50 anni come fotografo e grafico de “Il Bolscevico”

 
di Giancarlo Canfailla
Ho cominciato a scattare foto per il Partito (allora OCBI m.-l.) alle prime conferenze-dibattito che illustravano le posizioni dei marxisti-leninisti sulle questioni di attualità e politiche. C’era bisogno di un fotografo che liberasse dall’impegno altri compagni e avendo già un po’ di pratica mi veniva richiesto di volta in volta di venire attrezzato per curare le fotografie.
Ho imparato a curare le inquadrature e a seguire tutti gli aspetti di una iniziativa: la partecipazione di pubblico, gli oratori, gli interventi, ecc... Non dovevo documentare semplicemente ma sentirmi parte dell’evento e lavorare con passione: eseguire varie inquadrature, aspettare con la macchina fotografica all’occhio per cogliere l’attimo più efficace, fino a chiedere l’attenzione dei soggetti interessati. Questa ultima cosa l’ho imparata col tempo, ma all’inizio ero “timido” e influenzato dal concetto per cui la foto deve essere “spontanea”. In realtà nessuna immagine lo è veramente perché passa per “l’occhio” e per la testa del fotografo. Questa cosa era (ed è) importante perché vivevo eventi a volte irripetibili (ma quale foto non lo è?) e avevo a disposizione un tempo limitato per scattare, qualche rotolino in bianco e nero e avrei potuto vedere il risultato solo dopo la stampa. Dovevo “immaginare e costruire” il risultato e sperare di aver fissato l’istante giusto; magari facevo qualche scatto in più se potevo e poi dovevo attendere di vedere le foto stampate per valutare i risultati.
Con il servizio stampato affrontavo il confronto collettivo con la Direzione: “questa foto non va, per quella sarebbe stato meglio allargare l’inquadratura, questa va bene però magari se ne poteva fare qualcuna in più, in questa abbiamo perso il momento giusto,…” e così via dicendo.
Grazie a questo metodo di lavoro ho via via corretto, modificato e migliorato lo stile delle riprese e la preparazione precedente e successiva al servizio fotografico curando anche di essere attrezzato adeguatamente per rispondere alla necessità di servizi fotografici sempre più impegnativi.
Successivamente sono stato chiamato a curare i servizi fotografici relativi alle manifestazioni di piazza e ciò che avevo imparato in precedenza mi ha molto aiutato.
Nelle foto di piazza, che sia un corteo operaio o studentesco, una lotta per l’ambiente o una per la difesa della sanità pubblica, un presidio davanti ad una fabbrica oppure un blocco stradale oppure una semplice documentazione relativa ad esempio ad uno scempio edilizio, ecc… dovevo acquisire più conoscenze possibili per capire come, verso chi e dove indirizzare prioritariamente l’obiettivo, cioè nella sostanza “fare un’inchiesta” sul campo, in certi casi molto rapidamente. Il servizio fotografico segue lo sviluppo della lotta in corso o della manifestazione. Ad esempio iniziavo con vari aspetti al concentramento del corteo e poi via via i momenti più combattivi della manifestazione, i cartelli politicamente più significativi, la nostra attività come la diffusione de “Il Bolscevico” e dei volantini, le discussioni politiche, la nostra partecipazione organizzata con bandiere, cartelli e striscioni, i vari compagni presenti in particolare i dirigenti. E poi le vedute generali del corteo e della partecipazione o dell’iniziativa cercando di legare particolare e generale. Per ottenere le foto di cui avevo bisogno e che avevo in mente dovevo attraversare in lungo e in largo il corteo, trovarmi per tempo nei punti che mi interessava fotografare per essere pronto al momento giusto oppure avere il tempo di arrampicarmi qua e là per migliorare il punto di vista dell’inquadratura ed esaltare i soggetti, quelli politicamente più attivi e combattivi, ad esempio.
