Le responsabilità dei governanti socialimperialisti cinesi sull'epidemia
Proteggersi dal virus sì. Razzismo anticinese no
Il governo riporti subito in Italia gli italiani in Cina che lo chiedono

L'epidemia virale scoppiata a dicembre in Cina a partire da Wuhan, città di diversi milioni di abitanti e capoluogo della provincia centrale dello Hubei, sta continuando a propagarsi ed ha già superato il migliaio di vittime e viaggia verso i 50 mila contagiati, superando ampiamente i livelli raggiunti nel 2002-2003 dalla pur temibile Sars. Il popolo cinese sta affrontando una situazione drammatica, con 60 milioni di persone confinate a Wuhan e in tutto lo Hubei, isolato dalle autorità governative per cercare di contenere il più possibile l'estensione del terribile coronavirus, che colpisce le vie respiratorie e contro il quale non c'è al momento né vaccino né farmaco efficace per debellarlo.
Le strutture sanitarie cinesi sono impegnate fino al limite del collasso, con quasi 30 mila persone ricoverate e i posti letto che non bastano mai, nonostante la costruzione in tempi record di ospedali prefabbricati e l'allestimento di ospedali di fortuna in edifici pubblici e con tendopoli. Ad aggravare la situazione è stata la coincidenza dell'insorgere del morbo con il periodo festivo del Capodanno cinese, con l'enorme aumento dei viaggi all'interno e dei rientri dall'estero che aumentano il rischio di spargere il contagio all'interno e all'esterno della Cina, come dimostrano i casi, ancora relativamente contenuti, registrati in altre province cinesi e in diversi paesi asiatici limitrofi; ma anche, seppure in numero minore, i casi registrati in Australia, in America e in Europa.
Il contagio avrebbe potuto essere fronteggiato molto più tempestivamente ed efficacemente, se le autorità locali e il governo centrale cinesi non avessero colpevolmente sottovalutato i primi allarmi lanciati dai medici già ai primi di dicembre, quando si cominciavano a contare i primi morti di polmonite a causa di un virus sconosciuto. Un mese dopo, il 10 gennaio, quando già il coronavirus era stato isolato, il suo profilo inviato all'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e distribuiti i primi test di identificazione, le autorità continuavano ancora a negare il pericolo dell'epidemia e nascondere la gravità della situazione, al punto da far arrestare otto persone accusate di diffondere nella rete “voci false” sul rischio contagio. Questo inammissibile ritardo nell'ammettere il pericolo e prendere i necessari provvedimenti ha fatto sì che milioni di persone abbiano lasciato Wuhan per tornare nei loro paesi d'origine a festeggiare il Capodanno, contribuendo così a diffondere il morbo.

Un criminale ritardo nell'ammettere il pericolo
Soltanto il 20 Gennaio Xi Jinping ha ammesso per la prima volta l'esistenza dell'epidemia e tre giorni dopo è stata proclamata l'emergenza e l'isolamento dei 60 milioni di abitanti dello Hubei. Il medico che per primo aveva lanciato l'allarme, Li Wenliang, e che era stato minacciato dalla polizia e costretto a tacere, nel frattempo è stato contagiato ed è morto, diventando un eroe nazionale. Ciò ha provocato la rabbia popolare che per diversi giorni si è sfogata sui social media contro le autorità locali, il partito e il governo centrale, prima di essere censurata dagli apparati repressivi. Non c'è dubbio perciò, al di là delle colpe dei singoli dirigenti locali, le cui teste hanno cominciato a cadere nel tentativo di circoscrivere i contorni dello scandalo e placare la rabbia popolare, che la cricca socialimperialista al potere capeggiata da Xi Jimping porti sulle sue spalle la gravissima responsabilità di aver ritardato per almeno dieci giorni decisivi le misure per fronteggiare l'epidemia, contribuendo in maniera criminale alle sue spaventose dimensioni attuali.
Nel resto del mondo le misure prese sono state di vario genere. Gli Stati Uniti, dove si era verificato qualche caso, hanno chiuso immediatamente ogni collegamento con la Cina. Anche in Europa si erano registrati casi in alcuni paesi della Ue, tra cui due in Italia, una coppia di turisti cinesi in vacanza nel nostro paese e tuttora ricoverati in prognosi riservata all'istituto Spallanzani di Roma. A cui si è aggiunto più di recente un terzo caso di un cittadino italiano rientrato da Whuan insieme ad altri evacuati con un aereo militare. Come in altre situazioni di crisi, anche stavolta la Ue si è volatizzata senza adottare una linea comune per fronteggiare l'emergenza sanitaria e lasciando che ogni paese decidesse da solo quali misure prendere o non prendere. A ulteriore dimostrazione che la Ue esiste solo quando si tratta di imporre le regole neoliberiste alle economie dei vari Stati e difendere gli interessi delle proprie multinazionali, salvo sparire quando si tratta invece di tutelare i diritti dei lavoratori e dei migranti, gestire l'accoglienza dei rifugiati, difendere le libertà e i diritti civili nei paesi membri che li minacciano, proteggere i cittadini europei all'estero (vedi il caso Regeni), e così via.

