Presidente Elkann, ad Tavares. La maggioranza all'azienda francese
Con la fusione FCA-Peugeot nasce il quarto gruppo automobilistico mondiale
Gli azionisti ci guadagnano, i lavoratori perdono posti e rischiano stipendi e diritti sindacali
No ai rappresentanti dei lavoratori nel Cda

Alla fine di ottobre 2019 i vertici di Fiat-Chrysler (Fca) e della francese Peugeot (Psa) hanno raggiunto un accordo per la fusione delle due società che dà vita al quarto gruppo automobilistico mondiale, dopo Volkswagen, Toyota e Renault-Nissan e prima di General Motors. Un gruppo da 8,7 milioni di veicoli venduti all'anno per circa 180 miliardi di fatturato e 8 miliardi di utili, con 14 marchi complessivi e oltre 400 mila dipendenti, di cui 211 mila di Peugeot e 198 mila di Fca. Il nuovo gruppo avrà sede in Olanda (paese già scelto dall'ex Fiat per trasferire dalla sede storica di Torino il suo centro direzionale in Europa), con centri operativi a Parigi, Torino e nel Michigan, e quotazione alle Borse di Parigi, Milano e New York.
La fusione, che sarà completata nel corso del 2020, prevede uno scambio paritario di azioni, ma siccome Psa vale di più di Fca, quest'ultima riceverà ben 5,5 miliardi da distribuire agli azionisti, di cui 1,6 miliardi alla famiglia Agnelli. Presidente della nuova società è John Elkann, mentre l'amministratore delegato sarà l'attuale ad di Psa, Carlos Tavares. Anche il Consiglio d'amministrazione sarà diviso in parti uguali, 5 delegati per parte, ma avendo in più Tavares la maggioranza decisionale spetterà di fatto ai francesi. In sostanza si può dire che i francesi si sono comprati la guida del nuovo colosso mondiale dell'auto in cambio di un bel pacco di miliardi alla Exor della famiglia Agnelli e agli altri soci di Fca. Nel Cda entreranno anche due rappresentanti sindacali, uno per ciascuna delle due aziende.

Gli obiettivi della fusione
Gli obiettivi della fusione sono molteplici per ambo le parti: Per Fca, i cui ricavi provengono per il 74% dal Nord e Sud America e solo il 18% dall'Europa, si tratta di ampliare soprattutto la presenza nel mercato del vecchio continente, obiettivo già perseguito col precedente tentativo di fusione con Renault a maggio 2019 e fallito per la chiusura nazionalistica opposta dal governo francese, che ne è anche il tradizionale azionista forte. Inoltre la sfida con gli altri colossi mondiali dell'auto si gioca ormai sulle nuove tecnologie per l'auto elettrica, e l'ex Fiat non ha l'esperienza e nemmeno i capitali da sola per i massicci investimenti richiesti per sviluppare questo settore, mentre Psa ha già un solido retroterra in questo campo.
Quest'ultima è invece ben piantata nel mercato europeo, dove realizza il 79% del suo fatturato, ma è quasi assente in quello americano, dove realizza solo l'11%, e quindi ha anch'essa tutto l'interesse a questo matrimonio. Per di più i modelli di punta delle due case non sono sovrapponibili, dato che Fca è forte nei suv, nei pick-up, nei veicoli commerciali e nel lusso, mentre Psa, con i marchi Peugeot, Citroen e Opel (che la Merkel si rifiutò a suo tempo di vendere a Fca preferendo cederla ai francesi) è forte nel settore delle piccole e medie cilindrate di largo consumo e nell'elettrico.
Ci sono quindi tutte le condizioni per una vantaggiosa sinergia per entrambe le società, tanto che a parole, come Elkann e Tavares hanno scritto nel comunicato congiunto, annunciano risparmi annuali di 3,7 miliardi di euro “senza chiusure di stabilimenti”. Ma si sono ben guardati, però, da specificare anche “senza ridurre il numero degli occupati” in questi stabilimenti. A condurre le grosse ristrutturazioni tecnologiche e organizzative che il nuovo gruppo metterà inevitabilmente in atto per competere con gli altri tre rivali mondiali sarà infatti Tavares, il quale ha fama di essere un altro Marchionne in salsa francese, tanto che come il defunto emulo di Valletta deve la sua carriera di Ceo al “risanamento” della Peugeot, quando la prese nel 2013 che perdeva 3 miliardi di euro riportandola in attivo in pochi anni, arrivando anche a rilevare dai tedeschi la Opel.

