(Benvenute Pantere, Le nostre speranze sono riposte in voi: il saluto dell'Ufficio politico del PMLI pubblicato il 20 febbraio 1990 - Mobilitiamoci e appoggiamo attivamente la nuova ondata di lotte studentesche: il nostro entusiastico sostegno del dicembre 1989)

Il ruggito della Pantera di 30 anni fa soffocato dallo spontaneismo e dal frazionismo

Lo sforzo del PMLI per orientare correttamente il grandioso e storico movimento di lotta studentesca partito da Palermo

30 anni fa, nei mesi che vanno dal dicembre 1989 fino a marzo-aprile 1990, l'Italia fu scossa da un grande movimento di lotta studentesca, degno erede di quelli del '68 e del '77, anche se non ebbe la stessa carica rivoluzionaria e lo stesso lungo respiro degli altri due, soprattutto del primo: fu il movimento della Pantera, così detto perché adottò quello della pantera come simbolo di inafferrabilità e ricerca della libertà, dopo che proprio nel momento della sua esplosione in tutto il Paese una pantera venne avvistata in una strada di Roma, e fu poi ripetutamente segnalata vagare nella campagna intorno alla capitale sfuggendo ad ogni tentativo di catturarla.
Il movimento iniziò il 5 dicembre 1989 dalla facoltà di lettere e Filosofia dell'Università di Palermo con la parola d'ordine “No alla privatizzazione dell'Università”, mettendo nel mirino la controriforma sull'“autonomia universitaria” presentata dal ministro socialista Ruberti a nome dell'allora governo della nuova destra e della P2 Andreotti-Craxi. Tale progetto, condiviso nella sostanza anche dal “governo ombra” del neoliberale Occhetto, il quale aveva già fatto la “svolta” della Bolognina e si apprestava a liquidare il PCI revisionista, mirava a privatizzare l'Università, in linea col “Piano di rinascita democratica” piduista e con le tendenze del grande capitale italiano ed europeo. E lo faceva aprendo ai finanziamenti privati e all'ingresso delle aziende nei Consigli di amministrazione degli atenei e puntando ad ingabbiare gli studenti in organi cogestionari di puro valore consultivo come il “senato degli studenti”, aumentare la già esistente di fatto selezione di classe e creare atenei di serie A e di serie B, penalizzando gli istituti periferici e in particolare quelli del Meridione.
Non fu quindi un caso se il movimento di lotta iniziò proprio nel Sud, col documento-appello degli studenti di Palermo a tutte le altre Università “ad allargare la protesta” e con la richiesta del ritiro del ddl Ruberti giudicato “inemendabile” e delle dimissioni del ministro, estendendosi subito ad importanti atenei del Sud come Napoli e Bari, per poi espandersi velocemente anche a tutto il Centro e il Nord, a partire dalla Sapienza di Roma e da Firenze, Camerino e Urbino, fino a Bologna, Genova, Torino, Milano, Venezia e altre decine e decine di atenei grandi e piccoli sparsi in tutto il Paese. Tra le rivendicazioni degli studenti palermitani, che dopo Lettere e Filosofia avevano occupato altre sei facoltà, vi erano anche quelle contro la presenza della mafia nelle istituzioni politiche e nei baronati universitari, il numero chiuso, la fatiscenza delle strutture scolastiche, le leggi repressive contro l'uso delle droghe, come l'annunciata Jervolino-Vassalli, e l'appoggio antimperialista alle lotte dei popoli, a partire da quello palestinese e dagli studenti cinesi contro la repressione del regime di Deng, con l'aula magna ribattezzata significativamente “Tian-An-Men-Intifada”.

