Non c'è sicurezza
L'alta velocità uccide. Morti due macchinisti, 31 feriti
Sciopero dei ferrovieri indetto da tutti i sindacati

Due macchinisti morti e 31 passeggeri feriti: è il tragico bilancio della strage ferroviaria avvenuta alle 5,35 di giovedì 6 febbraio nei pressi di Ospedaletto Lodigiano (Lodi) a causa del deragliamento del treno ad alta velocità AV9595 Milano-Salerno: un Frecciarossa 1000 di ultima generazione, considerato il “fiore all'occhiello” della tecnologia made in Italy, partito alle 5,10 dalla stazione di Milano e lanciato a circa 300 Km/h su quella che secondo i vertici delle Ferrovie dello Stato Italiano (FSI) e della Rete ferroviaria italiana (Rti) è la “linea ferroviaria più tecnologica d'Italia”.
Le vittime sono Giuseppe Cicciù, 51 anni, originario di Reggio Calabria, e Mario Di Cuonzo, che da pochi giorni aveva compiuto 59 anni ed era originario della provincia di Caserta. Abitavano entrambi nel milanese, rispettivamente a Pioltello e Cologno Monzese.
Considerando la dinamica degli eventi, gli stessi investigatori hanno sottolineato che la strage avrebbe potuto avere un bilancio molto più pesante. Il caso ha voluto che a quell'ora sull'AV9595 ci fossero solo 28 passeggeri seduti nei vagoni più economici di coda; nessuno nei dieci posti del vagone-motrice Premium di testa, un solo addetto alle pulizie nel secondo vagone Business e tre dipendenti FS nella carrozza ristorante. Tutti sono rimasti leggermente feriti e senza gravi conseguenze perché al momento del deragliamento la motrice si è sganciata dal resto del convoglio e le carrozze su cui viaggiavano i passeggeri hanno concluso la loro marcia lungo la massicciata dei binari senza rovesciarsi. Due ore dopo gli stessi Frecciarossa che circolano su quella linea sarebbero stati pieni con centinaia di passeggeri e con conseguenze ben più gravi e inimmaginabili.
Entrambi i macchinisti morti erano piloti di Tav e ferrovieri con una lunga esperienza alle spalle. Impegnati nel sindacato, Giuseppe Cicciù come delegato della Fit Cisl, Mario Di Cuonzo come iscritto alla Filt Cgil.
In segno di protesta per gli scarsi investimenti sul fronte della sicurezza, l'assenza di sistemi e procedure di intervento in grado di evitare simili incidenti e per esprimere cordoglio e vicinanza alle famiglie delle vittime, tutti i sindacati hanno aderito allo sciopero di due ore svoltosi il 6 febbraio.

