Alla faccia dell'onestà e della legalità dei pentastellati
Trenta costretta a lasciare l'alloggio che non le spettava
L'ex ministra della difesa pagava un affitto di appena 142 euro al mese

“Disonestà, illegalità e privilegi a volontà”! D'ora in avanti potrebbe essere questo il nuovo slogan dei Cinquestelle alle prese con l'ennesimo caso di malcostume in cui è coinvolta l'ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta e il suo consorte, Claudio Passarelli, maggiore dell'Esercito.
La scandalosa vicenda, denunciata dal “Corriere della Sera” il 17 novembre, riguarda un lussuoso appartamento di rappresentanza che l'ex ministra pentastellata si è di fatto auto assegnata non appena si è insediata a Palazzo Baracchini di via Venti Settembre e successivamente riassegnato a suo marito quando la Trenta non è stata riconfermata alla guida del dicastero.
Il prestigioso appartamento, per il quale i coniugi Trenta pagano meno di 142 euro al mese, è un alloggio di servizio individuale di rappresentanza del ministero della Difesa tra i sei più belli a disposizione delle alte cariche militari; è situato nel cuore di Roma, in zona San Giovanni in Laterano; ha una superficie di 180 metri quadrati con doppio salone di rappresentanza, quattro camere, due bagni, cucina con terrazza e posto auto nel garage condominiale.
Ma la cosa ancora più vergognosa è che al Catasto risulta che l’ex ministra, docente a contratto alla Link University, ha già una casa di proprietà a Roma nel quartiere Prenestino e il marito ne ha un'altra in Campania.
Pizzicata con le mani nella marmellata e costretta a lasciare entro breve tempo l'alloggio che non le spettava, la “lady di ferro” a Cinquestelle ha avuto anche la faccia tosta di “giustificare” il suo “diritto” al vergognoso privilegio sostenendo che si tratta di una “regolare assegnazione” e che comunque la casa di sua proprietà al Prenestino, dove fra l'altro ha la residenza anche suo marito, non è adatta alle esigenze di rappresentanza e di sicurezza di un ministro e/o di un alto grado dell'Esercito in quanto è poco spaziosa ed è situata in una strada senza uscita.
Mio marito “Ha diritto all’assegnazione di un alloggio del medesimo livello di quello che era stato a me assegnato – ha scritto Trenta su Facebook, rispondendo al “Corriere della Sera” – Inoltre, avendo mio marito richiesto un alloggio di servizio, per evitare ulteriori aggravi economici sull’amministrazione (a cui competono le spese di trasloco, etc.), è stato riassegnato lo stesso precedentemente concesso a me, previa richiesta e secondo la medesima procedura... Quando ho lasciato l’incarico, avrei avuto, secondo regolamento, tre mesi di tempo per poter lasciare l’appartamento; termine ancora non scaduto (scadenza tre mesi dal giuramento del nuovo governo, vale a dire 5 dicembre 2019)”.
Non solo. L'ex ministra ha anche cercato di difendersi con le menzogne dal fuoco di polemiche sostenendo di pagare un affitto mensile di 540 euro, che comunque sarebbero sempre pochi per un appartamento che a prezzo di mercato ha un canone tra i 1.400 e i 1.700 euro al mese.
In ogni caso, la differenza di prezzo fra quanto la ministra ha pagato e ciò che invece avrebbe dovuto pagare di fatto è una mazzetta!
Mentre la Trenta addirittura si è anche vantata di aver fatto risparmiare un bel po' di soldi all'amministrazione inerenti la manutenzione degli avvolgibili e soprattutto per le spese di un doppio trasloco cambiando semplicemente il “legittimo” assegnatario da lei a suo marito. Perciò, ha dichiarato l'ex ministra a Radio Capital: “Non ho violato nessuna legge, è tutto in regola”.
In realtà, come rivela il “Corriere della Sera”, citando la relazione del ministero della Difesa, Trenta paga un canone mensile di appena 141,76 che possono diventare al massimo 314,95 euro nel caso in cui si include anche la rata per l’utilizzo dell’arredamento.
Dunque quelle della Trenta sono giustificazioni a dir poco ridicole che però sollevano interrogativi ancora più inquietanti.
Non a caso sulla vicenda ci sono due esposti e tre procure (militare, ordinaria e contabile) che hanno aperto altrettanti fascicoli di indagine al momento senza indagati né ipotesi di reato per stabilire se è stata corretta la procedura grazie alla quale Trenta ha mantenuto l’appartamento anche al termine del suo incarico da ministra, dopo la riassegnazione dell’alloggio al marito.
Secondo gli articoli 318, 323 e 348 Testo unico ordinamento militare, Dpr 90/2010: “gli alloggi” di quel tipo “non possono essere concessi al personale che sia proprietario o usufruttuario o assegnatario in cooperativa, ancorché indivisa, di una abitazione idonea, disponibile e abitabile, ubicata nell'ambito del presidio ovvero circoscrizione alloggiativa ove presta servizio”, come è senz'altro l'immobile del Prenestino, “ovvero che abbia un familiare convivente nelle stesse condizioni”.
La norma prevede però una “eccezione per i titolari degli incarichi, compresi nella prima fascia”. E guarda caso il maggiore Passarelli, marito della Trenta, rientra proprio in questa eccezione “perché - ha spiegato la ex ministra - è aiutante di campo di un generale” ossia il generale Nicolò Falsaperna, segretario generale della difesa e capo della direzione generale degli armamenti, un ruolo importante quanto quello del capo di stato maggiore.
Ma la ministra forse si è dimenticata di dire che la nomina di Falsaperna è stata proposta proprio da lei nel settembre 2018. Passarelli aveva già lavorato nella segreteria di Falsaperna – quando il generale era vice segretario difesa – poi dopo l’arrivo della moglie a palazzo Baracchini era stato spostato agli affari generali, reparto che dipende dal sottocapo di stato maggiore che è proprio l’autorità che decide l’assegnazione degli alloggi di servizio “per il personale degli organi centrali”. Esattamente il caso di Passarelli. Che ha un incarico “di prima fascia”, dunque compatibile con l’assegnazione di un immobile prestigioso. E soprattutto consente l’assegnazione anche nel caso in cui il militare, o il coniuge, è proprietario di un appartamento nella stessa città, com’è il caso appunto di Elisabetta Trenta.
Di fronte a tutto ciò appare a dir poco imbarazzante il commento di Luigi Di Maio che, parlando a Salerno alla fine del suo tour campano, ha belato: “Trenta lasci l’alloggio. Il marito farà la richiesta per ottenerlo come tutti gli ufficiali dell’Esercito seguendo la normale graduatoria”.
Ciò dimostra che in pochi mesi i Cinquestelle invece di debellare la corruzione e il malcostume li hanno di fatto legalizzati e portati a un livello mai visto prima sfruttando abilmente tutti i meandri della legge, della burocrazia e del sistema economico e parlamentare borghesi per il proprio tornaconto.
Altro che “onestà” “trasparenza” e “legalità”!
La parabola dei Cinquestelle conferma che la corruzione e il malaffare prosperano in perfetta simbiosi con questo sistema politico ed economico che non può essere riformato ma va spazzato via se si vuol dare inizio a un vero cambiamento.

18 dicembre 2019