Volevano sapere i suoi rapporti con l'Italia e la famiglia di Giulio Regeni
Studente egiziano sequestrato e torturato dalla sicurezza di Stato
In 5 mila a Bologna chiedono in corteo la sua immediata liberazione. Patrick Zaky si occupa dei diritti dei cristiani, dei Lgbtqi, delle donne e dei prigionieri in Egitto
Ritirare l'ambasciatore italiano dal Cairo

 
Patrick Zaky, il ventisettenne ricercatore egiziano che frequenta un master presso l'università di Bologna e che è stato arrestato lo scorso 7 febbraio al suo ritorno in Egitto - arresto già convalidato dalla magistratura egiziana - è stato torturato per almeno 30 ore dalla sicurezza di Stato egiziana, secondo quanto riferito dalla sua famiglia, la quale ha anche denunciato, tramite il quotidiano italiano “la Repubblica” , che il giovane vive in una cella con 35 persone e un solo bagno.
Il quotidiano romano Il Messaggero è ancora più dettagliato, perché scrive che il giovane ricercatore ha subito un primo interrogatorio di 17 ore bendato e ammanettato per tutto il tempo, subendo minacce, percosse e torture con scosse elettriche.
Al giovane sarebbe stato chiesto di parlare dei suoi rapporti con l’Italia e in modo particolare del suo rapporto con Giulio Regeni e la sua famiglia, il giovane ricercatore italiano assassinato in Egitto nel 2016 da appartenenti a corpi di polizia egiziani, anche se sia il suo legale sia sua sorella assicurano che Zaky non ha mai conosciuto personalmente Regeni e che tutto ciò che sapeva sul ricercatore italiano lo aveva appreso dagli organi di stampa.
Zaky, dopo l'arresto all'aeroporto del Cairo, è stato trasferito a Mansura, dove i suoi legali hanno potuto vederlo e constatarne lo stato di salute, raccogliendo la sua richiesta di essere visitato da un medico legale, così da mettere agli atti le tracce della tortura subita.
L'accusa mossa contro di lui dalle autorità egiziane è di avere partecipato al reato, previsto dalla normativa penale di quel Paese, di rovesciamento del regime al potere, per la quale la pena, è l'ergastolo, come ha chiarito in un'intervista all'Ansa Wael Ghaly, uno dei suoi legali, e i fatti compiuti da Zaky consisterebbero in alcuni post sul social network Facebook dove egli manifestava solidarietà all'imprenditore Mohamed Alì, che prima lo scorso settembre poi a gennaio aveva lanciato appelli a manifestare contro l'attuale presidente al-Sisi, appelli che avevano portato in piazza un numero limitato di persone facilmente disperse dalla polizia.
Zaky, che di religione è cristiano copto, aveva vinto una borsa di studio per partecipare al prestigioso master internazionale GEMMA, un corso di studio unico in Europa sugli studi di genere, e il giovane effettivamente si occupava con grande impegno, oltre che dei diritti delle minoranze religiose e dei loro appartenenti, anche della tutela delle persone Lgbtqi, delle donne e della situazione dei diritti umani in Egitto, e sicuramente quest'ultimo tema non può essere gradito alle autorità di un Paese che viola sistematicamente tali diritti.
Inoltre l'impegno di Zaky per i diritti delle persone Lgbtqi ha offerto il pretesto alla televisione egiziana per un vero e proprio linciaggio mediatico nei suoi confronti. Infatti su Ten Tv, emittente finanziata dal governo egiziano, alcuni giorni dopo il suo arresto il popolare conduttore Nashat Dahi ha dato notizia che Zaky si occupava, all'Università di Bologna, del tema dell'omosessualità e che sta preparando una tesi su tale tema.
Il conduttore, entrando nel tema delle accuse legali mosse contro di lui dallo Stato egiziano, ha dichiarato che Zaky è stato fermato dalla polizia perché voleva rovesciare il regime di al-Sisi, ma ha sottolineato più volte che il giovane collaborava con il rappresentante di un'associazione di omosessuali, ed è evidente che con tale mossa le autorità egiziane, per bocca del loro compiacente conduttore, vogliono alienare le eventuali simpatie politiche per il ricercatore che potrebbero esserci all'interno della società egiziana: non bisogna dimenticare, infatti, che in Egitto il compimento di atti omosessuali costituisce reato, per il quale si rischiano fino a 17 anni di lavori forzati.
Sulla vicenda si sono mobilitati studenti e università (sei quelle straniere) con numerose manifestazioni in varie città italiane tra cui Bologna, dove il 17 febbraio in 5 mila hanno sfilato in corteo cantando Bella Ciao : “Chiediamo il suo rilascio immediato -dichiarano i suoi compagni di corso- il ritiro di tutte le accuse a suo carico, l'apertura di un'indagine sulle torture e garanzie al governo egiziano che non perseguiti lui e la sua famiglia, che gli venga permesso di rientrare in Italia per proseguire gli studi ”.
Importante è l'appello pubblico rivolto dai genitori di Giulio Regeni: “Auspichiamo che ci sia per Zaky una reale, efficace e costante mobilitazione affinché questo giovane possa essere liberato senza indugi. Chiediamo alle istituzioni italiane ed europee di porre immediatamente in essere tutte quelle azioni concrete che non sono mai state esercitate per salvare la vita di Giulio o per pretendere verità sul suo omicidio”.
L'azione concreta più importante che deve fare il governo italiano è l'immediato ritiro dell'ambasciatore italiano dal Cairo e, se ciò non fosse sufficiente, la rottura delle relazioni diplomatiche con tale Paese, e ciò che possono fare le istituzioni europee è la rottura di qualsiasi rapporto di collaborazione con l'Egitto.
Tale fermezza è necessaria fino a quando non sarà garantito il rilascio di Zaky e l'archiviazione a suo carico, del procedimento giudiziario che lo vede indagato per accuse pretestuose, poiché è ormai chiaro che Zaky viene perseguito solo ed esclusivamente per le sue posizioni critiche nei confronti del regime egiziano, senza che ciò possa implicare alcun suo reato.

19 febbraio 2020