Disoccupazione, emigrazione, mafia in Calabria

Dal nostro corrispondente della Calabria

Disoccupazione
La disoccupazione in Calabria è al 21,6%, ben più del doppio della media nazionale, quella giovanile addirittura al 52,7% (va peggio solo in Campania e Sicilia) ma il dato reale è ancora peggiore perché in molti non si iscrivono più nelle liste di disoccupazione. Infatti altissimo è il numero dei cosiddetti “Neet”, i giovani che non studiano più e che non solo non hanno un lavoro ma nemmeno lo cercano, sfiduciati dal terrificante “mercato del lavoro” capitalistico.
Il tasso di occupazione femminile, secondo l'Istat, dati primo trimestre 2018 è del 31,7%, ennesimo record negativo nazionale, che vede quindi circa 7 donne su 10 in età da lavoro disoccupate o inattive.
Fra l'altro ben il 21,8% delle donne calabresi dichiara di essere stata vittima di un atto persecutorio negli ultimi 12 mesi, ma di queste solo lo 0,1% si è rivolto alle ''forze dell'ordine'', contro la media nazionale del 6,7% di donne che subiscono violenze e soprusi e poco meno del 5% sono quelle che si rivolgono ai centri antiviolenza.
Risultano occupate appena il 45,6% delle persone tra i 20 e i 64 anni, cosa che pone la regione fra le 5 peggiori aree della Ue imperialista, la cui media complessiva occupazionale è del 73,1%.
Non solo. Se nel 2014 il dato era ancora più negativo, appena il 37,4% degli occupati in età da lavoro, non si deve pensare che siano cresciuti gli occupati di otto punti in cinque anni: il fatto è che è diminuita la popolazione a causa di un'emigrazione da dopoguerra, specie giovanile. Negli ultimi 15 anni ben 180 mila giovani calabresi sono andati via.
Nel 2019 sono emigrate, tanto nel resto d'Italia quanto all'estero, almeno 5.621 persone (il 48% sono donne), il 4,4% del totale degli emigrati italiani annuali, ennesimo triste primato nazionale considerato che i calabresi rappresentano un trentesimo della popolazione italiana.
Stando ai dati del 2017 i minori in povertà relativa sono il 42,8% rispetto alla media nazionale del 21,5%. "Addirittura, la percentuale di minorenni a rischio di povertà assoluta ed esclusione sociale era del 49,4%, rispetto ad una media nazionale del 32,1%", dice il presidente di Unicef Italia, Francesco Samengo.
Dall'inizio del millennio ad oggi hanno lasciato il Sud oltre 2 milioni di persone, cosa che innalza l'età media dei residenti, complice anche la denatalità e nonostante l'immigrazione in Italia dall'estero (la cosiddetta ''invasione'' propagandata dai fascisti vecchi e nuovi). Peraltro nel Meridione si vive mediamente 4 anni di meno che nel Centro-Nord.
La regione è al primo posto in Italia anche per il lavoro nero e irregolare: il 20,9%, fra i primissimi per quello precario, sottopagato ed iperflessibile; oltre che per l'evasione fiscale: gran parte di quel 33% di economia sommersa in Italia è infatti nel Mezzogiorno con dati record anche in Calabria.
Il costo delle corrotte istituzioni borghesi dunque anche in Calabria è prevalentemente sostenuto dai lavoratori dipendenti e dai pensionati.
La Calabria si conferma poi come una delle regioni d’Italia con più alti indici di mortalità sul lavoro in rapporto alla popolazione lavorativa. Fra le province più colpite a livello nazionale c'è in particolare quella di Crotone.
È la penultima regione d'Italia per qualità della vita, preceduta dalla sola Sicilia, e le sue città sono agli ultimi posti nella classifica 2019 del quotidiano ''Sole 24 ore''.
La Calabria, insieme alla Sicilia, è la regione in cui l'energia elettrica costa di più, nonostante il fatto che sia fra le prime produttrici a livello nazionale e una delle ultime consumatrici dato il numero non elevatissimo degli abitanti rispetto alle altre regioni. Le cose poi non miglioreranno affatto con il passaggio al ''mercato libero'' previsto da luglio, in maniera simile a quanto avvenuto con la telefonia fissa e mobile e le liberalizzazioni degli scorsi decenni. Infatti più operatori non significano affatto ''meno spese'' per l'utente finale, ma la nascita di nuovi cartelli e oligopoli nella logica del capitalismo monopolistico, cioè dell'imperialismo. Con l'aggravante che la concorrenza fra gli operatori e il profitto spingeranno per l'abbassamento ulteriore del costo del lavoro e per la cancellazione dei (pochi) diritti rimasti, vedi a livello nazionale le terribili condizioni di vita e i licenziamenti dei lavoratori dei call-center.
L'energia elettrica (per ora gestita da Enel) costa di più in Calabria anche per effetto dei tanti comuni in dissesto e predissesto (circa un quarto del totale) e quindi della tassazione inclusa in bolletta, in media nel 2019 di 51 euro megawattora, il triplo di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna che ne producono molta meno. Una sorta di beffa e di tassa occulta razzista che aumenterà con l'infame “autonomia differenziata”. Cosa c'entrano i calabresi e le loro bollette elettriche con gli sfasci contabili delle amministrazioni comunali locali?
 

