Perquisiti i finanziatori dell'ex fondazione del leader di Italia Viva
Fondazione Open: indagato Carrai sodale di Renzi
Per il boss di Italia Viva l'inchiesta rappresenta “un vulnus per la democrazia” e un “avvertimento nei miei confronti”

Alla luce degli ultimi risvolti investigativi, il procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco, affiancato dal Pubblico ministero (Pm) Antonino Nastasi e coordinati dal procuratore Giuseppe Creazzo, che dall'estate scorsa indagano sulle torbide vicende finanziarie del cosiddetto “Giglio magico” renziano, sono sempre più convinti che la fondazione Open, la cassaforte renziana presieduta dall'avvocato degli affari sporchi di Renzi, Alberto Bianchi, dal giorno della sua fondazione nel 2012 fino allo scioglimento nel 2018, sia stata utilizzata da Renzi e dai suoi sodali come una sorta di “articolazione di partito” e impiegata come strumento di finanziamento illecito per la scalata politica del boss di Italia Viva iniziata nel 1998 come segretario provinciale del Ppi, poi coordinatore provinciale della Margherita, presidente della Provincia di Firenze, sindaco della città, segretario del PD e quindi presidente del Consiglio.
Gli indagati
Nel registro degli indagati sono già finiti, nell'ordine: l’ex presidente di Open Alberto Bianchi; il fedelissimo Marco Carrai, considerato il “Verdini” di Italia Viva e di Renzi; l’amico imprenditore fiorentino Patrizio Donnini, al quale gli inquirenti hanno sequestrato una scatola di scarpe piena di banconote; la moglie Lilian Mammoliti (una delle organizzatrici delle convention della Leopolda) e il manager della società Renexia (gruppo Toto) Lino Bergonzi. Tutti accusati a vario titolo di finanziamento illecito, riciclaggio, autoriciclaggio e traffico di influenze.
Secondo la procura, Open ha agito da "articolazione" di un partito, come testimoniato dal lavoro in occasione delle primarie del 2012 o dalle ricevute di versamento da parlamentari. Inoltre “ha rimborsato spese a parlamentari ed ha messo a loro disposizione carte di credito e bancomat”. Perciò concludono i Pm “Occorre vagliare le condotte degli indagati (Carrai e Bianchi su tutti ndr), per accertare quali siano stati nel dettaglio i rapporti tra la fondazione e i soggetti finanziatori”.
L'elenco dei finanziatori
Nei giorni scorsi tutti gli indagati, insieme a una trentina di finanziatori di Open che hanno elargito somme dai 50mila euro in su, sono stati oggetto di un decreto di perquisizione che ha portato fra l'altro alla scoperta di un elenco segreto contenente i nomi degli imprenditori con accanto i rispettivi nomi di politici e consiglieri di amministrazione che li hanno convinti a finanziare Open. L'elenco era nella disponibilità dell’ex presidente Bianchi e ora è al vaglio degli inquirenti per verificare se chi ha versato denaro “per sostenere l’attività politica di Matteo Renzi” abbia poi ottenuto vantaggi per le proprie aziende o incarichi di rilievo nelle istituzioni.
Sono stati perquisiti tra gli altri anche gli uffici dell'armatore napoletano Vincenzo Onorato (presidente della Moby Lines e del consorzio velico "Mascalzone Latino"), Marco Zigon della Getra a Napoli, il gruppo Garofalo a Roma e a Firenze i fratelli Aleotti (proprietari della farmaceutica Menarini), Corrado Fratini e i fratelli Bassilichi.
Tra i boss renziani più attivi nel reperire finanziamenti figurano Luca Lotti, Maria Elena Boschi, lo stesso Bianchi e altri boss politici vicini a Renzi.
Durante i suoi 6 anni di attività la Fondazione ha ottenuto oltre 7 milioni di euro di finanziamenti. Nel 2018, quando ha chiuso i battenti subito dopo le dimissioni di Renzi da capo del governo, Bianchi ha dichiarato di avere una perdita di circa un milione di euro. Entrate e uscite che la Finanza sta ricostruendo partendo dal sospetto che in realtà una buona parte dei soldi fossero un vero e proprio finanziamento illecito alla corrente del Pd che faceva capo a Renzi.
Tra i soggetti destinatari delle perquisizioni eseguite dalla Gdf figura anche il finanziere milanese Davide Serra, naturalizzato britannico, che all'epoca del primo Big Bang si era pubblicamente vantato di aver finanziato la cassaforte di Renzi con una donazione da 150mila euro.
