Edili in piazza il 15 novembre in cento città

Tornano in piazza i lavoratori dell'edilizia a otto mesi esatti dallo sciopero del 15 marzo scorso. Nulla è cambiato in un settore in crisi da diversi anni e che ha risentito più di altri della durissima crisi del sistema economico capitalistico iniziata nel 2007/2008. Una crisi innescata peraltro negli USA proprio dall'indebitamento sui muti per la casa e il simultaneo crollo dei prezzi delle abitazioni che colpì anzitutto il mercato immobiliare e di conseguenza l'edilizia.
In 11 anni nel nostro Paese la crisi, la più drammatica dal dopoguerra, e in assenza di un'idea di politica industriale, ha lasciato sul terreno 120 mila imprese chiuse e 800 mila operai senza lavoro.
Oltre a questo i “tagli economici, le gare d’appalto al massimo ribasso, l’estensione del subappalto, hanno portato a delle pesanti conseguenze su tutti i settori con sempre meno sicurezza nei luoghi di lavoro, l’aumento dell’illegalità e la diminuzione di diritti e salari. Un unico comune denominatore lega quindi tutte le nostre battaglie: la necessità di ridare valore e attenzione al lavoro e ai lavoratori, avviando delle politiche e degli investimenti mirati”. È questo il commento della Filcams Cgil alla mobilitazione degli edili.
Le conseguenze della crisi non possono continuare a essere la deregolamentazione, il lavoro nero e l'evasione fiscale praticata da numerose aziende del settore. Le costruzioni sono quasi “ferme” ed è impensabile, oltre che dannoso da punto di vista ambientale, puntare su nuova cementificazione con un mercato saturo.
Come chiedono sindacati e lavoratori serve che le grandi stazioni appaltanti (Anas, Rfi, Regioni, Comuni) portino avanti la realizzazione delle infrastrutture, ma non quelle inutili e osteggiate dalla popolazione, e la messa in sicurezza del territorio e dell'edilizia pubblica, a partire da quella scolastica. Di pari passo ad agevolazioni che facilitino i lavori dei privati per riqualificare e ristrutturare e mettere a norma il patrimonio edilizio già esistente. Misure che potrebbero assicurare lavoro per almeno 20 anni.
I segretari generali degli edili Cgil, Cisl e Uil affermano che “Rimettere in moto il settore, da sempre volano per la ripresa economica, vuol dire non solo lavoro per centinaia di migliaia di persone e ossigeno per un indotto enorme ma dare al paese infrastrutture moderne, edifici e territori riqualificati, riducendone i consumi e mettendoli in sicurezza dai rischi sismico ed idrogeologico. Far ripartire le costruzioni vuol dire far ripartire l’intera economia del paese”.
La mobilitazione ha visto gli edili dimostrare in oltre 100 piazze e in tutte le regioni italiane dove oltre agli investimenti pubblici hanno chiesto lavoro di qualità anziché massimo ribasso, più sicurezza e diritti e meno precariato e lavoro nero.
Manifestazioni si sono svolte a Genova, in Brianza, a Roma, Pescara e Campobasso. Presidi e volantinaggi sono stati organizzati in quasi tutti i capoluoghi di provincia, da Torino a Trento, Trieste, Bologna, Firenze, Ancona, Napoli, ma anche in luoghi significativi come Norcia in Umbria, dove la ricostruzione post terremoto è ancora ferma al palo; fino al profondo Sud: Bari, Catanzaro, Palermo, Siracusa, dove l'edilizia spesso rappresenta uno dei pochi sbocchi occupazionali.
 
 

20 novembre 2019