No al divieto di sciopero e di manifestare, alla militarizzazione delle “zone rosse” e alle speculazioni
La lotta contro il coronavirus non può essere presa a pretesto per limitare le libertà democratiche borghesi e costituzionali

L'influenza da coronavirus (Covid-19) partita a dicembre dalla città di Wuhang, e che ha già fatto oltre 3 mila vittime e quasi 100 mila contagi in tutto il mondo, ha colpito duramente anche l'Italia, tanto che dalla fine di febbraio siamo saliti di colpo al terzo posto dopo Cina e Corea del Sud. Emersa il 21 febbraio con 17 casi in Lombardia, nel territorio comprendente 10 comuni della provincia di Lodi, tra cui i centri di Codogno, Casalpusterlengo e Castiglione d'Adda, e nel comune veneto di Vo' Euganeo, dove c'è stata anche la prima vittima, in pochi giorni l'infezione si è rapidamente moltiplicata in numero di contagiati e di vittime, ed estesa con diversi casi in altre regioni, anche se i due focolai accertati restano per ora quelli in Lombardia e nel Veneto. Al 3 di marzo si contavano infatti 52 morti e 1.835 contagiati, di cui la metà asintomatici o con disturbi lievi, il 40% ricoverati non gravi e il 10% in terapia intensiva. La maggior parte dei contagiati risiedono tra Lombardia (1.077), Emilia (324) e Veneto (271).
In base al rischio di contagio e alle conseguenti misure disposte per contenerlo l'Italia è stata divisa in zone: le rosse, ossia quelle sottoposte a pesanti restrizioni come divieto di entrare ed uscire, chiusura di scuole, attività commerciali e servizi pubblici, divieti di riunioni e manifestazioni ecc., come i dieci comuni del lodigiano e Vo'; le gialle, come Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e le province di Savona e Pesaro-Urbino, dove le scuole restano chiuse fino all'8 marzo e vigono alcune restrizioni alle normali attività; e le zone verdi, ovvero il resto del Paese, dove vanno rispettate certe precauzioni come comunicare alle Asl se si è soggiornato nelle aree a rischio negli ultimi 15 giorni.
La situazione nelle “zone rosse”, soprattutto nei comuni del lodigiano ma anche in tutta la Lombardia, è drammatica, con gli ospedali che stanno praticamente per esaurire i posti di terapia intensiva, il personale sanitario nettamente insufficiente e costretto a fare turni massacranti per sopperire ai malati che aumentano di giorno in giorno e a far fronte alla scarsità di medicine e di mezzi, mentre la popolazione è quasi abbandonata a sé stessa ed ha difficoltà ad approvvigionarsi di tutto.
Le pesanti restrizioni messe in campo per arginare il contagio e lo shock mediatico provocato, in Italia e soprattutto all'estero, dalla rapidità di propagazione del virus nel nostro Paese, che fino a poco tempo fa si illudeva di esserne al riparo, hanno avuto pesanti contraccolpi anche a livello economico, soprattutto nei settori del turismo e del commercio, già duramente colpiti dalla crisi cinese. Molti paesi, tra cui Stati Uniti, Australia, Olanda, Irlanda, Israele, Arabia Saudita, Croazia, Grecia ecc, sconsigliano i viaggi in Italia, altri come Iraq, Kuwait, Giordania e Seychelles vietano addirittura l'ingresso agli italiani.