Le cause della strage
A causare la strage è stato il mal funzionamento di un attuatore di scambio interessato fino a pochi minuti prima del deragliamento da alcuni lavori di manutenzione effettuati da una squadra di 5 operai.
Un intervento programmato che prevedeva lo smontaggio dello scambio, pulizia e risistemazione sui loro cuscinetti idraulici di 43 attuatori lungo l’intera rete.
Il caposquadra e i 4 manutentori giunti da Piacenza avevano cominciato a lavorare sullo scambio incriminato a mezzanotte. L’anomalia si è verificata alla fine dell'intervento: il sistema di sicurezza e la centrale operativa di Bologna, che gestisce il traffico ferroviario in quel tratto, non riescono più a rilevare il passaggio dello scambio dalla posizione “aperto” a “chiuso”. Quindi viene deciso di isolare elettricamente lo scambio e di procedere col posizionamento manuale seguendo passo passo la procedura raccomandata da Rti. Gli operai riescono a terminare il lavoro un’ora prima del deragliamento, alle 4.45, e comunicano tramite le consuete procedure che la tratta era stata sistemata e il treno avrebbe potuto circolare alla velocità di marcia prevista. Parte un primo fonogramma, il numero 78/81, con l’ok all'ultimazione dei lavori. Il secondo invece arriva direttamente sul tablet dei macchinisti: “deviatoio 05 disalimentato e confermato in posizione normale”. Alle 5.10 i due macchinisti azionano il convoglio ignari del pericolo mortale a cui vanno incontro.
Il procuratore di Lodi, Domenico Chiaro, ha spiegato che il treno è “deragliato all’altezza di uno scambio che doveva essere posto in una certa posizione e così non era”.
Secondo gli agenti del Noif, lo speciale nucleo operativo incidenti ferroviari della Polfer che hanno effettuato i primi rilievi, il lavoro non sarebbe stato completato e lo scambiatoio posizionato in “rovescio per la sinistra” invece che dritto ha fatto deragliare il treno sui binari di servizio e soprattutto verso l'adiacente area del cantiere allestito per la manutenzione ordinaria e posta a pochi metri di distanza dalle rotaie. L'indagine si è allargata alla centrale operativa di Bologna, incaricata di monitorare il Fracciarossa e la rete ferroviaria che gestisce il sistema degli scambi per un possibile errore di tipo tecnologico e non umano.
La Procura di Lodi ha aperto un’inchiesta per disastro ferroviario, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose plurime che al momento vede indagati solo i 5 manutentori che hanno effettuato i lavori.
I due macchinisti potevano salvarsi
Questo però è solo uno degli aspetti dell’inchiesta. L’altro, definito “strategico” dagli stessi investigatori, riguarda proprio la sicurezza del cantiere Rfi aperto tra gli edifici delle due sottostazioni elettriche al chilometro “166+771”: 28 chilometri dopo Milano, esattamente all’altezza del “punto zero” dell’incidente.
Il cantiere è stato posto sotto sequestro perché i rilievi tecnici hanno confermato che gli “ostacoli” contro cui si è schiantata la motrice “sono stati decisivi” per la morte dei due macchinisti che dunque avrebbero potuto salvarsi se tutte le misure di sicurezza e soprattutto le distanze dei cumuli di materiale e i macchinari parcheggiati a pochi metri dai binari fossero state rispettate.
I due macchinisti, a differenza delle 31 persone a bordo del convoglio, proseguito diritto per oltre 500 metri prima di fermarsi sulla massicciata, si sono schiantati “contro sbarramenti insormontabili incontrati dopo meno della metà della distanza”.
Il rapporto redatto per la procura riporta le misure esatte degli impatti. A 40 metri dal “punto zero” il locomotore travolge una sessantina di bidoni di combustibile. Dopo altri 20 metri incoccia contro una montagna di ciottoli depositati per la nuova massicciata in costruzione a bordo cantiere. Ancora 21 metri e urta contro un escavatore bianco lasciato parcheggiato tra i sei binari di servizio. Dopo altri 29 metri, il primo degli schianti fatali: contro una catasta di vecchi binari abbandonati, che spezzano la cabina. Proprio qui è stato trovato il corpo del primo macchinista. Ormai la motrice è a pezzi e coperti altri 40 metri sbatte contro un carrello carico di cemento fresco, fermo sul secondo binario di servizio al cantiere. È l’impatto più devastante, che accartoccia il muso del treno. Ancora 17 metri e ciò che resta del mezzo si schianta contro un carrello giallo carico di attrezzi per la manutenzione. Qui viene trovato il corpo del secondo macchinista. L’effetto dell’urto è quello di un trampolino: altri 10 metri e il locomotore sfonda lo spigolo della seconda sottostazione Rfi, prende il volo e atterra dopo 44 metri, capovolto e con il muso girato di 180 gradi, orientato verso Nord. Arresta infine la corsa contro un ultimo vecchio vagone, fuori servizio e abbandonato nel parcheggio.
L’inchiesta deve spiegare perché tutti questi ostacoli, materiale e mezzi, fossero a pochi metri dallo scambio fatale, tra i sei binari di servizio che terminano nel magazzino e che dovrebbero rimanere liberi.
Sono decine i cantieri di servizio Rfi attivi in prossimità di importanti scambi lungo le linee dell’Alta velocità. Ora che i convogli “sono di fatto dei proiettili” denunciano gli inquirenti si impone la necessità di lasciare “sufficienti spazi liberi di frenata accanto agli snodi sensibili che possono essere interessati da guasti”.
Per questo le indagini mirano ad accertare se, a lavori non in corso, ci sono “gli uomini e i tempi sufficienti” per “smontare i cantieri, rimuovere materiali e mezzi dai lati delle linee ferroviarie e porre in sicurezza ogni possibile ostacolo, all’interno dei magazzini”.
Per i due macchinisti è stato impossibile tentare qualsiasi manovra perché pochi istanti dopo il deragliamento la loro motrice è finita dentro un vero e proprio campo minato.
La controprova è il destino per fortuna diverso toccato al resto del convoglio, dotato di freni elettromeccanici automatici, che invece ha avuto oltre mezzo chilometro privo di ostacoli per rallentare e i vagoni non si sono capovolti né spezzati.
Risposte e conferme in tal senso sono attese nei prossimi giorni dalle analisi delle scatole nere. Ma già dai primi rilievi risulta chiaro che i due macchinisti potevano davvero salvarsi.

Rti e FSI primi responsabili
La mancanza di sicurezza lungo tutta la linea ad alta velocità chiama in causa i vertici di Rfi e di FSI primi responsabili di questa ennesima strage ferroviaria. In nome del massimo profitto si sacrifica l'incolumità dei passeggeri e la sicurezza dei lavoratori sottoposti a turni e orari massacranti per garantire la massima operatività della rete H24.
Altro che errore umano!
Anche se così fosse, chiarisce il segretario lombardo del sindacato autonomo Orsa, Adriano Coscia: “Su quella tratta c’è il sistema di sicurezza Ertms che è all’avanguardia a livello europeo... Se il personale sbaglia, il sistema interviene. Quindi che ci sia errore umano è da escludere”. “Una mattanza – si legge nel comunicato unitario Cub, Cobas, Usb, Sgb e Cat (che pubblichiamo integralmente a parte) - generata dal sacrificio della sicurezza, sull’altare del profitto, per la carenza di personale e la inadeguata manutenzione, oltre che da ritmi e condizioni di lavoro indegne, soprattutto per gli appalti”.
Dunque gli interrogativi da porsi sono ben altri, a cominciare dal perché il sistema di controllo della circolazione non ha letto l’errata chiusura dello scambio o l’eventuale guasto? Il sistema era attivo o era stato disattivato durante i lavori per far transitare comunque l'AV9595 per evitare l'ingorgo della linea e l'eventuale pagamento di penali?
Per rispondere a queste domande sul banco degli imputati ci dovrebbero salire prima di tutti Claudia Cattani e Maurizio Gentile, rispettivamente presidente e amministratore delegato di Rti, che dovrebbero spiegare come sia possibile morire in questo modo lungo la “linea ferroviaria più tecnologica d'Italia”; insieme all’amministratore delegato e direttore generale di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A, Gianfranco Battisti, il quale ha sprezzantemente liquidato la strage come un evento fisiologico e si è vergognosamente giustificato affermando fra l'altro che: “Si tratta del primo incidente in 15 anni di Alta velocità”.

12 febbraio 2020