Esautorato il parlamento
La manovra ignora il Mezzogiorno, i disoccupati e i giovani
Lo sviluppo del Mezzogiorno e il lavoro vanno messi al centro del programma governativo

Nella notte del 24 dicembre 2019 la Camera ha approvato in via definitiva col voto di fiducia la Legge di Bilancio per il 2020 presentata dal governo Conte 2. La votazione è avvenuta praticamente senza discussione su un maxiemendamento di ben 958 commi, già approvato il 16 dicembre al Senato, sempre col voto di fiducia e senza possibilità di modificarlo, e consegnato blindato a Montecitorio per l'approvazione finale. Il parlamento è stato perciò completamente esautorato ancora una volta del suo diritto di esaminare, discutere ed emendare la più importante legge dello Stato, quella che per ogni anno fissa le entrate e le voci di spesa del bilancio pubblico, influendo in maniera determinante sulla vita dei cittadini. Un altro nero segnale di riduzione della democrazia parlamentare borghese e di rafforzamento del regime neofascista imperante.
Contro la decisione del governo di porre la fiducia per non rischiare la bocciatura della manovra e il conseguente esercizio provvisorio che ne avrebbe paralizzato l'attività, i partiti della destra fascista parlamentare hanno protestato rumorosamente, con FDI che ha tentato anche forme di ostruzionismo e la Lega che si è appellata a Mattarella e ha annunciato un ricorso alla Consulta. Solo che costoro fanno finta di dimenticare che l'anno scorso la stessa identica operazione di portare in aula una manovra blindata e approvarla con la fiducia, senza discussione né emendamenti, era stata fatta dal governo Conte 1 di Lega e M5S. Così come il PD, oggi al governo col M5S al posto della Lega, dimentica di aver protestato allora contro lo stesso vulnus al parlamento che però non ha esitato a perpetrare col governo Conte 2. A parte questo grottesco scambio di ruoli a distanza di un anno tra PD e Lega, sta di fatto che anche con questo nuovo sfregio istituzionale si evidenzia una sciagurata continuità tra l'attuale e il precedente governo.

Un'altra manovra imposta dalla Ue
Per quanto riguarda i contenuti della manovra questo governo ha cercato invece di differenziarsi dal precedente, ma più sul piano delle apparenze che della realtà, come vedremo. La manovra 2019 targata Di Maio-Salvini puntava su alcuni provvedimenti-bandiera demagogici e clientelari come il Reddito di cittadinanza per l'uno e Quota 100, condono fiscale e flat tax per artigiani, commercianti e liberi professionisti per l'altro, tutte da finanziare in deficit e "senza nuove tasse". Ed era il prodotto finale di un duro braccio di ferro con la Commissione europea, che alla fine aveva ridimensionato le pretese dei due ducetti, imponendo le sue di cifre: deficit al 2,04% anziché 2,4% come essi avevano strombazzato in partenza, una pesante "clausola di salvaguardia" di aumenti Iva da 23 miliardi nel 2020 e 29 miliardi nel 2021 in caso di sforamento dei tetti, e sospensione sul capo dell'Italia della minaccia di una procedura d'infrazione, che per essere evitata richiese una manovra aggiuntiva di altri 7 miliardi la scorsa primavera.
La manovra del governo Conte 2 punta invece essenzialmente sul disinnesco dell'aumento dell'Iva, e con le poche altre risorse disponibili punta sulla riduzione delle tasse per alcune fasce medio-basse di lavoratori dipendenti e su investimenti nella riconversione ecologica; oltre ad altri provvedimenti di spesa di minore entità, da finanziare parzialmente in deficit e per il resto col recupero di quote di evasione fiscale, con prelievi sulle vincite e con alcune nuove tasse come quelle sulla plastica e gli zuccheri aggiunti. Inoltre tutto il quadro finanziario è stato discusso e concordato dal ministro dell'Economia Gualtieri con le autorità della Commissione europea uscente, che stavolta è stata "comprensiva" col nuovo governo e pur non concordando sull'entità del deficit previsto per il 2020 (2,2% per l'Italia, 2,3% per la Ue), e pur denunciando "rischi di non conformità" per 2-4 miliardi con i parametri stabiliti, ha dato comunque via libera alla manovra riservandosi di rifare i conti a primavera per un'eventuale manovra correttiva se ce ne fosse bisogno.