Le responsabilità del governo e della destra
D'altra parte il reddito delle sole province più colpite dall'epidemia, quelle di Pavia, Lodi, Cremona e Milano, rappresenta il 12% del Pil nazionale e il 2% dell'Eurozona. La Borsa di Milano ne ha subito risentito, anche per effetto della speculazione internazionale che ne ha subito approfittato per giocare al ribasso, con una perdita di 30 miliardi solo nella giornata del 24 febbraio, mentre lo spread sui titoli italiani ha cominciato a salire ed ha già raggiunto quota 177 punti. L'economia italiana, che già ristagnava sulla crescita zero, potrebbe calare dello 0,4% di Pil se la crisi si prolungasse fino a giugno, con una perdita dai 5 ai 7 miliardi. Confesercenti prevede un calo dei consumi per 3,9 miliardi, col rischio di chiusura per 15 mila piccole imprese, mentre Confcommercio stima una perdita di 21 milioni e 700 mila presenze nel turismo tra marzo e maggio, pari a -2,6 miliardi di entrate e 100 mila posti di lavoro a rischio.
Questa è a grandi linee la situazione a dir poco drammatica ad una settimana circa dall'esplosione del contagio da coronavirus in Italia, e già emergono chiaramente importanti elementi di riflessione. Il primo è il modo caotico, inadeguato e strumentale con cui il governo e i partiti della destra hanno affrontato l'emergenza. Pressato da destra da Salvini, che fin da gennaio sbraitava di chiudere porti e aeroporti e sigillare le frontiere, il governo del liberale e trasformista Conte ha subito messo in atto misure eccezionali da stato di assedio nelle “zone rosse” e assecondato i governatori e i sindaci del Nord nell'emettere le più caotiche ordinanze di chiusura anche nelle zone non direttamente colpite. Salvo poi correre ai ripari dopo aver constatato di aver scatenato il panico e le pesanti ripercussioni economiche che aveva provocato. Nel frattempo Salvini chiedeva le sue dimissioni e brigava, in combutta con Renzi, per sostituirlo con un “governo di larghe intese” per affrontare l'emergenza e andare al voto al massimo in autunno, cercando anche di coinvolgere in questo il capo dello Stato, ma con scarsi risultati. Dopodiché anche il duce dei fascisti del XXI secolo era costretto a cambiare registro passando dal “chiudere tutto” a “riaprire tutto”, come facevano i suoi governatori della Lombardia e del Veneto, Fontana e Zaia, spaventati dai contraccolpi economici.

Il fallimento del federalismo all'italiana
L'epidemia ha messo a nudo il fallimento del federalismo all'italiana disegnato nella controriforma fatta dal “centro-sinistra” nel 2001 per rabbonire la Lega, con i conflitti scoppiati tra il governo e i governatori di regione sulla gestione dell'emergenza e questi ultimi che tendono a prendere decisioni autonome, forzando al massimo i già ampi poteri che la devoluzione gli consente. Come per esempio il governatore del Friuli, il leghista Fedriga, che ha chiuso le suole praticamente a tempo indeterminato. O il governatore PD delle Marche, Ceriscioli, che ha voluto chiuderle anche quando nella sua regione non c'era nemmeno un caso. O il governatore della Sicilia, Musumeci, che voleva impedire lo sbarco delle navi delle Ong con i migranti salvati nei porti dell'isola. O il governatore di “centro-destra” della Basilicata, Vito Bardi, che voleva impedire l'ingresso nella regione ai settentrionali, e così via.
Per non parlare di Fontana e di Zaia, in campagna elettorale permanente come il loro caporione Salvini e dediti soprattutto ad accattivarsi l'elettorato con uscite propagandistiche: il primo mettendosi la mascherina in diretta Facebook, e contribuendo a diffondere nel mondo l'immagine di una situazione sanitaria fuori controllo in Italia; e il secondo, da inguaribile razzista com'è, insultando il popolo cinese col dichiarare ad un'emittente locale che “la Cina ha pagato un grande conto di questa epidemia perché comunque li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi o questo genere di cose”.

Il disastro della sanità pubblica
L'epidemia ha messo a nudo anche il disastro annunciato della sanità pubblica gestita dalle Regioni, dopo decenni di tagli al personale, chiusura di ospedali e privatizzazioni, e che ora si trova del tutto impreparata e inadeguata ad affrontare la crisi, compresa la sanità lombarda tanto decantata dalla Lega per la sua “eccellenza”. Sono ben 37 i miliardi tagliati al Servizio sanitario nazionale negli ultimi 10 anni, 40 mila i posti letto negli ultimi 15 anni e 115 gli ospedali chiusi tra il 2010 e il 2017. Secondo il sindacato dei medici (Anaao) tra il 2009 e il 2018 il blocco del turn-over ha falcidiato 7.700 medici e più di 12 mila infermieri. E da qui al 2025 mancheranno 17.800 specialisti, mentre già adesso mancano 22 mila infermieri. Impietoso è poi il confronto con la sanità di altri paesi europei: secondo l'Ufficio parlamentare di Bilancio il Servizio sanitario nazionale spende in media 2.545 dollari per ogni cittadino italiano, mentre in Norvegia si spende 5.289 dollari e in Germania 5.056 dollari. E se in Italia siamo scesi da 3,9 a 3,2 posti letto ogni mille abitanti nel decennio 2007-'17, in Europa la riduzione è stata in media da 5,7 a 5. Per non dire del trend di crescita della spesa sanitaria pro capite, che per l'Italia è di gran lunga all'ultimo posto tra i paesi del G7. L'epidemia ha trovato quindi una sanità già allo stremo e in emergenza da anni, e perciò del tutto inadeguata a farvi fronte specie se dovesse continuare ad allargarsi. Non per nulla lo stesso consigliere del ministro della Sanità, Walter Ricciardi (membro della Oms), ha chiesto un piano straordinario di assunzioni di medici e infermieri.
La sanità pubblica in mano alle Regioni, con gli ingenti finanziamenti da amministrare, ha favorito enormemente la corruzione (vedi la gestione Formigoni) e la sanità privata, che in Lombardia è arrivata ad assorbire il 40% della spesa sanitaria, e che si è rivelata totalmente assente in questa emergenza. Anzi, sta approfittandone per lucrare ancora di più, dato che gli ospedali pubblici sono pieni per i malati di coronavirus e gli utenti sono costretti a rivolgersi al privato per le visite e gli esami urgenti. Se poi, come dicono, le strutture private metteranno a disposizione dei letti e del personale per l'emergenza, bisognerà vedere se anche questo non si risolverà in una nuova speculazione a spese della collettività. Tutto questo dovrebbe suonare un ulteriore campanello d'allarme contro il progetto di “autonomia differenziata” che i governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna stanno portando avanti, con la disponibilità del governo Conte 2, su molte altre materie di importanza vitale per le masse, come la scuola, l'energia, le infrastrutture ecc.

