Popolazione sempre più vecchia, il pubblico non dà lavoro più come in passato, i servizi essenziali cominciano a mancare
Molise, una regione sempre più tormentata da disoccupazione ed emarginazione
Nei pochi centri dov’erano concentrate le grandi industrie, aumentano fallimenti “pilotati”, cassaintegrati e si fermano le assunzioni. I giovani emigrano e i governanti stanno a guardare
Uniamoci in un grande fronte unito. Facciamo leva sulla lotta di classe

 
Dal nostro corrispondente del Molise
 
Il primo articolo della Costituzione italiana recita, come noto a tutti, che “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro ”. I capitalisti nostrani, quindi, almeno a parole danno una grande importanza al lavoro ponendolo addirittura come elemento fondante dello Stato. Sempre carta costituzionale alla mano, per la borghesia che ha in mano il potere politico esso è talmente centrale da dedicargli molti dei primi articoli costituzionali: stessi diritti e paghe fra uomo e donna (art. 37), retribuzione sufficiente ai lavoratori per sostenere se stessi ed eventuale famiglia (art. 36), riconoscere a tutti il diritto al lavoro (art. 4), diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende (art. 46), ecc.
Già, parole, parole, nient’altro che accozzaglia di lettere su un pezzo di carta in modo da dare un senso all’esistenza dei “cittadini” della repubblica. Ma di cosa stiamo parlando? Che presa in giro è questa? La realtà lavorativa del Molise, così come quella di tante altre regioni del Meridione, è ben nota a tutti. Il lavoro ben retribuito, tutelato sindacalmente e garantito per tutti è una pura chimera! Le chiacchiere sono appunto tali, quello che conta sono i fatti, i numeri, la realtà: e cosa ci dice l’Istat, chiamato a fotografare la situazione lavorativa italiana e anche molisana? La verità è alla portata di tutti.
 