Solo briciole per gli investimenti e la spesa sociale
Quindi anche stavolta, a parte la diversa cornice politica, siamo in presenza di una manovra imposta dalla Ue, sia pure senza proclami burbanzosi e confronti muscolari come l'anno scorso. Una manovra da 32,2 miliardi che lascia ben poco spazio agli investimenti per lo sviluppo e per l'“equità sociale”, poiché ben 23,1 miliardi sono destinati a coprire gli aumenti dell'Iva che sarebbero scattati il 1° gennaio, e dei restanti 9 miliardi circa 3 (che diventano 5 nel 2021) sono destinati alla riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti delle fasce di reddito comprese tra 26 mila e 35 mila euro.
Misura questa che dovrebbe portare ad un risparmio medio di imposta di circa 50 euro al mese (e solo a partire da luglio), ossia una piccola mancia di sapore elettoralistico sul modello degli 80 euro di Renzi, non certo in grado di scalfire l'enorme aumento delle disuguaglianze che la lunga crisi economica capitalista ha favorito in questi anni. Per far questo occorrerebbe invece ben altra politica basata su una riforma complessiva della fiscalità, che ristabilisca una reale progressività delle imposte a favore dei redditi bassi e medi e aumentando l'aliquota massima attualmente appena al 43%, facendo una vera lotta all'evasione fiscale anche incrociando le banche dati dei redditi e dei patrimoni, e applicando una patrimoniale sulle grandi ricchezze.
Gli investimenti pubblici, per i quali sono stati stanziati 4,2 miliardi in tre anni, si riducono essenzialmente alla riconversione "verde" dell'economia e riqualificazione ambientale: il piano cosiddetto Green new deal al quale sono destinati poco più di 900 milioni nel 2020 e 1,7 miliardi circa per tutti gli investimenti di carattere ambientale. Un altro miliardo è regalato alle imprese sotto forma di credito di imposta su investimenti per l'innovazione nel quadro del programma "Industria 4.0". Altri 2 miliardi in tre anni vanno alla sanità, per l'edilizia ospedaliera, le attrezzature sanitarie ai medici di base, per i contratti di formazione specialistica, e per la promessa abolizione del superticket, ma quest'ultima solo dal prossimo settembre.

Frenata su plastic tax e sugar tax
E in ogni caso ci vorrebbe ben altro che 2 miliardi per invertire la tendenza e risollevare la sanità dal disastro a cui l'hanno portata i tagli delle Finanziarie precedenti. Quel poco che resta degli stanziamenti se ne va in una serie di piccole spese, come i 50 milioni in più per il fondo per la non autosufficienza, le poche decine di milioni in più per la scuola e l'università, i 12 milioni per il fondo per le esigenze abitative, le detrazioni per il rifacimento delle facciate, i bonus per gli asili nido e il latte artificiale, e così via. Briciole all'Università e alla Ricerca. Da aver costretto il ministro del settore, Lorenzo Fioramonti, a dimettersi.
Dal lato delle entrate i 32,2 miliardi sono coperti per 16,2 miliardi dall'aumento del deficit al 2,2% su cui la Ue ha chiuso un occhio, da 11,8 miliardi di maggiori entrate e da 4,2 miliardi di tagli alla spesa di molti ministeri, tra cui quasi mezzo miliardo tagliati alle ferrovie. Ma tra questi non ci sono, manco a dirlo, il taglio delle spese militari e degli stanziamenti già programmati per gli F-35. Tra le maggiori entrate il governo ha messo in conto 7 miliardi di recupero dell'evasione fiscale, tutti da dimostrare, che dovrebbero venire da maggiori controlli e da incentivi all'uso dei pagamenti elettronici e dalla riduzione dell'uso del contante. Ci sono poi aumenti delle tasse sulle vincite ai giochi, sulle concessioni pubbliche (autostrade, ferrovie, porti, aeroporti) e sui tabacchi. Le nuove tasse che più hanno fatto discutere, la plastic tax, la sugar tax e quella sulle auto aziendali, sono state fortemente ridimensionate e rinviate di parecchi mesi per l'opposizione incrociata di Lega, FDI e FI dall'esterno, e di M5S e IV di Renzi dall'interno, che si sono fatti portavoce delle lobby industriali degli imballaggi e alimentari e dei manager aziendali.

Necessaria la mobilitazione sindacale
Non c'è dunque una vera svolta rispetto al passato, e lo si misura anche e soprattutto dall'assenza ancora una volta di interventi di sostanza per lo sviluppo del Mezzogiorno e per affrontare la piaga della disoccupazione cronica, soprattutto giovanile, che affligge mortalmente il nostro Paese. Abbiamo già detto dell'inconsistenza degli stanziamenti per gli investimenti pubblici, che secondo l'associazione Sbilanciamoci non superano per il 2020, tra tutte le voci in cui sono disseminati, i 2 miliardi di euro. Una goccia nel mare che non basta neanche ad avviare una seria politica di sviluppo per il Sud, stimolare la crescita e avviare un ciclo di ripresa economica e di riduzione della disoccupazione.
Anche perché la situazione si fa sempre più drammatica ogni giorno che passa, l'economia è praticamente alla crescita zero e ci sono ben 160 crisi aziendali aperte con 250 mila lavoratori coinvolti: da Alitalia ad Arcelor-Mittal, da Whirlpool a Banca popolare di Bari, solo per citare quelle più eclatanti. I problemi dello sviluppo del Mezzogiorno, della difesa dei posti di lavoro, della lotta alla disoccupazione e del futuro dei giovani non sono più rinviabili e devono essere messi al centro della politica di governo. Perché le direzioni di Cgil, Cisl e Uil non si sono ancora espresse su questa Legge di Bilancio per il 2020? E che cosa aspettano a mettere in programma una serie di iniziative sindacali e di lotta per costringere il governo ad adottare una seria ed efficace politica per il Sud, l'occupazione e i giovani?
 

15 gennaio 2020