Riesplode violenta nelle piazze la rivolta del popolo libanese
Centinaia di feriti

 
L'annuncio della formazione del nuovo governo presieduto da Hassan Diab il 21 gennaio e la promessa del premier di combattere corruzione, povertà e disoccupazione non hanno interrotto le forti proteste popolari che giusto una settimana prima erano ripartite con al centro i temi sociali, contro carovita e corruzione, ma anche con la richiesta di maggiore democrazia, con la fine del sistema di divisione delle cariche istituzionali su base etnica e religiosa, il velenoso lascito degli ex colonialisti francesi accettato dalla borghesia libanese. Diab nel discorso alla nazione ha reso “onore ai manifestanti che hanno unito il Paese e rotto le barriere tra le sette e le regioni” ma lo ha fatto alla guida di un governo costruito con quei criteri, col sistema confessionale e settario che regge la repubblica libanese, un sistema borghese eroso all'interno dalla corruzione e esposto ai colpi e alle intromissioni e invasioni dei potenti paesi imperialisti vicini, dai sionisti di Tel Aviv alla Siria, all'Arabia saudita.
Per fermare la rivolta del popolo libanese non potevano bastare evidentemente le promesse di cambiamento nel governo del paese, per “un potere giudiziario indipendente, per il recupero di fondi sottratti, per la lotta contro guadagni illegali”, come dichiarava Diab, docente universitario ed ex ministro dell'istruzione tra il 2011 e il 2014 che aveva aumentato le tasse universitarie del 300%. Una rivolta iniziata lo scorso ottobre, che aveva portato alle dimissioni il 29 ottobre dell'allora premier sunnita e vicino a Riad Saad Hariri, ed era riesplosa con violente manifestazioni nelle strade il 14 gennaio quando i dimostranti lanciavano sassi contro le sedi delle banche e colpivano i distributori automatici di soldi contro la decisione della Banca centrale di limitare drasticamente l’uso dei conti correnti e vietare i trasferimenti all’estero. La protesta era molto forte soprattutto nella capitale Beirut dove altrettanto forte era la repressione della polizia con cariche violente, un uso massiccio di proiettili di gomma, lacrimogeni e cannoni ad acqua. La Croce rossa libanese stilava un bilancio di centinaia di feriti in pochi giorni.
Proteste e scontri si ripetevano nella capitale, davanti la sede del parlamento e con blocchi stradali sulle principali vie di accesso, e in altre città a partire dall'insediamento del nuovo governo guidato dal sunnita Hassan Diab, vicino agli Hezbollah, cui il precedente esecutivo passava la difficile missione di affrontare la più grave crisi economica e politica vissuta dal paese dopo la fine della guerra civile trent'anni fa.
Le dimissioni di Hariri nell'ottobre scorso segnavano la rottura dell'accordo tra il fronte filo-iraniano, rappresentato da Hezbollah e dal presidente della Repubblica il cristiano Michel Aoun, e quello filo-occidentale, rappresentato dal partito di Hariri, dai partiti cristiani delle Forze libanesi e delle Falangi e dal partito socialista druso di Walid Jumblat per un governo unitario del paese. Un accordo osteggiato da Arabia saudita e dall'imperialismo americano che definiscono Hezbollah una “organizzazione terroristica” perché alleata regionale dell'avversaria Iran. La divisione si è riprodotta nel parlamento di Beirut al momento del via libera all'incarico a Diab, lo scorso 20 dicembre, approvata con i 69 voti degli sciiti Hezbollah e Amal, dei cristiani del Movimento dei Patrioti Liberi e di altri parlamentari sunniti e indipendenti; tra i 42 contrari, i parlamentari del partito dell’ex premier Hariri, i cristiani delle Forze Libanesi, i drusi e alcuni indipendenti.
Contrari a un governo che si presentava da subito con i segni della continuità nella politica economica e sociale coi precedenti esecutivi sono i manifestanti che da ottobre hanno riempito le strade e le piazze dopo l’annuncio del piano governativo di inasprimento di alcune imposte, una misura che è diventata la scintilla di una rivolta che ha tra le sue origini la pesante crisi economica pagata dalle masse popolari, già vittime di forti diseguaglianze sociali create dalle politiche neoliberiste dei governi borghesi succedutisi a Beirut e della situazione di disastro sociale accentuata dalla presenza nel paese di circa due milioni di profughi palestinesi e siriani, pari a un terzo della popolazione.
 

29 gennaio 2020