Speculazioni capitaliste e “stato d'eccezione”
Questa crisi sta mettendo in luce anche tentativi di speculazione da parte dei capitalisti, non solo per quanto riguarda la Borsa, ma anche per cercare di mungere sussidi dallo Stato approfittando delle difficoltà dell'economia. Il governo ha varato un decreto contenente tutta una serie di sospensioni di bollette, mutui e adempimenti fiscali, estensione della cassa integrazione e altre agevolazioni per le zone a rischio e per alcuni settori tra i più colpiti come il turismo e le piccole imprese, e si prepara a vararne un altro contenente anche uno stanziamento di 3,6 miliardi da finanziare in deficit. Ma già i governatori, la Confindustria e le altre associazioni padronali battono cassa e chiedono di più. Salvini chiede “almeno 50 miliardi”. Alcune aziende approfittano anche della situazione per mettere in cassa integrazione migliaia di lavoratori, come ha fatto l'Alitalia, che ha chiesto di aggiungere 2.785 dipendenti ai 1.175 già previsti in cassa straordinaria fino ad ottobre; e come ha fatto il colosso mondiale di viaggi Expedia, che proprio adesso chiede di sfoltire di 3 mila unità i suoi dipendenti in tutto il mondo. Altre aziende, come Vodafone, Abb e tante altre, tentano di far pagare ai dipendenti le giornate di fermo obbligato a causa dell'emergenza sanitaria facendogliele consumare come ferie.
Un altro fatto assai inquietante e pericoloso emerso in questa situazione è la tendenza ormai dilagante - approfittando delle situazioni di emergenza e col pretesto quando della sicurezza come ha fatto Salvini, quando, come in questo caso, della salute delle persone – a proclamare e attuare lo “stato di eccezione” e la conseguente militarizzazione della vita civile del Paese, che ha come prime vittime guarda caso i diritti di manifestazione e di sciopero e la libertà di movimento delle persone. Così, con il decreto approvato a tambur battente dal governo il 22 febbraio, poi passato quasi all'unanimità in parlamento, si è stabilito non solo il divieto di entrare o uscire da un'area prestabilita e la chiusura di scuole e università, musei, viaggi di istruzione scolastica, anche all'estero ecc., ma anche “la sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione”.
Le trasgressioni a queste disposizioni sono punibili ai sensi dell'art. 650 del codice penale che prevede l'arresto fino a tre mesi. Mentre si prevede anche che il ministero dell'Interno possa avvalersi non solo delle forze di polizia, ma anche “ove occorra, delle Forze armate”, e che a tali forze il prefetto attribuisca “la qualifica di agente di pubblica sicurezza”. Non a caso la prima conseguenza del decreto su scala nazionale è stata la cancellazione da parte della Commissione di Garanzia dello sciopero del 9 marzo proclamato dal movimento Non Una di Meno in occasione della giornata mondiale di lotta delle donne che si celebra l'8 Marzo. Mentre già i sindacati confederali avevano già deciso di revocare gli scioperi del trasporto aereo del 25 febbraio e quello della scuola del 6 marzo.
È anche con questi metodi surrettizi e apparentemente “normali” che si cerca di far passare la liquidazione pezzo dopo pezzo delle libertà democratiche borghesi e costituzionali e l'istituzionalizzazione del regime neofascista già imperante di fatto. Comunque non ci può essere “unità nazionale” col governo reazionario e antipopolare Conte al servizio dei capitalisti e della borghesia.
 

4 marzo 2020