Scioperi spontanei in tutta Italia contro le fabbriche aperte nonostante l'emergenza coronavirus e la mancanza di sicurezza. Il protocollo Confindustria-sindacati è insufficiente
Gli operai: non siamo carne da macello
Misure di sostegno economico anche per autonomi e free lance
chiudere tutti i settori produttivi non essenziali per due settimane senza perdita di salario

Nonostante il governo Conte-bis faccia grandi sforzi per lanciare un accorato appello all'unità nazionale per meglio fronteggiare l'emergenza Coronavirus, e magari sperare di ottenere più consensi al suo operato in nome del “siamo tutti italiani” e “tutti sulla stessa barca”, la realtà sta dimostrando come la società capitalista basata sul profitto e sulla divisione in classi, sia diametralmente opposta ai principi di solidarietà e sia piena di conflitti, ingiustizie e discriminazioni.
Il dilagare del Covid-19 ha messo in evidenza lo stato pietoso in cui versa la sanità pubblica, fragile e del tutto inadeguata a fronteggiare la prima situazione di vera emergenza dopo anni di tagli sulla pelle delle masse e privatizzazioni che hanno ridotto la salute esclusivamente a una questione di profitto, portati avanti senza soluzione di continuità da tutti i governi, “centro-destra” e “centro-sinistra”. I lavoratori della sanità adesso, nel momento del bisogno assoluto, sono diventati “angeli” ed “eroi” ma per anni gli è stato negato il contratto e sono stati etichettati come fannulloni e “furbetti del cartellino”.
La rivolta delle carceri ci ha poi mostrato come nel nostro Paese chi sta li dentro sia considerato un essere senza alcun diritto. Le stesse autorità carcerarie ammettono che l'invivibilità delle nostre strutture penitenziarie viene da lontano e ci fanno sapere che la maggioranza dei detenuti deve scontare pene inferiori ad un anno. Ma la morte di 14 di loro dopo le rivolte nelle sovraffollate carceri italiane per chiedere sicurezza dal virus e amnistia/indulto per i reati minori è passata quasi inosservata oppure deprecata.

L'ultimo decreto del governo
Adesso è la volta degli operai, considerati cittadini di serie B e carne da macello per i profitti dei capitalisti. L'ultimo Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) dell'11 marzo che stabilisce norme più restrittive per tutto il territorio nazionale, compresa la chiusura di bar e ristoranti e la fortissima stretta sugli spostamenti, consentiti solo per necessità urgenti, non pone divieti alle attività produttive di qualsiasi tipo per cui operai, impiegati, lavoratori autonomi devono continuare a lavorare. Il decreto estende a tutta l'Italia quelle norme che già alcune settimane prima erano state adottate in una dozzina di comuni delle cosiddette “zone rosse” e in seguito in Lombardia e in 14 province del Nord, nel tentativo di limitare la diffusione del virus.
Ma nonostante il decreto sia stato rinominato “io resto a casa”, con la sorpresa di molti, dietro le pressioni di Confindustria e dei capitalisti italiani, le fabbriche di qualsiasi tipo possono continuare a lavorare tranquillamente. Oltre alla filiera alimentare, quella legata alla sanità, alle forniture energetiche, attività veramente indispensabili, sono assicurati anche i servizi bancari, finanziari, postali e assicurativi. La gestione dei trasporti pubblici viene invece delegata alle Regioni. Per le attività produttive si pongono solo alcune limitazioni, ma si danno soprattutto “consigli”. Come ad esempio favorire i rallentamenti usando permessi, banca ore e ferie, o la sospensione delle attività non legate strettamente alla produzione.
Sulla sicurezza e la prevenzione nella fabbriche il decreto se la cava con queste due “raccomandazioni” alla aziende affinché “assumano protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale” e “siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali”. Tutto molto vago, l'unica regola chiara è quella di stare un metro l'uno dall'altro.