Il reportage giornalistico che ne viene fuori deve servire ad illustrare gli articoli, ma se è vero che “ogni immagine vale più di mille parole”, ha lo scopo di rafforzare quanto scritto e fornisce al lettore altre informazioni per calarlo nello spirito dell’evento. Ancora oggi, quando osservo le foto scattate anni fa comprese quelle fatte da altri bravi fotografi come ad esempio quelle dell’Autunno caldo se ne percepisce ancora il clima e la forza nonostante siano passati 50 anni.
Le valutazioni critiche e autocritiche successive al servizio fotografico diventavano ancora più importanti specie se sfuggivano dal reportage, a volte anche per motivi di tempo e luogo, aspetti importanti. Così in tutti questi anni ho avuto l’onore e soprattutto la responsabilità politica di fotografare tante iniziative interne come di decine e decine di manifestazioni che hanno visto l’impegno e la partecipazione del PMLI.
Il Partito, grazie all’esperienza accumulata negli anni, si è avvalso di altri fotografi e altri si sono messi al lavoro nelle redazioni locali e come corrispondenti locali senza dimenticare in tal senso i contributi dei lettori. Questo a conferma che “Il Bolscevico”, nonostante le 16 pagine di cui dispone e la tiratura settimanale, dà molta importanza e spazio alle immagini superando di molto i quotidiani e i giornali borghesi.
L’impegno di grafico ha seguito di pari passo il mio impegno politico. La mia prima scuola è stata sui banchi della lotta di classe e traeva insegnamento dall’esperienza del movimento operaio internazionale, in particolare della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.
Non potendo accedere all’inizio a nessuna tipografia abbiamo imparato da Mao e dalle Guardie rosse a preparare a mano dei grandi manifesti murali che garantiva una comunicazione rivoluzionaria grafica efficace, ricca e creativa.
Su indicazione del compagno Giovanni Scuderi che era anche Direttore politico de “Il Bolscevico”, i primi manifesti erano caratterizzati nella parte alta dall’immagine di Mao in bianco e nero affiancata al titolo, seguita più in basso dai relativi testi. Semplice ma... faticoso perché i manifesti venivano realizzati a mano. La compianta compagna Nerina “Lucia” Paoletti, che si può a pieno titolo considerare, anche per tutto il suo successivo impegno nel campo, la prima grafica del Partito, aveva creato una maschera con la silhouette di Mao che poi veniva dipinta in nero o blu, poi con delle lettere ritagliate venivano disegnati e colorati i titoli più grandi. Il resto era scritto a mano. Come simpatizzante ho partecipato a realizzare solo qualche manifesto perché avevo una “buona mano”. Successivamente arrivò la stampa serigrafica che ci permetteva di realizzare molte copie di un manifesto con una sola matrice e tutto in maniera relativamente economica.
Quando dovevamo realizzare molti manifesti si organizzavano delle vere e proprie sedute di produzione collettiva. Per prima cosa veniva preparata la matrice su una plastica trasparente: effige di Mao, composizione del titolo con letterine di plastica ritagliate pazientemente a mano e testo scritto a volte a mano, altre volte con letterine più piccole. Successivamente si realizzava un telaio sulla quale veniva inciso fotograficamente il montaggio realizzato che ci permetteva di trasferire su carta l’immagine della matrice. In genere si utilizzavano pochi inchiostri: rosso, nero, blu e marrone. La stampa dei manifesti richiedeva la presenza di diversi compagni. Ognuno aveva il suo compito: chi serigrafava, chi sistemava la carta, chi metteva ad asciugare i manifesti.