Forti rischi per l'occupazione in Italia
In realtà il “risanamento” della Peugeot è stato possibile grazie all'intervento del governo francese che entrò con 800 milioni nel capitale sociale e pose una garanzia pubblica di 7 miliardi sulle obbligazioni emesse dalla banca Psa sull'orlo del fallimento, tanto che tutt'ora lo Stato è azionista del gruppo al 12,23%, mentre la famiglia Peugeot possiede il 19,50% e i cinesi della Dongfeng motor di Hong Kong hanno più o meno altrettanto. Quello però per cui Tavares va famoso sono i modi brutali con cui ha condotto il “risanamento”, riducendo i costi, tagliando i salari, riducendo all'osso le spese per gli impianti. Quando ha rilevato la Opel ha soppresso il 25% della forza-lavoro. In Francia ha espulso 6 mila dipendenti, riuscendo ad ottenere grazie all'intercessione del governo francese, anche i soldi del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Non ci vuole la sfera di cristallo per prevedere modi altrettanto spicci da parte sua per realizzare i “risparmi” per quasi 4 miliardi che la nuova società si prefigge. E per immaginare quale sarà la sua scelta, tra Francia e Italia, in merito ai posti di lavoro da tagliare.
Infatti tra i lavoratori della Fca in Italia c'è una forte e motivata preoccupazione sul loro futuro. Anche perché il governo francese ha fatto sapere con decisione che “vigileremo affinché vengano salvaguardati posti di lavoro e stabilimenti” (in Francia, sottinteso), e il governo francese è anche azionista del nuovo gruppo. Mentre quello italiano non lo è, ed è stato assai più sfuggente, con Conte che si è limitato a dire, quasi con rassegnazione: “Non posso giudicare l'accordo, è un'operazione di mercato, ma va salvaguardata l'occupazione in Italia”. Salvaguardata da chi? Non è certo un caso, e di certo non un bel segnale, che dell'accordo fossero stati informati solo il governo francese e quello americano, ignorando completamente quello italiano. Il ministro dell'Economia, il PD Gualtieri, si è limitato ad esprimere una salomonica “attenzione rispettosa e consapevole”, mentre anche per il ministro dello Sviluppo economico Patuanelli si tratta di “un'operazione di mercato”, su cui non bisogna quindi mettere bocca.
Sul fronte sindacale Cisl e Uil sono favorevoli a prescindere, come hanno sempre fatto anche con tutte le false promesse di Marchionne, e solo la Fiom-Cgil esprime qualche preoccupazione pur considerando anch'essa positivo l'accordo. La sua segretaria, Francesca Re David, ha messo l'accento sul fatto che non si conosce il piano industriale della nuova società e non ci sono pertanto garanzie sull'occupazione negli stabilimenti In Italia, che oltretutto stanno già lavorando molto al di sotto della capacità e con molta cassa integrazione, e quindi si prestano a fare da capri espiatori nei piani di Tavares: “L'azienda nel suo comunicato dice che non ci sono stabilimenti a rischio, ma non dice che non c'è occupazione a rischio. Partiamo con uno svantaggio: Fca non è quella che guiderà la parte industriale. E oggi non siamo in piena occupazione”, ha detto. Tutt'e tre le segreterie sono comunque entusiaste dell'ingresso di un loro delegato nel Cda del gruppo.

Il declino dell'industria dell'auto in Italia
D'altronde è un fatto che la produzione Fca in Italia sia ben lontana dalle mirabolanti promesse spacciate da Marchionne per far ingoiare meglio i ritmi di sfruttamento infernali e il taglio dei diritti sindacali imposti con pugno di ferro agli operai: a Torino non è partita la produzione della Maserati e quella dell'Alfa è stata sospesa. Reggono appena Cassino con 100 mila Alfa Romeo e Pomigliano con 180 mila Panda (ma ne erano state promesse 200 mila). Solo Melfi va a pieno regime con la 500 e la Jeep Renegade. Ma ci sono 1000 contratti di solidarietà dal 2018. Secondo la Fim-Cisl gli ammortizzatori sociali riguardano ormai il 12-15% dei lavoratori del gruppo. Mentre nell'era Marchionne l'occupazione nell'intero gruppo Fca è cresciuta da 135 mila a 198 mila unità, il numero dei dipendenti in Italia è passato da 77 mila nel 2005 a 50.880 nel 2018, e il fatturato è sceso dai 13 miliardi del 2004 agli 8,8 del 2018. Il “risanamento” della Fiat operato dal manager italo-svizzero-canadese ha portato ben 16 miliardi di utili nelle casse della famiglia Agnelli (e nelle sue personali), ma a spese dell'industria dell'auto in Italia, decimata dai licenziamenti e dalla cassa integrazione, con la Fiat che si è internazionalizzata e ha lasciato il Paese dopo aver pompato per oltre mezzo secolo i soldi pubblici dallo Stato.
Staremo a vedere quali saranno le mosse della nuova società sul piano dell'occupazione, certo è che questa vicenda non fa che confermare che il capitalismo non tiene minimamente conto della vita dei lavoratori e del benessere collettivo ma unicamente dei propri obiettivi di profitto nella lotta a coltello per vincere la concorrenza sempre più spietata che domina l'economia globalizzata, e pertanto fa e disfà secondo i propri interessi infischiandosene di governi e di popoli.
Per questo l'unica alternativa per quanto riguarda la difesa reale e non a parole dell'occupazione è la nazionalizzazione degli stabilimenti Fca in Italia, specie se come temiamo la nuova società italo-franco-americana dovesse procedere a ulteriori tagli di posti di lavoro, stipendi e diritti sindacali. Intanto la Fiom dovrebbe respingere con fermezza l'ingresso di rappresentanti dei lavoratori nel Cda, che ha solo lo scopo di creare preventivamente il consenso ad una politica neocorporativa di sacrifici pagati dai lavoratori per sostenere gli ambiziosi obiettivi mondiali di mercato e di profitto del nuovo gruppo Fca-Peugeot.
 

11 marzo 2020