Il Regno Unito esce dalla Ue

 
La Gran Bretagna dal 31 gennaio è fuori dall'Unione Europea. Il percorso era iniziato oltre tre anni e mezzo fa dopo il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea del 23 giugno 2016, concluso col 51,9% dei voti contro il 48,1% a favore della Brexit; era passato da una trattativa infinita che produceva tre accordi definiti dai negoziatori europei col governo di Theresa May ma bocciati regolarmente in parlamento dalle opposizioni e dalla fronda dei conservatori guidati da Boris Johnson che infine prendeva il posto della May e pilotava il paese verso il traguardo dell'uscita. Ma ancora nulla cambia dato che l'intesa stabilisce che inizi un periodo di transizione fino al 31 dicembre 2020, quando Bruxelles e Londra dovrebbero aver definito i parametri delle loro future relazioni finanziarie e commerciali.
Il divorzio imperialista tra la Ue e la Gran Bretagna è commentato come una rovina anzitutto economica di Londra e foriero di futuri divorzi quantomeno della europeista Scozia ma certamente anche come un colpo economico e politico alla indebolita Unione europea; altri lo vedono come l'inizio di una “rinascita” inglese liberata dai lacci europei e diretta verso le braccia aperte degli Usa di Trump e nello stesso tempo il possibile rilancio della potenza imperialista europea liberata dalla zavorra filoatlantica di Londra e sotto la guida del tandem franco-tedesco. Staremo a vedere ma non facciamo il tifo per nessuna delle opzioni che pensiamo non vadano nel senso degli interessi di classe delle masse popolari della Gran Bretagna e europee e ricordiamo il nostro giudizio che salutava l'esito del referendum come una grande vittoria dei popoli della Gran Bretagna contro l'Ue imperialista, un voto contro l'Europa della grande finanza, delle banche e della City, un No all'Europa del grande capitale e non dei popoli; una vittoria storica, un esempio di come la pensano i popoli della Ue quando gli viene data la possibilità di farlo, un segnale chiaro contro l'Unione europea imperialista e la sua politica neoliberista e affamatrice che aveva caricato il peso della crisi finanziaria e economica capitalistica sulle spalle delle masse popolari.
Un giudizio che faceva anzitutto chiarezza sul sostanziale significato del referendum per contestare l'affanno dei delusi cantori dell'Unione europea imperialista nell'evidenziare oltremisura il contributo che pure c'era stato da parte dei partiti e delle posizioni ultranazionaliste, razziste e xenofobe per una uscita da destra dalla Ue. Come quelle cavalcate dall'Ukip del reazionario Nigel Farage, alleato di Grillo e del M5S, e dalla destra dei conservatori capeggiata da Boris Johnson che sarebbe presto diventato il pupillo di Trump.
Il percorso finale dell'uscita della Gran Bretagna dalla Ue era stato aperto il 23 gennaio dal parlamento britannico che aveva definitivamente approvato l'accordo raggiunto da Boris Johnson con Bruxelles e dalla firma di ratifica della Regina Elisabetta II al testo dello European Union Withdrawal Agreement act. L'accordo era quindi sottoscritto il 24 gennaio dalla presidente della Commissione europea, la democristiana tedesca Ursula von der Leyen, e dal presidente del Consiglio europeo, il liberale belga Charles Michel, e ratificato il 29 gennaio dal Parlamento europeo e infine dal Consiglio dell'Ue.
Il 31 gennaio è iniziato il periodo di transizione durante il quale Londra si è impegnata a applicare le normative europee e a pagare la quota di contributi al bilancio comunitario che dovrebbe terminare il 31 dicembre con un trattato sui nuovi rapporti tra Ue e Gran Bretagna. I contenuti del trattato saranno definiti per la parte Ue dai negoziatori guidati dal conservatore francese Michel Barnier, secondo le linee guida che la Commissione europea è impegnata a presentare entro il 25 febbraio. Uno dei passaggi prevede che entro il primo luglio le parti dovranno decidere se prolungare la transizione e quindi i negoziati per uno o due anni.
Il premier britannico Boris Johnson ha già fatto sapere che il 31 dicembre si chiude con o senza l'intesa, preferendo una soluzione del tipo di quella del CETA, l'accordo commerciale di libero scambio tra Canada e Unione europea con libertà di movimento per beni e servizi e cooperazione flessibile in altre aree. La von der Leyen ha già ammonito che “senza libertà di circolazione per le persone, non può esserci libertà di movimento per beni e capitali; senza standard comuni in materia ambientale, di tassazione e diritto del lavoro non può esserci accesso al più grande mercato unico del mondo”. Senza accordo, dall’inizio del 2021 tra le parti si applicherebbero le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC, o WTO nella sigla inglese), compresi dazi e controlli alle frontiere per le merci in transito nelle due direzioni.

12 febbraio 2020