Il ruolo di Carrai
L’obiettivo dei Pm è di far luce sui “significativi intrecci” tra i tanti sponsor privati di Open e i suoi esponenti più attivi sia sul fronte politico che economico.
Nel mirino degli inquirenti infatti c’è soprattutto la Wadi Ventures Management, la Sarl (società a responsabilità limitata) con sede in Lussemburgo fondata da Marco Carrai nel 2012 assieme ad alcuni soci israeliani e sospettata di essere la stazione di transito del flusso di finanziamenti illeciti diretti alla Fondazione Open. Nel suo asset c'è anche la Wadi ventures sca e “quest’ultima società risulta destinataria di somme di denaro provenienti, tra gli altri, da investitori italiani già finanziatori di Open, e collegati a Carrai”. Il punto da chiarire secondo gli inquirenti è il rapporto che lega le persone presenti nelle società lussembrughesi e perché “ricorrono insieme all’indagato, anche all’interno di società italiane, e cioè “Yourfuture spa”, “Cambridge management consulting labs spa”, “Cys4 srl”, “Cgnal srl”, “Kcube srl”, che hanno sede in via Farina 47 a Firenze”. E soprattutto se queste aziende hanno avuto a che fare e in che misura e circostanza, con Open.
Come mai, si chiedono gli inquirenti, nel 2012 Serra ha versato 50mila euro nelle casse della Wadi per diventarne socio, subito dopo aver finanziato la Fondazione Big Bang di Renzi? Per quale motivo Francesco Valli, fino al 2012 capo della British American Tobacco Italy, nel 2014 ha elargito 100mila euro a Open, ma l’anno prima è diventato socio della Wadi versando 50mila euro? Perché il costruttore Michele Pizzarotti ha deciso di entrare nell’azienda lussemburghese di Carrai con 100mila euro?
Quali sono i reali interessi in gioco? Quali affari sono stati realizzati grazie a questo intreccio di nomi e aziende? Ci sono altri canali paralleli di finanziamenti illeciti?
Il personaggio “decisivo”
I magistrati ritengono che uno dei ruoli chiave in questa vicenda lo abbia svolto proprio Marco Carrai, indicato come “l’anello di congiunzione tra i finanziatori e la fondazione”, con incarichi di rilievo in decine di società italiane, prima fra tutte Toscana Aeroporti, ma anche in alcune importanti società estere tra i cui soci spesso compaiono soggetti finanziatori e beneficiari della Fondazione renziana.
Carrai, grazie ai suoi forti legami con i nazi-sionisti israeliani e il Mossad, coi circoli massonici e finanziari americani e inglesi, la spia americana Michael Ledeen, l'Opus Dei e Comunione e Liberazione ha creato dal nulla società che fatturano milioni di euro all'anno ed è diventato in poco tempo uno dei lobbisti più potenti e influenti a livello nazionale e internazionale. Ha collezionato una serie sterminata di partecipazioni azionarie, presidenze di municipalizzate, società, consigli di amministrazione e a ottobre scorso è stato nominato anche console onorario d’Israele per le regioni Toscana, Lombardia e Emilia-Romagna durante un evento a Firenze a cui ha partecipato anche l'aspirante duce d'Italia Matteo Salvini.
Per questo, e tanti altri motivi, Carrai è ritenuto dalla procura di Firenze il personaggio che ha svolto “un ruolo decisivo nel reperimento dei finanziatori e nel raccordo tra gli stessi e gli esponenti politici rappresentati dalla fondazione”. E in questi anni, la sua Wadi Ventures, scrivono i Pm Luca Turco e Antonino Nastasi, è stata “destinataria di somme di denaro di investitori italiani”, imprenditori o aziende “già sostenitori della Fondazione Open”.
Non a caso Carrai, quando Renzi era a Palazzo Chigi, fu proposto alla guida della nuova struttura di cyber security formata da una ventina di 007 distaccati tra Guardia di Finanza e servizi segreti Aise e Aisi, col compito di vigilare sulla cyber sicurezza nazionale.
Carrai fra l'altro è anche un grande esperto di cybersicurezza tant'è che per comunicare con la sua fitta rete di investitori, imprenditori, banchieri, società estere, università e costruttori in Italia e all'estero tra cui figurano fra gli altri Fabrizio Palenzona e Carlo Cimbri, Gian Maria Gros Pietro e Giuseppe Recchi, David Serra e Marco Tronchetti Provera, Lorenzo Bini Smaghi e Marco Morelli, Oscar Farinetti e Chicco Testa, Alessandro Baricco e Paolo Mieli, Paolo Fresco e l’allora ambasciatore Usa John Phillips, oltre ai “politici amici” come Luca Lotti e Simona Bonafé, “lavora nell'ombra” e utilizza applicazioni criptate per comunicare col suo network e quindi non sarà facile per gli inquirenti ricostruire contatti e conversazioni. Forse proprio per questo Renzi lo voleva accanto a sé a Palazzo Chigi.