Il movimento esplode in tutta Italia
Gli strumenti politici e i metodi di lotta usati dagli studenti erano quelli classici ereditati dalle lotte del '68 e del '77: una netta pregiudiziale antifascista, la democrazia diretta basata sull'assemblea generale e sulle commissioni di lavoro, le occupazioni e i seminari, all'interno degli istituti, e le manifestazioni di piazza all'esterno. Per comunicare tra di loro le facoltà occupate usavano i fax, creando in breve tempo una capillare ed efficiente rete per trasmettere documenti, notizie, prese di posizione, aggirando così il sistema dei mass-media della destra e della “sinistra” del regime neofascista, per la stragrande maggioranza ostili al movimento e ai suoi obiettivi e protesi a disinformare la popolazione, distorcere i fatti e calunniare gli studenti occupanti. I quali si rifiutavano invece di farsi intervistare dalle reti Fininvest, avendo già individuato in Berlusconi il braccio della P2 nel settore dei media, e selezionavano intelligentemente le fonti giornalistiche da utilizzare, come ad esempio l'”Ora” di Palermo e la trasmissione di Rai3 “Samarcanda”. “Il Bolscevico” è stato tra queste, avendo avuto l'onore di essere stato affisso nelle facoltà occupate di Palermo.
Al ruggito della Pantera universitaria si unì subito quello della Tigre dei ragazzi delle medie superiori e inferiori, che sulla scia delle lotte scolastiche del 1985 erano già in fermento contro la controriforma Galloni dei “decreti delegati”, disegnata dall'ex ministro DC dell'Istruzione e portata avanti in quei mesi dal suo successore Sergio Mattarella, l'attuale inquilino del Quirinale: un progetto in tutto e per tutto simile a quello della controriforma Ruberti ma applicato alla scuola secondaria. Pantere e Tigri insieme riuscirono a portare in piazza per alcuni mesi centinaia di migliaia di studenti in tutta Italia, dando vita a memorabili manifestazioni con la parola d'ordine “Da Palermo al Settentrione un solo grido occupazione”, che scossero il Paese e fecero tremare il governo piduista Andreotti-Craxi: a partire dall'imponente manifestazione di 10 mila studenti universitari e medi del 20 dicembre 1989 a Palermo, la manifestazione del 13 gennaio 1990 degli studenti medi a Roma contro i “decreti delegati”, la grande manifestazione nazionale del 3 febbraio a Roma, con 150 mila studenti universitari e medi e con in testa lo striscione con il simbolo della pantera, quella del 14 febbraio a Palermo e quella del giorno successivo a Firenze, quando 15 mila studenti medi bloccarono la città.
Ed inoltre decine e decine di altre manifestazioni e sit-in, come quella del 17 febbraio a Pisa, sfociata quello stesso pomeriggio in una contestazione ad Andreotti venuto in visita in città, selvaggiamente caricata dalla celere, fino alla grande manifestazione nazionale di 50 mila studenti del 17 marzo a Napoli, che segnò praticamente lo spegnersi del movimento, avendo cominciato ad esaurirsi la sua spinta propulsiva a causa del sabotaggio dall'interno delle fazioni liberali e riformiste del PCI e del suo braccio giovanile della FGCI, dei trotzkisti di Democrazia proletaria e degli spontaneisti e settari dell'”Autonomia”. E anche per non essere riuscito, nonostante l'aver realizzato due grandi assemblee nazionali, il 1° febbraio a Palermo e il 26 febbraio a Firenze, a darsi un Coordinamento nazionale, basato solidamente sulla democrazia diretta e la larga rappresentatività delle assemblee generali, e obiettivi chiari e di lungo respiro come il potere studentesco nelle scuole e nelle università e il legame con le lotte della classe operaia e delle larghe masse popolari.

Il PMLI protagonista diretto
Il PMLI appoggiò fin dal primo momento il movimento studentesco delle Pantere e delle Tigri, cercando in ogni momento di influenzarlo e orientarlo per quanto possibile con le sue pur limitate forze. Ne fu anzi protagonista diretto, con i suoi militanti e simpatizzanti che vi prendevano parte attiva: come nell'occupazione della facoltà di Lettere, la prima a Firenze, e in certi casi anche con ruoli dirigenti, tra cui il compagno Erne Guidi, riconosciuto leader della Pantera della facoltà di Scienze politiche di Firenze; e come, sul fronte sindacale in appoggio al movimento, la compagna Patrizia Pierattini, facente parte del Consiglio della Federazione nazionale Scuola e Università della Cgil, che partecipò anche al sit-in davanti al Rettorato contro lo stesso Ruberti venuto in visita a Firenze.
Il PMLI colse immediatamente l'importanza delle prime lotte partite da Palermo. Il 21 dicembre “Il Bolcevico”, con un articolo di fondo sul n. 52/89 invita militanti, simpatizzanti e lettori a mobilitarsi ed appoggiare attivamente, “senza perdere neanche un minuto”, la nuova ondata di lotte studentesche, affinché “si pongano finalmente, nella maniera più larga possibile, la questione dell'autogoverno studentesco della scuola e dell'Università”. In un altro articolo si faceva una panoramica sulle lotte del movimento, i suoi obiettivi, come l'affossamento della legge Ruberti, le analogie con le lotte del '68 e '67, da cui avevano ereditato la democrazia diretta, l'assemblea e i metodi di lotta come le occupazioni e le manifestazioni di piazza. Si forniva inoltre al movimento una piattaforma rivendicativa, mettendo in risalto come già dall'86 il PMLI aveva denunciato il progetto craxiano sull'autonomia universitaria; mettendolo altresì in guardia dal PCI del liberale Occhetto, che già nell'87 aveva dato via libera al progetto sull'”autonomia” degli atenei.
Il 30 dicembre il PMLI e “Il Bolscevico” inviarono una delegazione presso le facoltà occupate di Palermo, guidata dal compagno Simone Malesci, allora responsabile della Commissione per il lavoro giovanile del CC del PMLI, che venne accolta calorosamente dagli studenti e fu invitata anche alla festa di Capodanno organizzata dagli occupanti. In quell'occasione furono fatte loro delle interviste esclusive pubblicate sul n. 1/90. Quel numero fu poi diffuso in decine di copie alla manifestazione degli studenti medi del 13 gennaio a Roma, insieme a migliaia di volantini col documento della Commissione giovanile del 9 gennaio con la parola d'ordine: “Gli studenti devono essere i padroni della scuola e dell'Università. Portiamo fino in fondo la spinta degli studenti di Palermo e di Roma”, in cui si rilevavano i “limiti riformistici” della piattaforma studentesca e si poneva con forza il tema dell'autogoverno studentesco.