Scuola e università
La scuola e l'università pubbliche regionali sono allo sfascio: dal punto di vista degli edifici spesso fatiscenti e non a norma, il 90% delle scuole sono sprovviste del decreto di agibilità, secondo quanto riferito dallo stesso Miur, delle carenti condizioni igienico-sanitarie, dei contratti dei lavoratori del settore (alcuni dei quali “precari in eterno” specie i ricercatori), per i tagli ai servizi agli studenti e al personale docente e non, dai trasporti agli alloggi, per l'enorme aumento dei costi che rende per molti calabresi poveri una vera e propria chimera accedere all'istruzione, specie quella universitaria, con conseguente aumento del tasso di abbandono scolastico. Sempre secondo l'Unicef, “la situazione dell’istruzione dei più piccoli deve essere sicuramente migliorata. Circa il 21% dei ragazzi residenti in Calabria si iscrive alle scuole superiori senza diplomarsi. I dati evidenziano per la Calabria una percentuale di studenti dispersi pari al 21,5%. L’età più critica è quella a tra i 13 e i 16 anni”. Senza considerare che in età prescolare quasi nove bambini su dieci (87%) non vanno all’asilo nido o non frequentano scuole per la prima infanzia. In Calabria solo l’1,2% può accedere a questi servizi.
Il tutto per effetto delle controriforme neofasciste dei governi nazionali della destra e della “sinistra” del regime che hanno di fatto affossato il diritto allo studio sull'altare dell'istruzione neofascista, classista, aziendalista, meritocratica, sempre più privata e costosissima, funzionale al potere della classe dominante borghese.
 

