Firmato un patto col governo di Tripoli
Erdogan si allarga nel Mediterraneo
La Turchia promette armi e uomini a Tripoli in cambio della giurisdizione in acque che ospitano giacimenti di gas naturale

 
Il Governo di Accordo nazionale libico (Gna) nella riunione allargata ai vertici militari del 19 dicembre decideva di accettare il sostegno militare della Turchia previsto dai memorandum d’intesa in campo marittimo e militare siglati lo scorso 27 novembre dal premier Fayez al Serraj col presidente Recep Tayyip Erdogan. La richiesta del governo Serrraj di fornire “ogni possibile aiuto” per bloccare quella che potrebbe essere l'offensiva finale del generale cirenaico Khalifa Haftar e dell’Esercito nazionale libico (Lna) contro Tripoli era inserita anche in una lettera indirizzata a Italia, Stati Uniti, Algeria e Gran Bretagna, oltre alla Turchia ma rappresentava una copertura diplomatica mal congegnata per coprire un aiuto militare già concordato col nuovo protagonista imperialista della crisi libica e non solo. Il patto firmato col governo di Tripoli consente al fascista Erdogan, una volta consolidata la situazione in Siria grazie agli accordi con Usa e Russia, di allargare la sua azione nel Mediterraneo; la promessa dell'invio di armi e uomini per mettere intanto in sicurezza il controllo turco su acque che ospitano giacimenti di gas naturale appena dopo tre settimane veniva attivata dal governo del nuovo alleato Serraj per non essere spodestato dal rivale di Tobruk.
Dalle parole ai fatti. In una conferenza stampa del 10 dicembre Erdogan annunciava la possibilità di schierare soldati turchi in Libia in applicazione degli accordi militari e il quotidiano turco Yeni Shafak evidenziava che la Turchia potebbe a breve aprire una propria base militare in Libia secondo le direttive approvate il 16 dicembre dalla Commissione Esteri del parlamento.
Per Erdogan l'intesa rappresenta un salto di qualità dell'iniziativa imperialista in Libia dove col Qatar ha appoggiato, sin dalla fine del regime di Gheddafi nel 2011, le milizie islamiste della regione di Tripoli che oggi difendono il Gna voluto dall'Onu e dall'imperialismo italiano e il Qatar ha confermato l'appoggio a Serraj con l’emiro Al Thani dichiaratosi disposto a intervenire “sul piano economico e della sicurezza” al fianco di Tripoli. Si trova di fronte il governo di Tobruk sostenuto tra gli altri dall'Egitto di al Sisi, il generale golpista sostenuto da Arabia Saudita e Emirati che al Cairo aveva liquidato il governo islamista del presidente Morsi alleato di Turchia e Qatar. In ogni caso prende ancora più corpo il progetto imperialista della costruzione di un nuovo impero ottomano di Erdogan, dalle zone controllate nel nord della Siria e dell'Iraq alla sponda Sud del Mediterraneo.
La partita libica al momento è giocata con le carte distribuite a Ankara e Mosca, con l'imperialismo francese che appoggia Haftar, apparentemente defilato, l'imperialismo europeo resta nel ruolo di spettatore e quello italiano frustrato nelle sue ambizioni di voler svolgere un ruolo di primo piano nella ex colonia, alle quali comunque non rinuncia, vedi la recente missione del ministro degli Esteri Di Maio a Tripoli. L'imperialismo americano è tenuto a bada da Erdogan con le minacce, ripetute il 15 dicembre, di chiudere la base aerea Usa di Incirlik, dalla quale partirono alcuni aerei turchi nel fallito golpe del 2016, e la stazione radar Nato di Kurecik.
La Libia è solo una delle poste in gioco, un'altra altrettanto importante è quella del controllo e dello sfruttamento degli immensi giacimenti petroliferi scoperti nel Mediterraneo orientale tra Cipro, Israele e Egitto, contesi fra Erdogan padrino della Cipro nord occupata e l'asse tra Tel Aviv e il Cairo costruito col beneplacito dell'Arabia Saudita. L'Egitto ha accordi di sfruttamento commerciale anche con l'Italia, in nome dei quali i governi romani comunque colorati hanno seppellito l'assassinio del giovane Regeni, e ha accordi militari con la Russia di Putin che tra le altre prevedono l'appoggio al governo libico di Tobruk. Turchia e Russia, alleate nella spartizione della Siria e contro i curdi, si trovano su fronti contrapposti in Libia dove sarebbero già impegnate in una guerra coi droni: nei cieli libici, dove volano tra gli altri i droni italiani e americani, sono schierati i Bayraktar TB2 turchi dislocati a Mitiga e Misurata per conto del Gna contro i cinesi Wing Loong, acquistati e forniti dagli Emirati arabi e forse anche dall'Egitto e curati dai mercenari russi del Gruppo Wagner.
Se Erdogan e Putin saranno in grado di trovare l'ennesimo compromesso tra le diverse esigenze imperialiste, sulla base della oramai collaudata collaborazione nella guerra in Siria, lo vedremo nell'incontro a Mosca a gennaio, incontro che era stato programmato per celebrare l'operatività della prima unità del gasdotto Turkish Stream, che fornirà carburante al mercato turco e all'Europa meridionale scavalcando l'Ucraina.
I memorandum del 27 novembre firmati da Erdogan e Serraj prevedono fra le altre la costituzione di “aree di giurisdizione marittima” e la definizione di una “zona economica speciale” dove sono previste collaborazioni nello sfruttamento delle risorse marittime, che parte dalle città costiere libiche di Derna e Barnia, oggi sotto il controllo del generale Khalifa Haftar, fino a quella turca di Kas a Fathiye passando a circa 80 chilometri a sud est dell’isola di Creta. Al primo posto dell'intesa sta l’esplorazione congiunta al largo delle coste di Cipro. Dove si trovano giacimenti di gas naturale sorvegliati a vista dalle navi militari turche che nel recente passato hanno cacciato da quelle acque le navi dell'italiana Eni e navi apparentemente oceanografiche dei sionisti di Tel Aviv, tanto per far capire come intende operare Ankara nell'applicazione di tali accordi.
Il governo di Atene ha protestato, ha definito l'accordo una minaccia per la stabilità regionale e ha chiesto che sia condannato dall'Onu anche perché una parte dell’intesa definisce un confine marittimo tra Libia e Turchia che non terrebbe in considerazione l’isola di Creta. La protesta di Atene al momento è stata appoggiata solo a parole dai singoli paesi imperialisti europei e dall'Ue ancora in coma post elettorale e post Brexit.

24 dicembre 2019