L'opera de “Il Bolscevico” in appoggio alle Pantere
Sul n. 4/90 “speciale lotte studentesche” a 24 pagine, “Il Bolscevico” pubblicava un editoriale di Malesci (“Avanti a tutta forza, alzando il tiro”) in cui si focalizzavano gli obiettivi di lotta per il movimento: pregiudiziale antifascista, affossamento della legge Ruberti, no alle leggi fasciste sulla droga e contro il diritto di sciopero nei “servizi pubblici essenziali”. Si smascheravano inoltre i falsi amici come Luigi Berlinguer (che negli anni successivi proseguirà infatti la privatizzazione dell'Università sotto i governi di “centro-sinistra”), e si ribadiva la linea dell'autogoverno, della gestione diretta e completa dell'Università, e si esortavano gli studenti ad investire le larghe masse popolari, e in primo luogo la classe operaia. Un altro editoriale di Monica Martenghi, responsabile della Commissione per il lavoro femminile del CC del PMLI, dal titolo “Le studentesse in prima fila”, metteva in rilievo la “massiccia, qualificata e autorevole presenza delle studentesse” nel movimento. Un salto di qualità rispetto al '68 e '77, in quanto non più e non solo attiviste e organizzatrici, ma diventate anche dirigenti del movimento: “Le studentesse universitarie, specie quelle di Palermo, stanno dando una sonora lezione oltreché a Ruberti all'intero regime della seconda repubblica e al governo della nuova destra e della P2”, scriveva Martenghi.
Sullo stesso numero 4/90, esposto tra l'altro alla facoltà di Scienze politiche di Palermo, era ripubblicato l'Appello alle studentesse e agli studenti lanciato l'8 Marzo 1989 dall'Ufficio politico del PMLI dal titolo “Non avallate la scuola della seconda repubblica”. Esso conteneva già tutte le parole d'ordine valide e attuali rivolte al movimento: contro l'”autonomia”, il “senato degli studenti”, la meritocrazia, le tasse, il costo dei libri, la mancanza di alloggi e di mense, l'obbligo scolastico solo a 14 anni, la mancanza dei diritti, a partire da quello di assemblea, il diritto di sciopero, la militarizzazione delle scuole, lo scorporo del ministero della Pubblica istruzione da quello dell'Università, le leggi sulle droghe, ecc. In particolare esso dava questa cruciale indicazione alle studentesse e agli studenti: “Dovete far leva sulla lotta di piazza e sulla democrazia diretta, il metodo più genuino e democratico per riorganizzare e dirigere il movimento studentesco nella lotta per affossare la controriforma governative, per diventare padroni delle scuole e delle Università”.