Trasporti e mobilità
I trasporti pubblici sono insufficienti a garantire il diritto alla mobilità delle masse della regione, specie se si considera che la maggior parte dei calabresi vivono in comuni piccoli e medio piccoli spesso totalmente sprovvisti di trasporti pubblici in termini sia di mobilità urbana che extraurbana.
Le strade della Calabria sono famigerate a livello nazionale per il loro grado di pericolosità, di mancato ammodernamento, per ritardi nei lavori, un vero e proprio simbolo del malaffare borghese italiano.
La situazione delle ferrovie è drammatica visto anche il taglio dei treni locali (sono sempre di meno e in condizioni pietose) che ha creato enormi disagi in particolare ai pendolari, sia studenti che lavoratori, in virtù di una precisa scelta dettata dal profitto e dalle privatizzazioni volta a privilegiare la clientela “business”, i treni ad alta velocità e le tratte a lunga percorrenza in un'ottica concorrenziale all'aereo a scapito delle esigenze delle masse costrette al trasporto su gomma, costoso, pericoloso e inquinante.
I 39 porti regionali grandi, medi e piccoli, sparsi su quasi 800 km di costa, non riescono nemmeno a ridimensionare i problemi della mobilità da e verso la regione di merci e persone viaggianti su gomma e rotaia.
Il fatto è che i politicanti calabresi al servizio della borghesia non hanno ancora intenzione di spostare massicciamente sull'acqua il trasporto di merci e persone, perché il trasporto marittimo è portatore di minor profitto rispetto a quello su gomma e su rotaia.
Per quanto riguarda gli aerei è pienamente (mal) funzionante solo l'aeroporto di Lamezia Terme, con tariffe carissime in alta stagione, che non ne consentono l'uso da parte di molti calabresi emigrati. Gli aeroporti di Reggio Calabria e Crotone vedono costantemente in calo il numero dei voli e l'aumento delle tariffe sempre in alta stagione.
Il trasporto pubblico calabrese è dunque complessivamente insufficiente, costoso e non costituisce quindi una reale alternativa a quello privato, determinando le inevitabili conseguenze in termini di traffico, sicurezza, incidenti stradali, inquinamento con relativo aumento dei costi sanitari.
 

Sanità
La sanità pubblica regionale versa in condizioni disastrate in termini di servizi erogati, indebitamento, strutture insufficienti e carenti, debiti stratosferici, costi dei servizi, mancanza di personale, tagli, intrallazzi politico-imprenditoriali-mafiosi (fra il 2006 e il 2019 ben 3 le aziende sanitarie regionali sciolte per mafia: Reggio Calabria, Vibo Valentia, Catanzaro), con vere e proprie occupazioni militari da parte delle 'ndrine negli ospedali, per effetto dello smantellamento del servizio sanitario nazionale con relativo affossamento del diritto alla salute oltre alla nefasta azione delle giunte regionali degli ultimi anni della destra e della “sinistra” borghese che hanno trasformato la sanità regionale, come quella nazionale, in “un grande supermarket in cui i servizi sono una merce da vendere come le altre, i pazienti sono clienti da ingannare e circuire. Dove tutto ruota intorno al profitto delle assicurazioni e delle strutture private 'accreditate' che formano alleanze e monopoli nei settori più redditizi. È un sistema che lucra sullo stato comatoso del sistema sanitario nel Mezzogiorno d'Italia per depredargli i fondi della 'mobilità sanitaria', per spingere i malati a rivolgersi ai 'centri d'eccellenza'" (dalle Tesi del 5° Congresso nazionale del PMLI, dicembre 2008).
Terribile il fenomeno della rinuncia alle cure di migliaia di famiglie povere calabresi, come terribile è il cosiddetto “turismo sanitario” ovvero lo spostamento per le cure in altre zone d'Italia se non d'Europa.
 

Il dissesto idrogeologico
Il territorio è devastato, la Calabria è ad altissimo rischio idrogeologico, di terremoti e del fenomeno dell'erosione costiera, per effetto dei mancati controlli, della cementificazione del territorio, del disboscamento, dell'abusivismo, dell'inquinamento di mari, laghi, fiumi e terreni dovuti anche agli infami interessi delle cosiddette “ecomafie” che hanno trasformato la nostra regione in una pattumiera di rifiuti tossici e nocivi per la salute, che ha determinato un'impennata delle malattie contratte dalla popolazione, specie i tumori, oltre al forte calo del settore turistico.
Quest'ultimo costituisce un'eterna promessa di sviluppo e occupazione mai mantenuta ed è ancora molto lontana dalle regioni del Centro-Nord in termini di ricettività (strutture perlopiù carenti oppure costosissime ma concentrate in poche zone e non certo pensate per le tasche dell'italiano medio tanto meno dei calabresi), decoro del territorio, capacità di attrazione, carenza di infrastrutture strategiche come i depuratori per il mare, sempre più sporco, come gli impianti di risalita in Sila, Aspromonte e Pollino (le montagne calabresi sono devastate perennemente in estate da incendi dolosi che mandano in fumo migliaia e migliaia di ettari di boschi), la mancanza di strutture pubbliche per lo sport e il turismo all'aria aperta, la pessima manutenzione dei centri storici dei comuni a fronte della crescita degli orribili quartieri moderni in odor di scandalo edilizio o dei terrificanti villaggi sul mare che deturpano il territorio, l'incuria dei monumenti e dei siti archeologici che spesso versano in stato di totale abbandono.
 