Questa tecnica di stampa permetteva di produrre molte più copie e di curare maggiormente la grafica. Una volta per tutte era possibile pensare a delle soluzioni da utilizzare con elementi che rimanevano fissi nei vari manifesti. Il passo successivo fu quello di ispirarsi anche alla grafica rivoluzionaria sovietica in particolar modo a quella scaturita durante la Rivoluzione d’Ottobre, ricca di suggestive immagini e figure. La grafica quindi si allargò. Vennero utilizzate delle immagini appositamente studiate per certi eventi come ad esempio nel 1974 per il 29° Anniversario della Liberazione dal nazifascismo, per il Primo Maggio, per propagandare la linea astensionista alle elezioni, ecc. Un cambiamento importante anche nei manifesti fu la realizzazione nel 1973 del simbolo del Partito allora ancora OCBI m.-l. e che diventò ovviamente un elemento fisso nei manifesti. Da notare inoltre che molti manifesti portavano anche la firma de “Il Bolscevico”. Arrivammo a realizzare anche dei poster con tecniche fotografiche di Lenin e Mao mentre Stalin era stato realizzato tutto a mano. (Nelle pagine di questo numero speciale pubblichiamo alcuni esempi di quella produzione grafica e della sua evoluzione)
Durante questo periodo è iniziata la mia formazione grafica che dal Partito si è trasferita a “Il Bolscevico”.
Il lavoro di impostazione grafica del nostro giornale è modificato ampiamente quando è terminata una prima fase in cui veniva stampato in tipografia con cliché di zinco e piombo e iniziava la stampa litografica col ricorso di nuove tecnologie nella seconda metà degli anni ‘70. Abbiamo, e ho, potuto utilizzare strumenti fotografici e di disegno che si potevano facilmente inserire direttamente nell’impaginazione. Ad esempio in questo periodo ogni titolo veniva composto a mano con caratteri adesivi trasferibili scegliendo facilmente quelli più appropriati, si poteva sfruttare l’uso di filetti adesivi per riquadrare gli articoli e rendere più efficace la grafica delle rubriche fisse e introdurne di nuove. Fu allora che studiai, in base alle richieste della Direzione, varie soluzioni per la “nuova” testata del giornale dato che avevamo l’esigenza di introdurre il rosso per caratterizzarla politicamente ancora di più, per poi arrivare dopo varie soluzioni e ipotesi alla testata che tutti conosciamo. I servizi fotografici venivano pubblicati con maggiore ampiezza, a volte occupando delle pagine intere. E cresceva il mio impegno di grafico e di fotografo anche perché ero incaricato di ricercare la documentazione fotografica relativa agli argomenti trattati.
Dietro al mio lavoro c’era (e c’è ancora) l’impegno della Direzione del giornale, della Commissione di Stampa e Propaganda del Comitato centrale, la linea giornalistica del Partito, le discussioni e il continuo confronto per rendere più efficace un semplice titolo oppure una parola d’ordine. A volte sbagliavo a utilizzare un carattere rispetto a un altro che invece risultava più leggibile. Altre volte disegnavo un elemento grafico che non centrava l’argomento oppure sbagliavo nella scelta di una foto, per non parlare poi dell’impostazione grafica dei manifesti. Discussione, confronto, correzione, rifacimento, approvazione.
Nel tempo, con l’arrivo delle tecnologie digitali (computer grafica) e con maggior padronanza dei mezzi tecnici secondo il principio di essere “rossi ed esperti” è migliorata la veste grafica delle rubriche vecchie e nuove, introdotti avvisi e pubblicità al materiale di stampa del PMLI (libri, opuscoli), dello stesso “Bolscevico”. Settimanalmente è possibile poi dare vita a pagine interamente grafiche, creare dei riquadri per rilanciare avvisi, parole d’ordine e prese di posizione del Partito (manchette). Per certi titoli vengono introdotti anche elementi grafici. Da quando viene pubblicato solo nella versione pdf on-line questo impegno è aumentato la veste grafica è migliorata, più “mossa” e tutta a colori.
Cosa mi auguro per i prossimi anni? Di sicuro nuove leve di fotografi e grafici rossi più bravi, competenti ed esperti, che sappiano mettere a frutto tutto il bagaglio di esperienze fin qui accumulate e continuare a migliorare la grafica e la leggibilità de “Il Bolscevico”.

11 dicembre 2019