La rivolta degli operai
Una discriminazione inaccettabile verso chi lavora in produzione, alla catena di montaggio, nei cantieri, dove la presenza fisica non si può sostituire con lo “smart working” e spesso non è possibile mantenere le distanze. Di fronte a questo sacrificio in nome del profitto gli operai non sono stati zitti con le mani in mano ma sono scoppiati scioperi spontanei e blocchi stradali un po' in tutta Italia, specie nelle regioni del Nord, quelle più produttive e più duramente colpite dal coronavirus.
La parola d'ordine della mobilitazione è stata “non siamo carne da macello”. Uno slogan significativo che riecheggia la risposta data dal proletariato alla vigilia della prima guerra mondiale quando operai e contadini furono chiamati a combattere e a morire per la borghesia nella carneficina della guerra imperialista.
Sono partiti per primi gli operai delle fabbriche metalmeccaniche bresciane, scioperi con altissime adesioni tanto da costringere la Fiom-Cgil a chiedere la chiusura di tutte le fabbriche che non rispettano le norme di sicurezza e una settimana di fermo per sanificare le aziende, seguiti a ruota dalla Filctem, la categoria che riunisce la manifattura. A Mantova 450 operai, in maggioranza donne, della Corneliani, fabbrica dello storico marchio di moda da uomo, hanno scioperato in modo spontaneo "per tutelare la loro salute" e "per chiedere che non ci siano cittadini di serie A e di serie B: la salute è una ed è di tutti". Nel milanese stop alla Electrolux di Solaro, alla Labo (bulloni) di Cornaredo, alla Whirlpool di Varese.
Scioperi anche fuori dalla Lombardia. In alcuni stabilimenti FCA, alla Fincantieri di Trieste e di La Spezia, alla Electrolux di Susegana (Treviso), alla Bonfiglioli di Bologna. In Toscana proteste e fermo della produzione alla Hitachi (ex Breda) di Pistoia e alla Gkn di Campi Bisenzio (Firenze). Sciopero anche alla acciaierie AST/Thyssen Krupp di Terni perché la proprietà non aveva intenzione di adottare misure di sicurezza. Sciopero di una settimana per mettere in sicurezza i lavoratori delle acciaierie e dell'indotto alla ex Ilva ora Arcelor Mittal, sia a Taranto che a Novi Ligure (Genova).
Scioperi a catena anche nella logistica, dai magazzini Amazon a SDA, Fedex-TNT e BRT. Episodio gravissimo a Modena dove alcuni attivisti del sindacato SI-Cobas sono stati portati in questura e denunciati. La loro colpa? Protestavano davanti alla sede della Emiliana Serbatoi di Campogalliano perché li e nel resto della provincia i padroni non rispettano la salute dei lavoratori. Paradossalmente denunciati per non aver rispettato le norme anti assembramento legate al Covid-19.

Il protocollo Confindustria-sindacati
Di fronte a queste proteste il governo ha cercato di correre ai ripari richiamando la Confindustria e i sindacati confederali per mettere a punto un documento condiviso dalle parti che chiarisse le norme sulla sicurezza da attuare nelle fabbriche, con Cgil-Cisl e Uil a reclamare regole uguali per tutti. Ma fin da subito è emersa chiara la volontà degli industriali di non volere restrizioni insistendo per un "codice di autoregolamentazione", poco stringente e privo di sanzioni. Una sorta di decalogo di buone prassi volontarie a cui le aziende possono o meno attenersi, in totale autonomia senza discuterne con le rappresentanze dei lavoratori. E senza essere costrette a chiudere, anche solo pochi giorni, per consentire la sanificazione degli ambienti e mettersi in regola.
Dobbiamo dire chiaramente che i sindacati si sono piegati ai padroni i quali hanno ottenuto quasi tutto quello che volevano. Landini afferma in diretta Facebook di aver firmato un accordo che, pur ammettendone alcuni limiti, fornisce gli strumenti per poter lavorare in sicurezza nelle fabbriche. Mente sapendo di mentire perché in realtà fornisce solo una copertura ai padroni e scarica sulle RSU (dove ci sono) la responsabilità della difesa della salute.
Il “protocollo condiviso” esordisce laconicamente: “La prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione” ma poi sostanzialmente non va oltre la cornice disegnata dal Dcpm dell'11 marzo e, salvo alcune precisazioni sugli ambienti comuni (mense, spogliatoi) e sull'entrata e l'uscita dalle aziende, non pone ai padroni dovieti ferrei e misurabili.
Se non si è in regola il ricorso agli “ammortizzatori sociali” è possibile ma non obbligatorio, mentre va garantita e aumentata la sanificazione degli ambienti ma allo stesso tempo ridotta la presenza di visitatori esterni (tra cui vengono citate le imprese di pulizie (?)). L'obbligo di rimanere a casa se si ha la febbre (perché prima si doveva lavorare?), obbligo di usare mascherine e tutti gli indumenti di protezione necessari se non si può mantenere la distanza di un metro, ma le mascherine sono quasi introvabili, difatti il docunento ci ricorda che è “legata alla disponibilità in commercio”.
Insomma, una serie di regole controverse, blande, poco chiare e inattuabili. Un protocollo troppo generico, a malapena accettabile a cose normali, avendo tempo a disposizione per aggiustarlo, ma drammaticamente insufficiente in una situazione di estrema emergenza e urgenza come questa. Come fanno Landini e gli altri segretari confederali a dire “è stato raggiunto un risultato importante” che garantirà la salute di tutti i lavoratori? Senza considerare le piccole imprese dove non esistono rappresentanze sindacali oppure dove ci sono lavoratori precari; qui il fortissimo ricatto padronale non garantirà neppure le insufficienti misure contenute nel protocollo.