Il bastone e la carota del regime neofascista
Il regime neofascista e piduista reagì all'espandersi del movimento con le classiche armi del bastone e della carota: la carota delle “modifiche” al ddl Ruberti, la cosiddetta “Ruberti-bis”, con delle “aperture” agli studenti in cambio della cessazione delle occupazioni, sul piano di una loro maggiore “rappresentanza” e potere decisionale sull'elezione dei presidi e con parere stavolta obbligatorio sulla didattica. Cavalcavano questa linea capitolazionista anche il PCI e la FGCI per sabotare dall'interno il movimento e domare la Pantera. Dall'altra parte si intensificarono le provocazioni fasciste, la propaganda sporca dei mass-media di regime, che arrivò fino ad accusare di contiguità col terrorismo gli studenti occupanti, e la repressione poliziesca e giudiziaria, con le brutali cariche della celere di Gava come a Pisa, le perquisizioni domiciliari della digos, e le decine di inchieste delle procure per interruzione di pubblico servizio, occupazione, blocco stradale, danneggiamento, resistenza ecc., con rinvii a processo per centinaia di studentesse e studenti che avranno effetto anche dopo molti mesi e in alcuni casi anche dopo due anni. Da parte loro i presidi minacciarono di annullare l'anno accademico se non si accettavano le offerte di Ruberti e si metteva fine alle occupazioni, minaccia non da poco per gli studenti e le loro famiglie.
I risultati della strategia governativa avallata e coperta dal PCI cominciarono a intravedersi già dall'assemblea nazionale di Palermo del 1° febbraio, in cui la FGCI cercò di far passare la proposta di un “soggetto politico studentesco nazionale” per imbrigliare le lotte e riportare gli studenti nell'alveo istituzionale e far loro accettare una controriforma Ruberti “emendata”. Il Partito ne fu perfettamente consapevole, tanto che la sera stessa della grandiosa manifestazione nazionale studentesca di Roma del 3 febbraio, a cui il PMLI aveva partecipato con una delegazione guidata da Malesci affiancato da Martenghi, diffondendo migliaia di volantini “Gli studenti devono essere i padroni della scuola e dell'università” e centinaia di copie del n. speciale 4/90, nonché le strisce adesive con la scritta “Scuola e Università agli studenti” che erano andate letteralmente a ruba tra i manifestanti, l'Ufficio politico incontrò i propagandisti del PMLI, e il compagno Giovanni Scuderi mise in guardia i militanti impegnati sul fronte studentesco che si stava esaurendo la prima fase più spontanea del movimento e si stava aprendo quella dello scontro fra le varie componenti politiche e partitiche, col tentativo da parte dei partiti governativi e del PCI di far esaurire le lotte studentesche nell'ambito della richiesta di modifiche del ddl Ruberti. Da qui l'indicazione agli studenti marxisti-leninisti di essere in prima fila affinché il movimento alzasse il tiro, portasse avanti lo scontro e assumesse dei caratteri non solo democratici e antifascisti, ma anche anticapitalisti. Di conquistare le studentesse e gli studenti più avanzati alla linea scolastica e universitaria del PMLI contro le correnti liberale e riformista, e di fare fronte unito con tutte le forze favorevoli al respingimento del progetto Ruberti.