Questione meridionale e 'ndrangheta
Questi sono solo alcuni dati del “caso Calabria”. Si potrebbe continuare a lungo parlando del problema dell'acqua che in molte case non arriva nemmeno, dei problemi specifici dei lavoratori dei vari settori, dei combattivi precari, della scarsa natalità dovuta alla miseria, delle odiose politiche di ostruzione nei confronti delle donne che decidono di abortire, del problema dei rifiuti (basso il dato della raccolta differenziata), dell'uso delle energie alternative ancora lontano anni luce dagli standard delle altre regioni, il problema della tossicodipendenza aggravata dalle fallimentari politiche neofasciste della proibizione, i diritti negati ai migranti sempre più schiavi di lavoro nero e caporalato, specie nell'agricoltura: il lager di San Ferdinando è ormai un simbolo nazionale della condizione dei migranti nel nostro paese.
In altre parole si scrive Calabria, si legge Terzo mondo!
Le cause di tutto questo sono da ricercare nella legge fondamentale del capitalismo monopolistico, la legge del massimo profitto, e nella secolare Questione meridionale ossia l'insieme dei problemi, delle cause e degli effetti dell'enorme disparità economica, politica, sociale e culturale del Meridione rispetto al Centro e al Nord che nasce con lo Stato borghese unitario del 1861 per effetto dell'alleanza organica tra la borghesia più reazionaria del Nord con i latifondisti del Sud, che ha impedito lo sviluppo in senso capitalistico del Mezzogiorno trasformandolo in un'enorme riserva di sfruttamento di manodopera a basso costo e in un mercato per i prodotti delle industrie settentrionali, gettando le basi della disparità Nord-Sud.
Divario ulteriormente accentuato da tutti i governi nazionali e locali succedutisi negli anni, in particolare quelli degli ultimi 25, con l'avvento e il consolidamento della seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista con la relativa riduzione a carta straccia della Costituzione democratico-borghese del 1948, frutto di un compromesso fra borghesia e proletariato sfavorevole a quest'ultimo.
La Questione meridionale si è inasprita sempre di più negli anni anche per l'ingresso dell'Italia nell'Unione europea imperialista, vero mostro economico, politico, militare e istituzionale che non si può riformare e va distrutto, cominciando a tirarne fuori l'Italia.
Tutto questo è avvenuto lasciando mano libera nel Sud alla crescita delle organizzazioni criminali, fra le quali la 'ndrangheta detta anche “l'altra metà della luna” per la sua capacità di essere allo stesso tempo “invisibile” ma onnipresente.
La 'ndrangheta è la parte più reazionaria e sanguinaria della borghesia calabrese, è generata dall'economia capitalistica, la sua testa si trova dentro la classe dominante borghese e dentro lo Stato borghese. Tant'è vero che ormai, come svelano le tante inchieste di questi anni, ormai non si capisce più dove finisce la 'ndrangheta e inizia lo Stato borghese (e viceversa).
Oggi la temibile mafia calabrese è una vera e propria multinazionale del crimine, solo nella regione conta almeno 4.389 affiliati alla ‘ndrangheta, allocati in 160 cosche.
Sono tanti i motivi che spingono a invertire la rotta. Un passo è di certo la scelta astensionista alle imminenti elezioni regionali in Calabria, negando ogni consenso a chi ha ridotto così il territorio e la popolazione calabresi.

 

22 gennaio 2020