Alle elezioni politiche anticipate in Irlanda
Più di un terzo degli elettori diserta le urne
Sconfitto il Fine Gael del premier Varadkar che cercava di rafforzare la posizione del governo, superato dai liberali del Fianna Fail e dai nazionalisti di sinistra del Sinn Fein

 
Dalle elezione politiche anticipate per il rinnovo dei 160 seggi del Dáil Éireann, la camera bassa irlandese, dell'8 febbraio il premier Leo Varadkar si aspettava un rafforzamento del suo partito, il democristiano Fine Gael, e del suo governo monocolore di minoranza che si reggeva con l'astensione dell'altro partito di centro, il liberal-conservatore Fianna Fáil di Micheal Martin dal 14 giugno 2017. Ne è uscito sconfitto anzitutto da una crescita di oltre due punti, rispetto le politiche del 2016, della diserzione dalle urne esercitata dal 37,1% degli elettori. Un dato importante che conferma la diserzione alle urne, che alle recenti europee aveva superato il 50% degli aventi diritto, come primo partito irlandese a fronte anche di cambiamenti significativi negli equilibri tra i partiti borghesi a Dublino.
Cambiamenti che hanno spinto il Fianna Fáil a superare in numero di seggi il Fine Gael ma che hanno riguardato soprattutto la crescita irruente del Sinn Fein di Mary Lou McDonald, la presidente succeduta da due anni nella guida dell’ex organo politico dell’Irish Republican Army (Ira) alla direzione “storica”, durata dal 1983 al 2018, di Gerry Adams l'artefice da parte dei nazionalisti irlandesi dell'Accordo del Venerdì Santo del 10 Aprile 1998 che pose fine alla quasi trentennale guerra di liberazione nordirlandese. Il risultato del Sinn Fein già ha determinato che per la prima volta dal 1921, dall’indipendenza da Londra, non sono solo i due partiti di centrodestra a contendersi la guida del governo.
Nella spartizione del 62,9% dei voti validi il primo partito risulta lo Sinn Féin col 24,5% che quasi raddoppia la percentuale dei consensi rispetto alle precedenti elezioni politiche del 2016; seguono il Fianna Fáil col 22,2%, il Fine Gael col 20,9% e vari partiti minori, tra i quali spicca il rafforzamento degli ambientalisti del Green Party e l'ennesima caduta dei laburisti. Il Sinn Féin non si aspettava questo risultato tanto che non aveva presentato candidati in tutti i collegi elettorali e viene quindi superato in seggi dal Fianna Fáil, 38 contro 37, col Fine Gael a 35; seguono i Verdi con 12 seggi, laburisti e socialdemocratici con 6. Un risultato che ribaltava quello della legislatura appena conclusa dove il Fine Gael controllava 47 seggi, il Fianna Fáil 45 e il Sinn Féin 22.
Lo slogan di Mary Lou McDonald è stao “It’s time for change”. È ora di cambiare, rispetto alle due formazioni che governano alternativamente a Dublino da 100 anni. Intanto ha capitalizzato parte del malcontento popolare per le diseguaglianze cresciute nel paese, dall'aumento degli affitti, delle spese mediche e delle assicurazioni. Di quegli effetti negativi, dal taglio della spesa pubblica e dei salari all'aumento delle tasse, che i governi di Dublino hanno scaricato nel corso degli ultimi otto anni sulle spalle delle masse popolari per ripagare l'aiuto di 67 miliardi di euro da parte della Ue per evitare la bancarotta. Il governo Varadkar poteva spendere anche la promozione di avanzamenti sociali come le leggi approvate nei referendum su aborto, divorzio e matrimonio fra persone dello stesso sesso ma non gli sono bastate a evitare la sconfitta e probabilmente a rimanere il Taoiseach, il premier. Cui spetterà affrontare anche la patata bollente della questione del confine con le contee del Nord sotto controllo inglese che in seguito alla Brexit non sarebbero più solo formali come previsto dagli accordi di pace del 1998 ma potrebbero tornare ad essere, senza una intesa tra le parti, una linea di confine effettiva tra un paese Ue, l'Irlanda, e uno extra Ue, la Gran Bretagna. La leader del Sinn Féin, che in base a quegli accordi già governa a Belfast assieme agli unionisti filo-britannici del Dup, una soluzione l'ha trovata, ha dichiarato che entrerà in una coalizione di governo a Dublino a patto che entro il 2025 si tenga un referendum per la riunificazione dell’isola.

12 febbraio 2020