Lo sforzo del PMLI per orientare il movimento
Lo sforzo del PMLI per orientare correttamente il movimento studentesco si intensificò nei giorni successivi in vista dell'assemblea nazionale di Firenze, prevista inizialmente per il 24 febbraio e poi spostata al 26 a causa delle contraddizioni che si erano fatte più acute all'interno del movimento, tra la corrente di sinistra che la voleva aperta a tutti e le correnti liberali e riformiste, in particolare facenti capo alla FGCI fiorentina, che la volevano riservata solo ai delegati, per affossare la democrazia diretta e dare un'impronta istituzionale al movimento.
Inserendosi autorevolmente nel dibattito l'Ufficio politico del PMLI lanciò allora il documento del 20 febbraio, “Benvenute Pantere a Firenze”, in cui le incitava a “portare fino in fondo la vostra battaglia, che è anche la nostra battaglia, contro la controriforma Ruberti”, a coinvolgere il proletariato e le masse, tenere ferme le occupazioni, darsi un coordinamento nazionale e alzare il tiro politico. E il 26 febbraio il Partito organizzò una diffusione straordinaria ai partecipanti l'assemblea, con una squadra di propaganda guidata personalmente dal Segretario generale, Giovanni Scuderi, affiancato da Nerina “Lucia” Paoletti, Monica Martenghi e Simone Malesci
In quell'occasione lo scontro fra le due anime del movimento fu particolarmente aspro, con i riformisti che cercarono addirittura di impedire l'ingresso ai “non delegati”, la mancata partecipazione per protesta della facoltà di lettere di Palermo e la minaccia degli studenti di Urbino, i più decisi a sostenere l'assemblea aperta, di convocare un'altra assemblea alternativa. Alla fine prevalsero le posizioni di sinistra, ma nei sei giorni di assemblea non si riuscì a gettare le basi per un coordinamento nazionale e a stabilire un chiaro programma di lotte e di obiettivi, a cominciare dal proseguimento delle occupazioni e delle lotte di piazza fino al ritiro della Ruberti. E ormai il tarlo del riformismo della destra e il settarismo e lo spontaneismo dei gruppi “ultrasinistri” avevano irrimediabilmente corroso l'unità e la determinazione del movimento, che dopo un'ultima e pur imponente manifestazione il 17 marzo a Napoli, gradualmente si spense.
Tuttavia le ultime propaggini del movimento si estesero ancora per diversi mesi, tanto che il 4 maggio la Pantera ridiscese in campo, con un incontro nazionale alla facoltà di Scienze politiche de la Sapienza, dove si riunirono centinaia di Pantere di 48 facoltà in rappresentanza di 19 atenei, e in cui emersero forti tendenze astensioniste in vista delle elezioni comunali e provinciali del 6 maggio. In quell'occasione fu fatto un bilancio delle prime conquiste, fu criticata l'assemblea nazionale di Firenze per la burocratizzazione ed il regolamento antidemocratico voluto della destra del movimento e lanciate alcune iniziative di lotta, oltre a rivolgere un appello ad avvocati e giuristi democratici per un collegio di difesa contro la repressione. All'incontro partecipò e prese la parola anche Erne Guidi, a nome della Pantera fiorentina di Scienze politiche, che oltre ad esortare le masse studentesche ad astenersi e a smascherare i destri del movimento che si erano candidati ignominiosamente alle elezioni amministrative, lanciò la proposta dell''Università del popolo autogovernata dagli studenti” come risposta di classe all'Università privatizzata di Ruberti e del governo piduista Andreotti-Craxi.

Perché la Pantera non riuscì ad andare fino in fondo
Alcuni dei protagonisti che opportunisticamente avevano condotto il movimento ad arenarsi gettarono infatti la maschera accettando di candidarsi con i partiti della “sinistra” borghese alle comunali e provinciali del 6 maggio. Altri, in buona fede, finirono per unirsi al movimento che si professava antimafia di Leoluca Orlando a Palermo; altri finirono nei movimenti pacifisti ed ecologisti; altri ancora andarono ad infoltire i Centri sociali, che non a caso conobbero una stagione di ripresa proprio in quel periodo. Purtroppo gli opportunisti di destra e di "sinistra'' hanno piano piano disarmato le masse studentesche, creato ad arte spaccature e frazioni, facendo in modo che la lotta non proseguisse nemmeno fino all'obiettivo minimo del ritiro dei progetti governativi. Strumentalmente costoro si sono occupati degli universitari al solo scopo di ottenere il loro voto alle elezioni.
Cosicché la "Pantera'' non è riuscita a investire del problema la classe operaia e le masse in genere, a tenere ferme le gloriose occupazioni antifasciste delle facoltà e a dar vita a un Coordinamento nazionale strettamente legato alla realtà di base. Negli studenti più combattivi non c'era la consapevolezza che con quel tipo di direzione e di strategia, in ultima analisi subalterne a Ruberti, non si poteva vincere. Non c'era la consapevolezza che il movimento doveva contare sulle proprie forze, che per svilupparsi doveva mettere in discussione l'intera istituzione universitaria borghese, il suo carattere di classe, la sua organizzazione e i suoi poteri, fino a rivendicare il governo studentesco dell'Università. Non c'era la consapevolezza che bisognava adottare una chiara strategia anticapitalista e usare tutti i metodi di lotta di massa necessari per raggiungere gli obiettivi.
Nonostante tutti questi limiti, però, quello delle Pantere resta un grandioso e storico movimento di lotta studentesco e giovanile che, come quello dei giovani delle “magliette a strisce” del 1960 contro il governo clerico-fascista Tambroni, la Grande Rivolta studentesca del '68 e il movimento del '77, devono rappresentare ancora oggi un fulgido esempio e una fonte di ispirazione per i giovani e i giovanissimi nella lotta contro la scuola e l'Università del sistema capitalista, per una scuola e un'università pubbliche, intese come servizio sociale goduto dal popolo e dal popolo controllato attraverso le studentesse e gli studenti che devono governarle.
 
 

29 gennaio 2020