanto è vero che nella lista degli indagati figuravano anche boss politici di spicco della Capitale, come l’ex sindaco fascista Gianni Alemanno (la sua posizione è stata inserita in un altro filone d’inchiesta ed è stato già condannato a 6 anni in primo grado per corruzione e finanziamento illecito), o come Luca Odevaine, già vicecapo di gabinetto dell’ex sindaco Veltroni, capo della polizia provinciale con Nicola Zingaretti e poi capo del Coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo del ministero dell’Interno, già condannato a due anni di carcere per droga nel 1989, ha scelto di non arrivare in Cassazione ed ha optato per il patteggiamento per tutti i reati addebitati.
Non a caso I legali di Buzzi, Carminati, Brugia e Calvio, hanno già annunciato di avere pronta l'istanza di scarcerazione e a metà novembre potrebbero già essere fuori e non tornare più dentro.
Il processo di Appello che si dovrà ricelebrare sarà una pura formalità: si tratterà non di arrivare a una sentenza di merito ma per la maggior parte degli imputati di riqualificare la pena. Prendiamo il caso Brugia. «Condannato a 11 anni — spiega l’avvocato Ippolita Naso — ne ha già passati 5 in detenzione preventiva, più uno di liberazione anticipata sono sei. La Cassazione ha annullato per lui alcuni reati, quindi di certo la pena sarà inferiore a quella comminata». Dunque entro la fine dell’anno potrebbe tornare libero. Stesso identico discorso per Carminati che con i reati depennati due giorni fa, 5 anni già scontati su 14 di condanna, e l’uscita dal regime del 41 bis avvenuta ieri mattina, con buona probabilità non avrà una condanna nell’Appello bis superiore ai dieci, secondo le rosee previsioni dei penalisti che lo hanno seguito.
Posizione diversa e più complessa per Salvatore Buzzi, l’imputato con più anni di condanna (18) e con più reati contestati. Il suo difensore, Alessandro Diddi, non sa ancora se per lui chiederà gli arresti domiciliari o la scarcerazione. «Per molti dei reati contestati — spiega il penalista — essendo caduta l’aggravante mafiosa, è intervenuta la prescrizione. Se tutto va bene la pena sarà dimezzata e con gli anni già scontati più quello di liberazione anticipata non gli resta molto da fare. Una carcerazione così lunga per corruzione in Italia credo sia la prima volta per un detenuto ».
Non si rassegna invece il Procuratore aggiunto Michele Prestipino, capo della Direzione distrettuale antimafia e Procuratore facente funzione, che promette “Non mi rassegno e non ci rassegniamo neppure all’idea che per qualificare come mafiosa un’associazione criminale ci debba affidare al criterio etnico. Che dunque non si dia mafia dove non ci sono coppole storte e lupara. E per altro, a Roma, in questi anni, l’insufficienza del criterio etnico è stata dimostrata dalle condanne alle cosiddette "piccole mafie". Penso ai Fasciani, agli Spada, ai Casamonica”.

6 novembre 2019