Carrai, tanto per dirne una, recentemente ha fatto anche da advisor agli indiani di Sajjan Jindal nella trattativa per l’acquisto dell’acciaieria ex-Lucchini di Piombino dall’algerino Issad Rebrab e ha voluto proprio Bianchi come consulente. Concluso l’affare, sei mesi fa Carrai è entrato nel consiglio di amministrazione dell’acciaieria, la più grande d’Italia dopo l’Ilva di Taranto.
Carrai, le cui origini affondano nell'Azione cattolica (unica tessera che porta sempre in tasca, dice), fa il suo esordio politico nelle file del Partito popolare e della Margherita, per poi approdare a Forza Italia quando Berlusconi scese in campo nel '94. Egli rivendica anzi di aver fondato uno dei primi club di Forza Italia a Firenze e questo la dice lunga anche sui legami di vecchia data tra Renzi e Berlusconi.
La velenosa reazione di Renzi
Tutto ciò spiega la velenosa reazione di Renzi, il quale, appena appresa la notizia della raffica di incriminazioni e perquisizioni a carico dei suoi più attivi e fedeli sostenitori, si è scagliato a spada tratta contro i magistrati che hanno osato ficcare il naso nei suoi affari. Nel corso di una conferenza stampa a Parma ha attaccato l'inchiesta dei Pm fiorentini sostenendo che rappresenta “un vulnus per la democrazia”. Peggio del “complotto” invocato da Berlusconi e dunque assimilabile a una sorta di colpo di Stato giudiziario.
La verità è che Renzi ormai ha capito benissimo che questa inchiesta rischia seriamente di azzopparlo e di metterlo definitivamente fuori dai giochi di potere. Anche perché al vaglio degli inquirenti ci sono anche le carte inerenti il famigerato prestito da 700mila euro “prestati” a Matteo Renzi dagli imprenditori Maestrelli attraverso il conto corrente della loro anziana madre Anna Picchioni e utilizzati dall'ex premier per acquistare la villa di via Tecca, 11 vani, 285 metri quadri, a due passi da piazzale Michelangelo, una delle zone più esclusive di Firenze.
Per il ducetto di Rignano la pubblicazione da parte del settimanale “L'Espresso” dei retroscena e dei documenti che hanno caratterizzato la compravendita in concomitanza con l'esplosione dell'inchiesta su Open rappresenta “un avvertimento” nei suoi confronti.
Durante la sua ospitata a Circo Massimo, su Radio Capital Renzi ha insinuato: “Ho solo criticato l’invasione di campo di due magistrati nella sfera politica e la risposta è la diffusione di miei documenti privati personali” e ha usato la parola “avvertimento” in riferimento alla tempistica con cui è stata pubblicata la notizia.
Il prestito e l’operazione immobiliare risalgono a un anno e mezzo fa e, come racconta il “Corriere della Sera”, la compravendita ha attirato l’attenzione dell’unità Antiriciclaggio di Bankitalia, che ha chiesto approfondimenti sul torbido giro di soldi alla base dell’acquisto. In particolare sui “tre bonifici sospetti” per un totale di 673 mila euro arrivati sul conto di Renzi aperto presso la filiale Bnl al Senato e utilizzati per estinguere il debito per l'acquisto della villa. Il primo “bonifico sospetto” da 119 mila euro è stato effettuato da Celebrity Speakers e Mind Agency; il secondo da 454 mila euro provengono dalla Arcobaleno 3 Srl, società del gruppo Presta, e il terzo per circa 100 mila euro ha come mittente il fondo inglese Algebris di Serra.
