La Fondazione Pangea denuncia le cattive condizioni delle donne in Italia
Leggi punitive per le donne, violenze di genere, femminicidi

 
La Fondazione Pangea - insieme alla WILPF (Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà), alla cooperativa Be Free contro violenza e tratta e a molte altre organizzazioni - ha presentato lo scorso 11 ottobre a Ginevra un rapporto per approfondire molti aspetti della condizione femminile in Italia in occasione della Revisione Universale Periodica (UPR) dell’Italia sui Diritti Umani da parte dell'ONU, che si sarebbe svolta il 4 novembre successivo.
Ogni quattro anni infatti gli Stati, e ovviamente anche l'Italia, vengano sottoposti a una valutazione delle Nazioni Unite per stabilire il livello raggiunto in materia di diritti umani, nei quali rientra la condizione femminile.
Il rapporto elaborato da Pangea insieme alle altre organizzazioni denuncia in 23 pagine le numerose criticità della condizione femminile in Italia dove, in base agli ultimi dati Istat disponibili, del 2015, risulta che 6.788.000 donne in Italia tra i 16 e i 70 anni (cioè il 31,5%) hanno vissuto una qualche forma di violenza.
Ogni 72 ore, secondo dati aggiornati allo scorso anno, avviene un femminicidio (circa 120 donne all’anno), di solito per mano di un partner, ex partner o parente, e il possesso di un’arma è un fattore di rischio: “Small Arms Survey - si legge a pagina 7 del rapporto - stima in 8.600.000 in totale le armi da fuoco detenute da civili in Italia nel 2017” .
Per le donne migranti, denuncia il rapporto a pagina 17, la situazione è addirittura resa ancora più disastrosa dalla legislazione voluta da Salvini, in quanto “l’identificazione precoce, il sostegno e la protezione di tutte le vittime della tratta corrono il serio rischio di essere gravemente limitate a causa del cosiddetto decreto sicurezza. I dati disponibili forniscono un’idea della portata delle violazioni che provocherà il nuovo decreto, poiché l’abolizione della protezione umanitaria conferita in passato alla maggioranza dei richiedenti asilo, potrebbe spingere in clandestinità molte persone costringendole a condizioni di vita sempre più miserabili, ed esporli alla violenza e allo sfruttamento ”.
Nel 2017, si legge, furono ben 1.050 le vittime della tratta a venire assistite, di cui l’85,6% erano donne, mentre l’11,5% bambini, e in entrambi i casi i principali Paesi di provenienza erano Nigeria, Romania e Marocco.
Alle pagine 10 e 11 il rapporto punta il dito contro la carenza di fondi da parte del governo, il quale non ha mai garantito a tutte le donne vittime di violenza l'assistenza legale gratuita come richiesto dalla legge n. 119 del 2013, ma non è tutto, perché vengono denunciate carenze strutturali nella formazione degli operatori che si occupano del contrasto a tale violenza: “la violenza di genere - si legge - è sottovalutata dagli operatori coinvolti nella fase della protezione, dell’indagine e dei procedimenti giudiziari che, a causa di stereotipi e pregiudizi sulle donne e sugli uomini, spesso trattano le situazioni di violenza domestica come semplici conflitti all’interno della famiglia. Questa mancanza di comprensione delle cause e delle conseguenze della violenza provoca gravi danni alle donne vittime che sono costrette a sottoporsi a procedure di mediazione familiare e, nel caso di bambini testimoni della violenza domestica, ad accettare l’affidamento congiunto, anche se non desiderato, senza un riconoscimento da parte delle autorità preposte dell’impatto che la violenza domestica ha sui bambini” .
Anche sul tema fondamentale della salute delle donne si evidenziano e denunciano nel rapporto notevoli carenze legislative, come quella che consente al 68,4% dei ginecologi italiani di opporre l'obiezione di coscienza in tema di aborto.
Anche sul tema dell'accesso al lavoro si denuncia, infine, che le donne, anche se altamente istruite, sono troppo spesso costrette ad accettare impieghi precari e a paga ridotta: a pagina 15 del rapporto si evidenzia che il tasso di occupazione nel 2017 è stato, in Italia, del 49,1%, mentre quello maschile è stato del 67,1%, con un reddito pro capite medio per le donne di 26.273 dollari contro i 50.682 dollari pro capite per gli uomini.
 
 
 

4 marzo 2020