Contro la chiusura della fabbrica di Napoli
Protesta delle operaie e degli operai Whirlpool sotto il ministero dello sviluppo economico
Contestati i sindacalisti che “non paralizzano l'Italia come fanno in Francia”
Il governo deve assicurare il lavoro

Whirlpool non ha cambiato idea: lo stabilimento di Napoli sarà chiuso. Unica novità, la data: stop alle produzioni il 31 ottobre. Un rinvio (la chiusura era prevista a marzo) a cui la multinazionale americana ha acconsentito su richiesta del ministro dello Sviluppo Economico, il Cinquestelle Stefano Patuanelli, nell'incontro tenutosi il 29 gennaio al Mise tra governo, sindacati e dirigenti aziendali. Il colosso americano delle lavatrici sostiene che lo stabilimento di Napoli perde 20 milioni di euro all'anno. “I dati di mercato sono emblematici”, sottolinea l'amministratore delegato di Whirlpool Italia, Luigi La Morgia, durante l'incontro, spiegando che a Napoli “non c'è più sostenibilità economica della produzione di lavatrici”.
La Morgia, pur non dicendolo apertamente, vuol far credere che la colpa sia dei lavoratori, ricordando che chiuderà solo lo stabilimento di Napoli perché “l'Italia resta strategica per il gruppo”, con 5 mila dipendenti in tutto il Paese. Una scelta inaccettabile che in ogni caso non rassicura nessuno perchè tutti i siti italiani rimangono a rischio. Quando però la società americana è entrata nel nostro Paese con i finanziamenti dell'Unione Europea e dei governi italiani, insediandosi in alcuni stabilimenti, come in Campania, collocati in Zona Economica Speciale (ZES) a condizioni particolarmente vantaggiose, prometteva lavoro e investimenti.
La notizia del rinvio, ma con la conferma di chiusura, trapelava dal Ministero e giungeva agli oltre 300 operai giunti da Napoli che nella piazza antistante manifestavano e chiedevano alla Whirlpool e al governo il mantinemento della produzione di lavatrici e dell'occupazione nello storico stabilimento partenopeo. I lavoratori hanno mostrato di non credere alle promesse del governo e di essere stanchi dell'atteggiamento inconcludente dei sindacati.
A farne le spese i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil che sono stati duramente contestati dalle lavoratrici e dai lavoratori. Quando il segretario della Fim-Cisl Marco Bentivogli dal megafono, pur sottolinendo che dall'incontro non erano uscite rassicurazioni sul futuro dello stabilimento napoletano, ha definito il rinvio della chiusura a ottobre “un piccolissimo passo avanti” è stato subissato dai fischi e dalle grida: “venduti, vergogna”, “non siete buoni a niente, dobbiamo paralizzare l'Italia come hanno fatto in Francia”. Nella concitazione un operaio si è sentito male e alla fine è intervenuta la polizia. La folla inferocita si è poi allontanata al grido: “sciopero a oltranza in tutti i siti” Whirlpool italiani.
Alla luce di questi ultimi sviluppi il ministro Patuanelli ha ripetuto un generico “massimo impegno del Governo a trovare una soluzione definitiva per supportare la continuità produttiva dello stabilimento e salvaguardare i lavoratori”, ma allo stesso tempo dichiarando che “non esistono modi coercitivi per convincere un’azienda a mantenere una produzione”. Vale a dire che se Whirlpool ha deciso di chudere non c'è niente che lo può impedire. L'unico impegno concreto è stato quello di mettere Invitalia (l'agenzia per gli investimenti pubblici a sostegno delle imprese) alla ricerca di un nuovo soggetto che subentri alla multinazionale americana.
Ma i lavoratori non si rassegnano. La Whirlpool si è prima impossessata degli stabilimenti Indesit, con la benedizione di Renzi, che la definì “un'operazione fantastica”, per poi smantellarla, e ora vuole chiudere a Napoli nonostante nel 2018 avesse sottoscritto un accordo (stavolta sotto l'egida di Di Maio) dove s'impegnava a mantere l'occupazione e la produzione in Campania, con il sostegno finanziario dello Stato italiano e della Regione. “Non si può consentire alle imprese di prendere soldi dallo Stato e poi fare quello che vogliono”, sono state le accuse degli operai. Anche perchè la Whirlpool non è in crisi, ma sta spostando alcune produzioni per sfruttare situazioni a lei più convenienti.
“Perdere la difesa di questo passaggio per noi vuol dire far affermare la volontà di una multinazionale che passata su di noi, razzierà la nostra terra e impoverirà il nostro Paese”, scandisce l'operaio di Whirlpool Napoli Vincenzo Accurso. E i sindacati avvertono che la vicenda può diventare una vera bomba sociale per Napoli e per tutto il Paese. “Da questo momento si rompono le relazioni sindacali con l'azienda. Se il governo non prende una posizione forte, la vicenda Whirlpool diventa una questione di ordine pubblico”, dichiara il segretario generale Fiom-Cgil Napoli, Rosario Rappa.
La risposta immediata di Fim, Fiom e Uilm, sotto la pressione degli operai, è stata lo sciopero di 16 ore in tutto il gruppo Whirlpool. La richiesta al governo deve essere quella di assicurare il lavoro a tutti i 400 lavoratori dello stabilimento campano di Via dell'Argine.

5 febbraio 2020