Un aiuto a Netanyahu per farlo rimanere al governo
Trump legalizza le colonie israeliane
Ancora una volta calpestati i diritti dei palestinesi e il diritto internazionale. Condanna a parole di Onu e Ue

 
Il 24 dicembre 2016 il presidente americano Donald Trump, appena eletto ma non ancora insediato alla Casa Bianca, aveva attaccato l'Onu che pochi giorni prima aveva per l'ennesima volta dichiarato illegale la costruzione delle colonie israeliane nei territori palestinesi occupati, “una flagrante violazione del diritto internazionale”, e ne aveva chiesto lo smantellamento seppur solo di quelli costruiti dopo il marzo 2001. E aveva promesso all'allora governo di Benjamin Netanyahu un “nuovo corso” dei rapporti con Israele. Infatti dopo aver stracciato tutte le risoluzioni in merito dell'Onu ha riconosciuto Gerusalemme come capitale, l'annessione dei territori occupati della Siria sulle alture del Golan e infine legalizzato le colonie israeliane.
Un riconoscimento che è apparso tra l'altro come un valido aiuto al collega imperialista sionista impegnato nella difficile opera di rimanere alla guida del governo, nella poltrona che occupa dal 31 marzo 2009, dopo il per lui deludente risultato delle elezioni politiche anticipate dello scorso settembre che ha fatto scendere il suo partito, il Likud, al secondo posto e lasciato inalterata la situazione di equilibrio tra le principali forze politiche sioniste. Come si era speso a favore di Giuseppe Conte nel pieno della bagarre a Roma nell'agosto scorso, Trump ha sponsorizzato il suo candidato preferito a Tel Aviv, dichiarando legali le colonie, uno dei cavalli di battaglia di Netanyahu.
L'appoggio dell'imperialismo americano ai sionisti di Tel Aviv non è mai mancato da nessuna delle amministrazioni che si sono succedute alla Casa Bianca, repubblicane o democratiche che fossero, anche quando nel 1978 facendo finta di allinearsi al diritto internazionale fu adottato l'Hansell memorandum, il parere legale del dipartimento di stato sugli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati nella guerra del 1967, che definiva Israele “un occupante belligerante” della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, della Penisola egiziana del Sinai e delle Alture siriane del Golan. Una posizione formale di facciata, nella sostanza Washington non ha mai frapposto seri ostacoli a Israele per l'allargamento delle colonie, l'espulsione dei palestinesi e l'inglobamento della Cisgiordania.
Il nuovo corso di Trump verso Israele considera che gli insediamenti coloniali in Cisgiordania “non contrastano il diritto internazionale”, vanno solo valutati caso per caso. Il compito di stabilirlo è dei tribunali sionisti. Affidare il compito di stabilire se c'è un reato all'aguzzino che lo sta attuando vuol dire che la faccia tosta dell'arroganza imperialista non ha più limiti. Faccia tosta impersonata questa volta dal Segretario di Stato Michael Pompeo che riassumeva, nella conferenza stampa a Washington del 18 novembre, la posizione Usa nelle principali crisi mondiali.
Le situazioni in ordine di importanza erano l'Iran, al primo posto e seguita da Iraq, Israele, Hong Kong e Bolivia. Gli Usa, sottolineava Pompeo, solidarizzano con la protesta del popolo iraniano, in maniera strumentale dato che quel che interessa a Washington è che il governo di Teheran abbandoni “la sua posizione rivoluzionaria e la sua politica estera destabilizzante nella regione”, ossia che lasci campo libero alle potenze imperialiste egemoni locali amiche degli Usa; solidarizzava con le proteste del “popolo iracheno mentre si batte per un Iraq prospero privo di corruzione e influenza maligna iraniana”. E prima di solidarizzare coi manifestanti di Hong Kong che si oppongono alle manovre della Cina e esultare a favore dei golpisti boliviani perché “la Bolivia si unisce ora al Brasile e all'Ecuador nel riconoscere la minaccia cubana alla libertà”, inseriva l'appoggio esplicito agli insediamenti israeliani.
Gli insediamenti non sono di per sé illegali ai sensi del diritto internazionale, sosteneva il segretario di Stato americano, e “le conclusioni legali relative ai singoli insediamenti devono dipendere da una valutazione di fatti e circostanze specifici sul campo, come hanno fatto i tribunali israeliani”. Che tale posizione non sia una semplice disquisizione giuridica ma un aperto riconoscimento dell'occupazione sionista di quasi tutta la Cisgiordania lo rivelava un passaggio successivo della conferenza stampa nella quale Pompeo riconosceva che “per il diritto internazionale nessuno può invadere un altro territorio manu militari e costruirci un insediamento che poi sarà sempre più difficile spostare”. Se i sionisti lo possono fare nei territori palestinesi occupati significa che non sono più territori palestinesi ma parte integrante di Israele, del sogno sionista della Grande Israele. Non conta nulla per l'amministrazione Trump che i sionisti di Tel Aviv per costruire le colonie da decenni distruggono le campagne e i raccolti palestinesi, cacciano o costringono i palestinesi a andarsene dalle loro case a Gerusalemme Est e in Cisgiordania in violazione anche della Quarta Convenzione di Ginevra, di cui Washington è firmataria, ove si afferma che una potenza occupante non può spostare la sua popolazione civile nel territorio che occupa. Ancora una volta l'imperialismo americano calpesta i diritti dei palestinesi e il diritto internazionale.
Col plauso di Netanyahu che ha festeggiato una “importante decisione che corregge uno sbaglio storico” dato che “il popolo ebraico non è colonialista straniero in Giudea e Samaria (Cisgiordania, ndr). Infatti noi ci chiamiamo ebrei perché siamo il popolo della Giudea”, cui nessuno però ha dato il diritto di cacciare gli abitanti palestinesi.
Balbettavano Onu e Ue parole di condanna puramente formali. L'Onu ripeteva che gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono illegali e violano il diritto internazionale, lo sapevamo già, mentre il rappresentante speciale Onu per i diritti umani nei territori palestinesi, Michael Lynk, affermava che “la decisione del governo degli Stati Uniti è probabilmente l'ultimo chiodo nella bara della soluzione a due Stati”. La soluzione sponsorizzata dall'imperialismo per favorire il progetto sionista della Grande Israele, stato ebreo, come si è alla fine confermata, al posto di quella corretta di un solo stato in Palestina. Identica la posizione della Ue, espressa dalla ancora Alto commissario per gli affari esteri e le politiche di sicurezza Federica Mogherini, che ripeteva “tutta l’attività coloniale è illegale per il diritto internazionale ed erode la possibilità di una soluzione a due stati e le possibilità di una pace durevole”. Senza adottare azioni conseguenti, a cominciare dalla rottura delle relazioni diplomatiche e dal boicottaggio finanziario e commerciale, sono parole vuote che continuano a coprire i sionisti di Tel Aviv.
Così Netanyahu può continuare a lanciare i raid nazisionisti come quelli che hanno portato all'uccisione del capo della Jihad islamica palestinese Gaza il 12 novembre o come quelli del 19 novembre che colpivano decine di obiettivi in Siria; tentare di schivare la galera dopo che il 22 novembre è stato incriminato dal Procuratore generale dello stato per corruzione, frode e abuso di potere per tre distinti reati commessi dal 2012 e aprire la campagna elettorale in vista delle probabili elezioni del marzo prossimo lanciando il progetto di realizzare “opportunità storiche come l’annessione della Valle del Giordano”, ovviamente sotto la guida del suo governo che intanto resterebbe comunque provvisoriamente in carica.

27 novembre 2019