Iniziato quest'anno il processo
Asfalto avvelenato
In più di 120 comuni di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna tra il 2014 e il 2016 impastate negli asfalti oltre 720mila tonnellate di sostanze tossiche

 
È iniziato lo scorso 20 marzo al Tribunale di Venezia, quando si è tenuta l'udienza preliminare, il processo a carico di tre veronesi accusati del reato di traffico di rifiuti, ovvero di avere prodotto e commercializzato asfalto altamente tossico, con il quale sono state pavimentate strade di oltre 120 comuni tra il Veneto, la Lombardia e l'Emilia.
Ad avere svolto le indagini è il PM Giovanni Zorzi della Direzione distrettuale antimafia, che ha chiesto il rinvio a giudizio per l'imprenditore Giuseppe Domenico Tavellin, 59 anni, di Cerea (Verona) il quale è rappresentante delle ditte Consorzio Cerea spa e Tavellin Green Line srl, e per i suoi collaboratori Stefano Sbizzera, 49 anni, anche lui di Cerea, e Luciano Manfrini di Minerbe (Verona).
L'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Venezia ha avuto origine a seguito di un incendio doloso, scoppiato in un deposito rifiuti a Milano il 14 ottobre 2018 nella zona di Quarto Oggiaro, dove i sopralluoghi successivi al rogo avevano indotto gli inquirenti a ritenere che parte dei rifiuti ivi stoccati venissero utilizzati per la fabbricazione del “concrete green”, un tipo di asfalto commercializzato come ecologico, del quale sono state prodotte oltre 720mila tonnellate tra il 2013 e il 2016 e che ha avuto sul mercato una grande fortuna, dal momento che veniva venduto a 17 euro al metro cubo contro i 247 euro del prezziario regionale per i cosiddetti “conglomerati ecologici certificati”.
L'inchiesta si è poi spostata a Venezia, Lodi e Verona, dove altri capannoni hanno fornito ai magistrati antimafia veneziani la prova che i loro sospetti iniziali erano più che fondati: il “concrete green” finora prodotto e commercializzato era stato realizzato utilizzando rifiuti, anche tossici e cancerogeni, con i quali si è prodotto asfalto, già disteso nelle strade di tre regioni italiane, che ha valori pericolosamente fuori norma per quanto riguarda numerosi elementi chimici, con il risultato che un tipo di prodotto che avrebbe dovuto essere ecologico, e come tale era presentato dalle ditte produttrici e dai loro rappresentanti alle pubbliche amministrazioni interessate ai lavori di asfaltatura, si è rivelato addirittura tossico.
Le indagini hanno accertato che metalli pesanti come fluoruro, bario, piombo, arsenico, mercurio, diossine o sostanze cancerogene come il cromo esavalente sono stati impastati nei conglomerati da cui si ottiene non soltanto l'asfalto, ma anche il cemento e il calcestruzzo, in modo da risparmiare e smaltire scorie che avrebbero dovuto essere sottoposte ad un trattamento di decontaminazione.
Secondo l’accusa, numerose strade sono state realizzate con asfalto misto a rifiuti in oltre 120 comuni tra il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna, tanto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia ha fatto notificare l’avviso a 109 Comuni, tre Regioni (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) e le Province di Verona, Padova, Rovigo, Mantova, Modena, Ferrara e Bologna), dove tra il 2014 e il 2016 sarebbero state impiegate nella realizzazione di alcune strade interpoderali nelle tre regioni, ed è certo che, oltre ai 109 comuni contemplati nel decreto di rinvio a giudizio, altri comuni sono stati coinvolti dalla realizzazione di asfaltatura tossica nella Bassa Padovana, a Piacenza d’Adige e nel Polesine, appena al di là del confine padovano.
È altresì forte il rischio che gli inquinanti presenti nei conglomerati possano aver determinato un inquinamento dei campi attigui ai luoghi dove sono state stese le strade realizzate con l'asfalto tossico.
Ben poco spazio è stato dato alla vicenda dell'asfalto tossico sulla stampa, soprattutto quella nazionale, ed evidentemente questa assenza di corretta informazione si spiega con il fatto di non allarmare l'opinione pubblica delle ampie zone interessate, ma è nostro dovere dare il massimo spazio alla vicenda.
Da un punto di vista politico, poi, netta e senza appelli deve essere la condanna nei confronti del governo italiano, presieduto ora come allora da Giuseppe Conte, il quale con l'articolo 6 del decreto legge n. 135 del 14 dicembre 2018 ha soppresso il SISTRI (ossia il sistema di controllo digitale della tracciabilità dei rifiuti) che era stato avviato dal governo Prodi nel 2007 per monitorare i rifiuti pericolosi tramite la tracciabilità degli stessi.

24 dicembre 2019