In un territorio piccolo, collinare, da sempre terra di confino, emarginazione e emigrazione, la borghesia al potere ha creato una situazione sociale a dir poco stridente con i diritti sanciti dalla stessa carta costituzionale. A fronte di una popolazione di circa 308.000 unità, in Molise si registrano pressappoco 104.800 occupati; oltre 52.000, invece, i privi di occupazione. Infine, in quella che l’Istat definisce “zona grigia dell’inattività”, sono classificati quasi 23.000! Numeri che si commentano da soli!
A peggiorare tale quadro, le relazioni fra questi dati: è vero che in Molise il dato numerico assoluto dei senza lavoro e/o di chi non lo cerca è in leggero calo da diversi anni a questa parte, ma perché? Perché, come rilevato sempre dall’istituto nazionale di statistica, il nostro territorio presenta, al primo semestre del 2019, un’età media di 46,3 anni, mai stata così alta, per di più in crescita costante da 20 anni a questa parte. Gli over 65 sono divenuti il 24,6% della popolazione totale, record storico battuto di anno in anno. Considerato poi che la popolazione fino a 14 anni raggiunge una percentuale dell’11,3% del totale, ecco che le persone in età produttiva (la fascia 15–65 anni) rappresenta ormai solo il 64% sugli oltre 300.000 residenti. I papabili lavoratori, insomma, essendo abbondantemente scesi sotto quota 200.000 unità, mantengono nella media i dati sulla disoccupazione; ecco perché essa, in termini assoluti, pare stabile: le persone in età lavorativa sono sempre meno, di semestre in semestre. I dati, per di più, sono drogati dal fatto che un territorio così piccolo, per il fatto di essere comunque una regione, si ritrova con molta manodopera impiegata nei numerosi uffici pubblici di vario ordine: con l’aria che tira, col blocco delle assunzioni statali, col decentramento fiscale, col probabile accorpamento del Molise verso una o più regioni limitrofe, anche questo palliativo verrà a mancare presto!
Di chi è la colpa di questo stato di cose che si traduce, come visto, in una regione abitata sempre più da anziani e che rischia letteralmente l’estinzione (termine non affatto esagerato: siamo passati dagli oltre 410.000 abitanti del dopoguerra a scendere, fra meno di 15 anni – come evidenziato da ricercatori universitari - sotto i 250.000)? Il colpevole è la struttura stessa del capitalismo, la sua natura arraffatrice, mai sazia di profitti e depauperatrice di ogni risorsa, umana o territoriale che sia.
Soprattutto con l’inizio del nuovo millennio, la borghesia al potere si è data una nuova veste, ristrutturandosi per meglio competere nell’arena mondiale con i giganti USA, Russia, Cina, India, Giappone e i resti dell’impero britannico, inventandosi, dalla legge Biagi in poi, aspetti quali: contratti di inserimento, part-time, telelavoro, tirocini, lavoro intermittente, contratti a progetto, ecc., avendo pure la faccia tosta di spacciare queste porcherie, queste offese alla dignità dei lavoratori per opportunità! Specie per i giovani cui faciliterebbero l’accesso al mondo del lavoro (sic!).
Lo stato attuale delle masse lavoratrici, nazionali e in special modo molisane, è invece di altro tenore. Senza lavoro stabile, senza nemmeno le prospettive di poterne avere uno in breve tempo dopo, magari, un anno di tirocinio, senza tutele normative, ecc., che prospettive hanno i giovani molisani? Beh, anche qui la risposta è nota a tutti: al pari di tanti altri giovani meridionali, emigrare!
Poi ci sono le colpe delle varie giunte comunali, provinciali e regionali di vario colore succedutesi negli anni; ma anche qui, stringi stringi, il colpevole ha un nome noto: capitalismo! In generale, i governanti locali stanno distruggendo la sanità regionale, con dismissioni di reparti e chiusura di plessi, sprecando soldi, non assumendo nuovi medici (di cui c’è forte bisogno). Male il loro comportamento sui trasporti, un settore che a livello sia regionale che comunale, vede la partecipazione di enti pubblici e privati. Il risultato di anni di tali gestioni è stato disservizi, tagli di linee, aumento dei biglietti, personale non retribuito, blocco assunzioni. Ancora più importante, vogliamo parlare dei finanziamenti a iosa giunti da Roma e Bruxelles? Cosa è stato realizzato con tali fondi? Bandi non pubblicati, soldi restituiti all’Europa, centinaia di posti di lavoro che si sarebbero potuti creare andati in fumo. Per non parlare dei finanziamenti andati agli amici degli amici: e anche qui i frutti dove sono? Tutti questi temi andrebbero affrontati separatamente e approfonditamente: ci limitiamo a segnalare le incapacità totali e palesi dei borghesi di tutte le fazioni politiche alternatesi ai vertici comunali, provinciali e regionali, tutti più o meno colpevoli del disastro in cui versa la regione.
Le responsabilità dei politici borghesi locali vanno di pari passo con l’ingordigia di profitto e le incompetenze e comportamenti al limite (e anche oltre) del codice penale dei grandi “capitani di industria” molisani: che fine hanno fatto le grandi aziende del tessile, dell’abbigliamento e dell’agroalimentare che in passato davano lavoro a migliaia di molisani da Pettoranello (Ittierre) a Bojano (decine di caseifici, Arena) a Campobasso (alimentare)? Quasi sempre il copione è stato lo stesso: i “lungimiranti” e “lodevoli” imprenditori si sono presi i soldi, hanno dichiarato bancarotta e lasciato in un vero e proprio dramma centinaia di lavoratori.
Ci sarebbe tanto ancora su cui indagare: disorganizzazione del lavoro locale, sia in campagna che in città, con piccole attività spesso a conduzione famigliare e che causano quindi frammentazione e scarsa capacità di assorbire manodopera, poche le grandi industrie presenti, quasi limitatamente sulla costa o vicino agli snodi autostradali verso la Campania, mancanza di infrastrutture, corruzione.
Il senso di questo articolo è, intanto, diffondere le parole d’ordine per le masse molisane: lavoro per tutti, giovani in primis, ripudio per i palliativi assistenzialisti dei pentastellati e per le politiche lavorative e sociali propugnate dai borghesi, tutte all'insegna dello “stringete i denti e sopportate, verranno tempi migliori”.
Basta con questo letamaio capitalista che nega futuro, tranquillità e diritti: uniamoci tutti, lavoratori, cassaintegrati, disoccupati, sindacati, partiti, movimenti, centri sociali, in unico fronte anticapitalista per il lavoro, contro le privatizzazioni, contro la svendita dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, per i nostri diritti, per prenderci quello che ci spetta. Facciamo leva sulla lotta di classe fino ad abbattere il capitalismo e a instaurare il socialismo e il potere politico del proletariato.
 
 

4 dicembre 2019