Il pasticcio del governo sul blocco dei voli
È così che il 30 gennaio, dopo la notizia dei due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani, il governo italiano, unico caso in Europa, ha deciso “in via precauzionale” di sospendere tutti i collegamenti aerei con la Cina, provocando forti tensioni diplomatiche col governo cinese, che già aveva accusato quello americano di “creare panico” con la sua chiusura delle frontiere e di non provvedere “alcuna assistenza sostanziale”. A questo proposito i cinesi si rifacevano anche alle direttive dell'Oms che non giudicavano necessario ai fini del contenimento del contagio la sospensione dei voli da e per la Cina. Anche il governo di Taiwan protestava per l'inclusione dell'isola, che non aveva contagiati, nel blocco dei voli deciso da Roma.
Il governo italiano, per bocca del ministro della Salute, Speranza, confermava invece il blocco togliendolo solo per le merci in quanto “materiale non contaminabile né contaminato”. Oltre ad irritare non poco il governo cinese, questa decisione ha creato grosse difficoltà agli italiani presenti per vari motivi in Cina (studio, lavoro, affari, vacanza, ecc.), circa 600 persone e forse anche di più. Così che mentre i governi di Francia, Regno Unito e Germania hanno sollecitato i loro cittadini a rientrare più in fretta possibile a casa, i nostri connazionali in Cina si sono visti improvvisamente negare il visto o incontrano serie difficoltà a rientrare in Italia per mancanza di voli diretti. Il governo deve farsi urgentemente carico di questo problema da esso stesso amplificato e riportare a casa i cittadini italiani bloccati in Cina.
Sarà un caso che questo pasticcio della chiusura dei collegamenti con la Cina, in controtendenza rispetto agli altri paesi europei e alle raccomandazioni dell'Oms, sia stato deciso da Conte, Speranza e Di Maio mentre Salvini sbraitava a più non posso invocando la “chiusura delle frontiere” e mentre cresceva nel Paese un'ondata di psicosi e di razzismo anticinesi? Proprio a fine gennaio infatti hanno cominciato a moltiplicarsi i casi di insulti e aggressioni ai danni di turisti cinesi e di cittadini italiani di origine cinese, fatti scendere dagli autobus, insultati sui social e per strada accusandoli di “portarci la Sars”, allontanati dai ristoranti e dai negozi, e così via. Alimentata dai toni allarmistici e xenofobi dei giornali e dei media, in particolare quelli al servizio della destra berlusconiana e salviniana, la psicosi ha preso rapidamente dimensioni di massa creando il vuoto attorno a tutte le attività gestite da cittadini di origine cinese, ristoranti, negozi, parrucchieri, centri commerciali. Una psicosi xenofoba che il governo Conte-bis non sembra in grado di contrastare, ma al contrario incoraggiare con i suoi provvedimenti dettati più dall'ansia di non prestare il fianco alla propaganda di Salvini che da una visione razionale della situazione.

La lettera dei governatori leghisti del Nord
È emblematica in questo senso la vicenda della lettera dei governatori leghisti di Veneto, Lombardia e Friuli e della provincia autonoma di Trento al ministro Speranza per chiedere di vietare l'ingresso a scuola dei bambini rientrati dalla Cina. Sfruttando l'oggettiva lacunosità e ambiguità della circolare ministeriale del 1° febbraio sulla scuola, e un rapporto dell'Oms in cui l'eventualità di contagio anche da soggetti senza sintomi viene giudicata “rara ma possibile”, i quattro governatori della Lega ne approfittavano per cavalcare le ansie dei genitori chiedendo di integrare la circolare con “la possibilità di prevedere un periodo di 14 giorni prima del rientro a scuola da parte degli studenti tornati in Italia dalle zone a rischio”. Anche l'ordinario di Igiene della Cattolica e rappresentante dell'Italia presso l'Oms, Walter Ricciardi, e il virologo del San Raffaele, Roberto Burioni, appoggiavano la richiesta dei quattro governatori, mentre l'Istituto superiore di sanità e altre autorità ribadivano la validità e la sufficienza delle misure già adottate.
Un modo subdolo, quello della Lega, per legittimare dietro un'apparente “buon senso” le paure e la diffidenza nei confronti della popolazione di origine cinese, che oltretutto si stava già regolando da sé, con le famiglie rientrate dalle zone a rischio che si mettono spontaneamente in quarantena ed evitano di mandare i figli a scuola: “Una scelta assurda, che rischia di creare psicosi e sdoganare i peggiori istinti della gente, che già oggi se la prende con i cittadini cinesi”, dichiarava a “La Repubblica” Francesco Wu, residente in Italia da 30 anni e punto di riferimento della comunità cinese di Milano. “Per chi come me ha lottato per la buona convivenza – aggiungeva Wu - questo clima è spaventoso: gli heaters sui social e la gente che insulta per strada sono il frutto anche dell'irresponsabilità dei politici e della stampa che influenzano l'opinione pubblica. Da giorni i miei connazionali qui in Italia sono vittime di atti di razzismo. Siamo preoccupati”.
Eppure la forzatura della Lega ha sortito il suo effetto, perché dopo pochi giorni Speranza ha modificato la circolare alle scuole ammettendo la possibilità di invitare le famiglie ad osservare la quarantena di 14 giorni, con assenza giustificata, sotto la “sorveglianza attiva” della Asl e dietro segnalazione dei presidi. Una formulazione non meno confusa di prima, ma lo scopo di fare contenti Zaia e soci era stato raggiunto.
Non è inseguendo a destra la Lega e la sua propaganda xenofoba e razzista che il governo Conte-bis possa illudersi di durare più a lungo. Faccia il suo dovere di proteggere la popolazione italiana dal virus, ma senza concedere neanche un millimetro al razzismo anticinese che finora non ha saputo o voluto contrastare!
 
 

12 febbraio 2020