La stragrande maggioranza del popolo algerino boicotta le elezioni presidenziali
“Se ne vadano via tutti”

 
Quando la diserzione delle urne supera il 60% del corpo elettorale, un record storico per l'Algeria, il segnale inviato dalla stragrande maggioranza del popolo algerino è chiarissimo: il boicottaggio delle elezioni presidenziali del 12 dicembre rende senza rappresentanza reale l'eletto, Abdelmadjid Tabboune, quantunque possa vantare quasi un 60% di consensi. E la delegittimazione della farsa elettorale era ancora più forte con la prosecuzione delle manifestazioni che si svolgevano il 13 dicembre e nei giorni successivi in molte città algerine che contestavano le elezioni truccate e rivendicavano “uno stato civile e non militare”.
Nella campagna elettorale iniziata il 17 novembre i candidati presidenziali erano regolarmente contestati, la polizia colpiva e arrestava i contestatori che in regioni come la Cabilia riuscivano comunque a assaltare e bruciare i seggi elettorali. Alla partecipazione al voto sostenuta dai partiti del regime, il Fronte di Liberazione Nazionale (Fln) e il Raggruppamento Nazionale Democratico (Rnd), si contrapponevano le forze di opposizione del Fronte delle Forze Socialiste (Ffs), del Partito dei Lavoratori (Pt) e del Raggruppamento Cultura e Democrazia (Rcd) che in un comunicato invitavano al boicottaggio elettorale e a continuare la protesta in favore di “una transizione democratica che ponga le basi per una costituente per la creazione di una nuova repubblica”. Le ragioni alla base della rivolta popolare iniziata il 22 febbraio scorso da quello che è divenuto il movimento di protesta Hirak che lanciava la parola d'ordine “Yetnehaw ga’!”, “Se ne vadano via tutti”. Per chiudere una volta per tutte col regime militare verso un sistema politico più trasparente, libero e democratico.
Il generale Ahmad Gaied Salah, l’effettivo uomo guida del paese, e il presidente ad interim Abdelkader Bensalah puntavano invece a mantenere il potere attraverso un nuovo presidente, non compromesso col regime, per colmare il vuoto istituzionale creatosi dopo le dimissioni di Bouteflika lo scorso 2 aprile scorso. Il candidato scelto era Abdelmadjid Tabboune che ha vinto le elezioni col 58,15% dei voti validi, prefetto, ex ministro e premier seppur per pochi mesi nel 2017 e allontanato perché in contrasto col potente fratello dell’ex presidente Bouteflika. Tabboune ha promesso di ascoltare le richieste del movimento e intanto riceveva le congratulazioni del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e aveva il primo incontro diplomatico con l'ambasciatore degli Stati Uniti.

24 dicembre 2019