Chiudere tutte le fabbriche non essenziali. Lavoratori a casa per due settimane senza perdita di salario
Questa è la richiesta di tanti lavoratori, dei sindacati non confederali, della sinistra Cgil, che si sta affermando anche in alcune categorie come la Fiom, ed è anche la nostra. Una misura che il governo doveva già prendere con il decreto dell'8 marzo, quantomeno nelle zone dove veniva estesa la zona rossa, ovvero la Lombardia più altre 13 province del Nord e quella di Pesaro-Urbino, sono i numeri a dirlo. Una settimana dopo questi ci dicono che in tutta Italia ci sono quasi 25mila contagiati e oltre 1800 morti di cui più di 13mila malati e 1.200 deceduti nella sola Lombardia. Come si può pretendere che in questa regione i lavoratori vadano tranquillamente in fabbrica?
Ma hanno prevalso altre ragioni, quella del profitto anzitutto. Poi anche pressioni politiche perché il governatore leghista della Lombardia Fontana chiedeva misure più restrittive ma allo stesso tempo le voleva uguali per tutti. Alla fine Conte e il suo governo hanno scelto una via di mezzo, istituendo una specie di zona arancione per tutta l'Italia senza prendere misure drastiche per le zone più colpite dal virus, compresa la chiusura delle fabbriche. Del resto ai fascioleghisti Salvini e Meloni non interessa nulla degli operai, a loro interessa che i capitalisti nostrani non perdano quote di mercato. Non a caso l'aspirante duce della Lega acconsentirebbe a chiudere le fabbriche a patto che lo faccia tutta Europa mentre sul “Secolo d'Italia” si definiscono le proteste degli operai “scioperi selvaggi”.
A questo punto però devono chiudere in tutta Italia almeno un paio di settimane tutti i posti di lavoro non essenziali perché non ci sono garanzie, allo stesso tempo concentrare tutte le misure di sicurezza su chi svolge mansioni indispensabili. Quasi tutte le aziende stanno ferme almeno 15 giorni ad agosto, possono farlo anche adesso, la salute degli operai avanti tutto, si sono trovati miliardi di euro per salvare le banche, si trovino per pagare i lavoratori, anche con una patrimoniale. Gli operai non vogliono essere carne da macello sull'altare del profitto ed essere considerati cittadini di serie B. Mentre calciatori, sportivi professionisti e politici (vedi Zingaretti) fanno i tamponi anche senza sintomi, se si ammalano gli operai se ne devono stare a casa, contattati telefonicamente dal medico e ricoverati solo quando hanno bisogno della rianimazione.

Sostegno economico per tutti i lavoratori
Il governo ha promesso che estenderà gli “ammortizzatori sociali” a tutti, anche a chi adesso non ne ha diritto, staremo a vedere. Intanto agli operai deve essere assicurato lo stipendio al 100% per eventuali fermi produttivi, compresi quelli per sanificare l'ambiente di lavoro, senza rimetterci ferie e permessi come “invita” a fare il Dpcm e il protocollo Confindustria-sindacati, mentre l'eventuale quarantena deve essere equiparata alla malattia. Non si devono scaricare le conseguenze sugli operai per lasciare intatto il profitto ai padroni.
La cassa integrazione deve comprendere anche le piccole aziende sotto i 6 dipendenti e il sostegno economico deve essere esteso ai lavoratori autonomi, agli stagionali, ai free lance e alle partite iva che inevitabilmente sono rimasti danneggiati, annullare anche le tasse e gli affitti a chi ha avuto un mancato guadagno. Nel decreto economico dovranno essere messi in campo aiuti straordinari a chi deve tenere i figli a casa, a chi ha persone disabili o non autosufficienti.
La salute degli operai e dei lavoratori deve avere la priorità assoluta!
 
 

18 marzo 2020