Trump straccia l'accordo globale di Parigi sul clima
Allarme di 11 mila scienziati: “La Terra è in piena emergenza climatica”
Occorre un movimento di massa anticapitalista per l'ambiente

La notizia data dal Segretario di Stato americano Mike Pompeo, non ha sorpreso nessuno. Fin dalla sua elezione Trump aveva dichiarato di volersi sfilare dall’accordo sul clima di Parigi siglato nel 2016 e sottoscritto per gli USA dall’amministrazione Obama.
Gli USA quindi hanno formalmente avviato le procedure per recedere dagli Accordi di Parigi, procedura che diverrà effettiva tra circa un anno.
Trump si tuffa dunque nelle lacune di quell’accordo celebrato in pompa magna da tutta la comunità internazionale a fine 2015, utilizzando un canale – il recesso – che il regolamento effettivamente consentiva a qualunque Paese avesse voluto in futuro esercitarlo.
Nel merito però, il fascista di Washington calpesta senza pietà i diritti e le aspirazioni di tanti giovani che anche negli USA, così come in ogni altra parte del mondo, stanno scendendo in piazza per gridare forte la loro contrarietà alle politiche economiche e sociali che favoriscono il riscaldamento climatico, per la tutela dell’ambiente e conseguentemente della salute pubblica, ed anche contro la povertà e la rapina delle risorse dei paesi poveri da parte dell’imperialismo.
 

L'ennesimo allarme della comunità scientifica
Una decisione presa proprio mentre gli eventi meteorologici estremi si moltiplicano in ogni angolo del mondo rendendo evidenti le proiezioni catastrofiche ed ormai decennali degli scienziati di settore, l’ultimo di qualche giorno fa promosso da 11 mila scienziati di 153 nazioni, tra i quali 250 italiani, sulla rivista BioScience che hanno proposto un appello sostenendo che la Terra si trova in piena emergenza climatica.
Un rapporto che ha analizzato tantissime variabili che contribuiscono al riscaldamento globale come la crescita della popolazione dal 1980 ad oggi, la fertilità umana, il GDP, i consumi energetici, le emissioni globali di CO2, il prezzo del carbonio, i sussidi ai combustibili fossili, la produzione pro capite di carne e il trasporto aereo.
In conclusione il rapporto indica come indispensabili ed urgenti sei provvedimenti: la sostituzione immediata dei combustibili fossili con fonti rinnovabili, la riduzione degli inquinanti climatici come polveri sottili e idrofluorocarburi, il ripristino degli ecosistemi naturali, il passaggio all'economia carbon-free e la ricerca di “approcci” che garantiscano giustizia sociale ed economica.
Punti condivisibili, anche se al cartello, manca il passaggio principale, e cioè che tutto ciò che si auspica è impossibile da realizzare perdurando il sistema capitalista che in se stesso li nega, a cominciare proprio dall'ultimo punto sulla giustizia sociale ed economica che i popoli possono conquistare solo nel socialismo.
Trump pare non considerare neppure ciò che accade nel suo Paese dove, nonostante la deregolamentazione delle emissioni nocive operata dal governo, continua a scendere la produzione di carbone che anche quest’anno registra una riduzione del 14%; da quando è diventato presidente, negli USA sono state chiuse almeno 50 centrali a carbone e, per paradosso, il Texas centro dello “shale oil” è divenuto la capitale a stelle e strisce degli impianti eolici il cui costo di produzione di elettricità sembrerebbe sceso sotto quello degli impianti a fonti fossili.
 

Gli USA primo inquinatore mondiale
Annie Leonard, direttore esecutivo di Greenpeace USA, ha dichiarato che “Con il ritiro dall’accordo sul clima di Parigi, l’amministrazione Trump trasforma l’America da leader globale sul clima a un parassita globale del clima”, rilanciando sul profilo Twitter alcuni dati diffusi qualche mesi fa dal sito “Carbon Brief”, che mostrano come gli Stati Uniti siano i maggiori responsabili delle emissioni globali di CO2 da un punto di vista storico avendo contribuito dal 1750, con 397 miliardi di tonnellate, quasi il doppio dei 214 della Cina, Paese che invece rimane il primo inquinatore attuale contribuendo per il 28% sul totale delle emissioni climalteranti.
Tuttavia il ritiro degli Usa dall’Accordo di Parigi, nonostante fosse attesa, ha suscitato molte reazioni negative in tutto il mondo.
 

Le reazioni internazionali
A ciò ha contribuito anche il fatto che l’annuncio è stato dato ad appena un mese dalla prossima conferenza dell’ONU sul clima (la Cop 25), che doveva tenersi inizialmente in Brasile che poi ha rinunciato a causa della posizione negazionista di Bolsonaro, poi in Cile ed ancora rimandata per lo scoppio delle proteste della popolazione in lotta per il caro-vita e per la rivendicazione di altri diritti sociali.
La conferenza si terrà infine in Spagna – ma con organizzazione cilena - dal 2 al 13 dicembre, dedicata agli oceani che minacciano un rialzo del livello delle acque che potrebbe mettere a rischio quasi un miliardo di persone entro la fine del secolo.
Macron, premier francese che si trovava in viaggio d'affari in Cina al momento dell'annuncio, ha immediatamente colto l'occasione per rilanciare un asse franco-cinese di natura “ambientalista”, ma che rafforzerà più che altro i loro rapporti commerciali nell'interesse dei rispettivi capitalismi. Xi Jinping ha assicurato infatti che la Cina nel 2018 sarebbe riuscita a diminuire le emissioni di Co2 del 46%, raggiungendo così in anticipo gli impegni presi nel 2015.
La Russia, aderente da poco all'accordo, ha fatto presente tramite l'agenzia ufficiale di stampa che la decisione di Trump “nuoce in modo considerevole all’Accordo”.
 

Serve un forte movimento anticapitalista di massa per l'ambiente
Protocollo che dunque si sgretola in un susseguirsi di recessi, di nulla di fatto e di nuove conferenze che fanno emergere una tendenza diametralmente opposta agli impegni presi da molti Stati, ma sul quale l'ONU resta ottimista; e come potrebbe essere altrimenti, visto che l'organismo principale, padre dell'accordo è proprio l'ONU stessa?
La pensano diversamente le Ong che sono invece molto preoccupate e che considerano lo sfilarsi degli USA “Un segnale estremamente grave che potrebbe avere conseguenze nel contesto geopolitico attuale di crescita degli estremismi e dei populismi (...) bisogna evitare l’effetto domino con altri Stati, in particolare il Brasile”, come dichiarato da Reseau Action Climat.
Insomma, in questo contesto il nostro appoggio continua a essere indirizzato ai giovani studenti del “Fridays for future”, ai quali ci auguriamo sappiano unirsi operai, donne, lavoratori e pensionati di tutto il mondo per costituire un forte movimento ambientalista con un marcato carattere anticapitalista, che sappia rivendicare e spingere ancor più in avanti le rivendicazioni ed i suggerimenti della comunità scientifica internazionale che non riesce però ancora a porsi al di fuori dell'orizzonte capitalista, causa principale e sostanzialmente unica del collasso ambientale del nostro Pianeta.

13 novembre 2019