Incontri governo sindacati sulle pensioni
Al di là di qualche modifica la Fornero non viene cancellata
Cgil, Cisl e Uil subalterni al governo Conte 2

Per tutto il mese di febbraio proseguiranno gli incontri tra governo e sindacati sulle pensioni. Dopo quello del 3, il 7 al Ministero del Lavoro è stato trattato il tema della rivalutazione. Il 10 sarà la volta della flessibilità in uscita, uno delle questioni più controverse da affrontare perché tocca uno dei capisaldi della legge Fornero. Il ciclo d'incontri si concluderà il 19 febbraio sulla previdenza complementare, dove invece è prevedibile un'intesa più facile, visto l'interesse diretto dei sindacati confederali nella gestione dei cosiddetti enti bilaterali.
Nel primo incontro è stata affrontata la spinosa tematica legata ai precari e alla pensione di garanzia, ovvero di una misura che possa assicurare anche a chi ha avuto una carriera professionale discontinua con periodi di disoccupazione involontaria, un assegno previdenziale dignitoso. Il tutto però deve fare i conti con alcuni paletti messi dal governo e sostanzialmente accettati dai sindacati, ossia la scarsità di risorse a disposizione.
All'inizio della trattativa, il 27 gennaio, le due parti avevano già raggiunto un'intesa di massima per quanto riguarda il superamento di “quota 100”, in scadenza il prossimo anno. Questo però impone al governo Conte 2 e ai sindacati confederali di rimodulare tutti i meccanismi, altrimenti togliere quella misura voluta da Salvini, seppur demagogica, parziale e temporanea, apparirà ai lavoratori come un passo indietro rispetto al precedente governo Lega-5 Stelle.
Queste considerazioni prettamente politiche, come il termine di “quota 100”, gli appuntamenti elettorali e il sostanziale sostegno all'esecutivo da parte di Cgil-Cisl-Uil, hanno spinto il governo al tavolo della trattativa, piuttosto che la mobilitazione dei sindacati. Ci sembra fuori luogo l'enfasi con cui la Cgil dichiara che “la lotta paga”, in riferimento agli incontri sulle pensioni e sulle promesse di diminuzione della pressione fiscale attraverso il taglio del cosiddetto “cuneo”.
Dov'è questa lotta? Qualche presidio e una manifestazione in sei mesi dal suo insediamento possono essere considerati grimaldelli per far cedere il governo? Non crediamo proprio, semmai è da registrare una sempre maggiore subalternità di Cgil, Cisl e Uil al governo. Sul cuneo fiscale, che poi non è altro che l'estensione degli 80 euro di Renzi, a suo tempo criticati dalla Cgil, si è arrivati persino a fargli la propaganda, invitando i propri delegati a diffondere tra i lavoratori volantini che ci ricordano come da luglio ci saranno “meno tasse per i lavoratori”, naturalmente grazie alla mobilitazione e, sottinteso, per la diponibilità del governo.
Tornando alle pensioni è chiaro come i sindacati confederali non abbiano alcuna intenzione di chiedere la cancellazione della Fornero, ma preferiscono riformarla qua e là, specialmente nei punti dove l'attuale legislazione non garantisce quasi niente. Uno di questi punti è la pensione per i giovani, che nella maggior parte dei casi, avendo carriere discontinue e il calcolo interamente contributivo, sono doppiamente penalizzati e, pur essendo stati impegnati nel mondo del lavoro per oltre 40 anni, vanno incontro a vitalizi da fame.
Pur con posizioni leggermente differenti, Cgil-Cisl-Uil, all'inizio delle trattative sembravano attestate verso una cifra minima di mille euro. Per la Cgil basterebbe “tappare i buchi” solo a fine carriera, lasciando invece il vecchio sistema nel caso si trovi un lavoro stabile, mentre la Uil vorrebbe dei correttivi già lungo il percorso lavorativo. Ma poi è arrivata la Cisl, sostenendo una quota minima di 780 euro che, non a caso, è la cifra esatta del reddito e della pensione di cittadinanza.
L'incontro si è chiuso in maniera interlocutoria, rimandando tutto agli incontri finali, mentre in quello successivo si è discusso della rivalutazione. Per la mancata indicizzazione al reale aumento dell'inflazione le pensioni hanno perso, secondo uno studio sindacale, fino ad alcune migliaia di euro all'anno. “Un pensionato che nel 2011 aveva un assegno pari a 1.500 euro - spiega Domenico Proietti della Uil - oggi riceve una pensione pari a 1.575 euro, mentre se fosse stato utilizzato il meccanismo ordinario avrebbe avuto una pensione mensile pari a 1.649 euro (962 euro in più) ogni anno. Un danno permanente per tutta la vita”.
Oltre all'adeguamento pieno all'inflazione i sindacati chiedono anche l'allargamento della platea di chi riceve la cosiddetta quattordicesima, ovvero la mensilità supplettiva che adesso tocca a chi prende fino a 655 euro, per estenderla fino a chi percepisce 1.030 euro lordi al mese, oltre all'abbassamento della pressione fiscale sui pensionati. Ma la senzazione è che da questa trattativa non uscirà niente di buono e di concreto. Se il governo continua a dire che ci sono pochi soldi e non quantifica la cifra che metterà a disposizione, si parla solo di vane promesse.
Gli ultimi governi hanno usato i pensionati come un bancomat, uno sportello da cui prelevare i soldi per finanziare il debito pubblico. Le controriforme pensionistiche, dalla “riforma” Dini alla legge Fornero, hanno sottratto alla previdenza pubblica, solo negli ultimi anni, 80miliardi di euro, ed è impensabile recupare questo scippo di risorse con le proposte dei sindacati confederali, le quali rappresentano solo un “brodino caldo”, degli aggiustamenti che servono solo a rallentare la veticale perdita di potere d'acquisto delle pensioni.
In Italia ci sono 16 milioni di pensionati, più del 36% percepisce assegni inferiori ai mille euro lordi, il 13% meno di 500, con le donne fortemente penalizzate. Per il futuro, stante la legislazione attuale, si andrà in pensione a 70 anni con cifre che si aggireranno attorno al 40% del salario percepito. La trattativa sulla flessibilità in uscita, ancora in corso al momento in cui scriviamo, conferma che quasi sicuramente non ci saranno novità sostanziali. Già si parla, in caso si pensione “anticipata” (ma sempre dopo i 62 anni) di penalizzazioni.
Per essere credibili, i sindacati confederali dovrebbero puntare ad aumenti nell'ordine delle centinaia di euro mensili e sulla reintroduzione del sistema retributivo. Non è vero che è insostenibile, in Francia esiste, anche se stanno cercando di toglierlo. Ma Cgil, Cisl e Uil non lo hanno mai rivendicato. Sull'età pensionabile, chiedere l'abbassamento generale per tutti, e poi ulteriore abbassanto per lavori usuranti e donne. E non è accettabile che con 40 anni di contributi non si possa andare in pensione senza limiti di età e penalizazzioni.
Mentre per i giovani e chi lavora in modo discontinuo per prima cosa occorre combattere la precarietà. E se si vuole veramente introdurre una pensione di garanzia che non sia l'elemosina del reddito e pensione di cittadinanza, i sindacati devono abbandonare la strada del welfare aziendale, sempre più presente in tutti i contratti, altrimenti la previdenza pubblica non avrà più risorse da destinare ai pensionati di domani.

12 febbraio 2020