“Io non ho niente da nascondere – ha tuonato Renzi dai microfoni di Radio Capital - ma sommessamente faccio notare che qualcosa non torna: è evidente, e lancio un appello da questa radio, che il messaggio alle aziende è: ‘non finanziate Italia Viva’ se non volete passare guai”. Renzi ha spiegato inoltre che quando si indaga “significa che ti entrano in azienda, ti portano via i computer, i tablet, i telefonini e che ti bloccano e devi spiegare ai clienti – ha aggiunto – che sei fermo perché hai dato soldi regolari. Un messaggio che quindi dice: se dai soldi a Renzi ti perquisiscono”. Ma Renzi si è guardato molto bene dal spiegare come mai proprio Riccardo Maestrelli fu nominato dal suo governo il 5 maggio 2015 nel cda di Cassa depositi e prestiti Immobiliare Spa. L’imprenditore Maestrelli, come raccontato dal “Fatto Quotidiano” nel 2016, è proprietario dell’hotel di Forte dei marmi dove l’ex premier fa le vacanze. E Maestrelli è noto che ha finanziato la campagna elettorale per le amministrative a Firenze di Matteo Renzi nel 2013. E che il marito della Picchioni e padre dell’imprenditore, Egiziano Maestrelli, stando a quanto ricostruito nell’inchiesta su Open, era tra i principali finanziatori della fondazione. Nel marzo 2017 ha donato 150mila euro. A febbraio 2018, dopo la sua morte, dalle srl controllate dai figli partono tre bonifici per un totale di 150mila euro.
L'origine dell'inchiesta
All’origine dell’inchiesta che risale agli inizi dell'estate scorsa c’è la “singolare e cospicua plusvalenza” realizzata da Donnini attraverso la cessione a Renexia, società del gruppo Toto Costruzioni, di alcune quote di società green titolari di progetti nel mercato delle energie rinnovabili e una parcella di 800 mila euro pagata da Toto Costruzioni a Bianchi per risolvere un vecchio contenzioso con Autostrade.
Secondo la procura fiorentina dietro quel trasferimento societario e la mega parcella si cela un finanziamento illecito ai partiti. Infatti durante le perquisizioni, oltre a sequestrare all’imprenditore vicino a Renzi (che vive a Bagno a Ripoli, alle porte di Firenze) una scatola da scarpe piena di banconote, le fiamme gialle hanno trovato nella sede del gruppo Toto tracce della parcella e hanno scoperto che una parte di quei soldi (400mila euro) non si sarebbe fermata nelle tasche di Bianchi e dei suoi collaboratori, ma, come sostiene la procura fiorentina, è stata versata nelle casse di Open e al comitato per il Sì al referendum.
Da qui parte l’inchiesta, con l’ipotesi di traffico di influenze, che poi si allarga per verificare tutti gli sponsor della fondazione e a Bianchi porta anche l’accusa di finanziamento illecito ai partiti.
Secondo la procura Carrai non fu estraneo a quella vicenda. “Risulta l’intromissione dell’indagato nell’adempimento dell’incarico professionale affidato all’avvocato Bianchi dal gruppo Toto - è scritto nel decreto di perquisizione dell’imprenditore - avendo Carrai agito su mandato di Bianchi con l’ad di Autostrade per l’Italia”. Secondo i pm la circostanza rafforza l’ipotesi che i soldi dati a Bianchi fossero un modo per “dissimulare un trasferimento diretto di denaro dal gruppo Toto alla fondazione”.
Di fronte a tutto ciò il ducetto del M5S Luigi Di Maio ha mugugnato: “Siamo pronti a dare avvio subito a una commissione di inchiesta. La chiedevamo prima e continuiamo a chiederlo, ma ora più che mai è necessario che si faccia luce non solo sulle forze politiche, ma sulle srl che controllano forze politiche su tutte le forme di finanziamento, supporto, sostegno e contributo ricevute da organizzazioni straniere”. Compreso quelli inerenti la Casaleggio Associati? Sic!
La parabola politica di Renzi
La parabola politica di Renzi e della sua banda è la conferma di come i circoli reazionari borghesi, le banche, la finanza e tutti i media a loro asserviti sponsorizzano di volta in volta il politico di turno e, in base alla congiuntura politica ed economica del momento, se ne servono per difendere i propri sporchi interessi.
Del resto è stato lo stesso Carrai a profetizzare in una lunga intervista a “Il Fatto Quotidiano” del 18 marzo 2017 che tra dieci anni Renzi sarà: “Lontano dalla politica. E non per un fallimento, ma perché avrà terminato la missione”.
Dunque costoro non agiscono mai in nome e per conto del popolo italiano come vogliono far credere; ma guardano unicamente al proprio tornaconto politico, elettorale ed economico e di chi sta nell'ombra e li sponsorizza.
Perciò se davvero si vuole “rottamare” la corruzione, la disoccupazione, la mafia, la povertà, la droga e tutti gli altri mali che affliggono l'Italia bisogna spazzare via questo marcio sistema capitalista e tutti i partiti e le consorterie economiche che ne reggono le sorti e instaurare il socialismo per dare avvio al vero e unico cambiamento in grado di garantire prosperità e progresso alle masse popolari sfruttate e oppresse.

4 dicembre 2019