Da Berlusconi a Conte, da Monti a Letta e Renzi. Negli ultimi 10 anni tagliati 25 miliardi
Chi sono i responsabili della distruzione della sanità pubblica

La gravissima emergenza sanitaria causata dal dilagare della pandemia da coronavirus in tutto il territorio nazionale e in particolare in Lombardia, ha messo ancora di più a nudo le disastrate condizioni in cui versa il sistema sanitario pubblico fatto a pezzi dalla scellerata politica di tagli e privatizzazioni attuata senza soluzione di continuità da tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese e delle Regioni negli ultimi decenni, ivi compreso i governi Conte, e dalla dilagante corruzione che parte dall'ex ministro PLI De Lorenzo, continua con l'ex direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del Ministero della Sanità, il piduista Duilio Poggiolini, e arriva fino a Formigoni, tanto per citare i casi più eclatanti.
A dare l'avvio allo smantellamento della sanità pubblica su precisa richiesta dell'Unione europea imperialista furono i governi Craxi e Fanfani che a partire dal 1983 imposero pesanti tagli alla sanità pubblica, il blocco delle assunzioni e nel 1987 reintrodussero per decreto e per la prima volta dopo il 1969 il numero chiuso nella facoltà di medicina ripristinando di fatto la situazione in auge durante il fascismo quando a medicina potevano accedere esclusivamente i figli dei ricchi, diplomati nei licei classico e scientifico.
Negli anni seguenti molti atenei hanno introdotto progressivamente i famigerati test di ammissione in gran parte delle facoltà scientifiche col risultato che oggi in Italia mancano migliaia di medici e specialisti e Conte è stato costretto a fare ricorso a specializzandi e laureandi in medicina e a richiamare in servizio migliaia di dottori in pensione per cercare di mettere una pezza all'emergenza coronavirus.
A partire dai primi anni '90 i governi Goria, De Mita, Andreotti, Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D'Alema e Amato sulla base della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, diedero avvio a una serie di controriforme che nel giro di pochi anni hanno portato alla trasformazione delle strutture pubbliche da unità sanitarie locali (USL) in aziende sanitarie locali (ASL), in concorrenza tra loro, favorendo l'adozione nel settore sanitario, come in altri ambiti della pubblica amministrazione, di logiche privatistiche e di mercato votate al massimo profitto che di fatto hanno cancellato il diritto universale alla salute e l'accesso alle cure per le masse masse popolari costrette a finanziare le aziende sanitarie locali non solo attraverso la fiscalità generale ma anche attraverso costosi ticket per le medicine e superticket sanitari per molte analisi e prestazioni che sono a totale carico dell'assistito e dunque appannaggio solo di chi se lo può permettere.
Un sistema in cui i costi e i risultati di bilancio contano molto di più e vengono prima della salute pubblica.
Le successive modifiche al decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 che hanno reintrodotto la possibilità per i baroni della medicina di svolgere attività pubblica e privata intra-moenia; il golpe istituzionale del 2006 con l'istituzione della cosiddetta “devolution dei poteri” alle Regioni imposta dalla Lega, il varo dell'omonimo decreto dell'ex ministro della Salute Renato Balduzzi (governo Monti) nel 2012 e l'istituzione dell'odioso sistema delle strutture convenzionate e accreditate; hanno di fatto consegnato gran parte della sanità e degli ospedali pubblici in mano ai grossi gruppi privati e alla mafia, specie nelle regioni del Centro-Sud.
Un esempio eclatante in tal senso lo fornisce proprio la Lombardia, considerata il “fiore all'occhiello del sistema sanitario” ma che di fronte al dilagare dell'infezione non è nemmeno in grado di fornire le mascherine agli operatori sanitari e i posti letto sufficienti in terapia intensiva a tutti gli ammalati che ne avrebbero urgente bisogno e che continuano perciò a morire e a infettarsi.
La classe dominante borghese, i grandi gruppi sanitari privati e i politici che ne reggono le sorti, con alla testa il governo trasformista liberale Conte al servizio del regime capitalista e neofascista, che per decenni hanno letteralmente spolpato la sanità pubblica favorendo il massimo profitto e il malaffare sulla pelle del popolo, ora piangono lacrime di coccodrillo e vorrebbero farci credere che siamo tutti nella stessa barca chiamando al sacrificio con proclami patriottardi migliaia di medici, infermieri, operatori sanitari, operaie e operai pur di non rinunciare ai loro profitti.
Negli ultimi dieci anni il grosso dei tagli alla sanità pubblica li hanno fatti i governi Berlusconi e Monti (circa 25 miliardi in meno), mentre altri 12 sono stati sottratti dai governi Letta, Renzi, Gentiloni e Conte. Il risultato è che nel 2015, per la prima volta da molto tempo, in Italia l’aspettativa di vita è tornata a calare anche perché milioni di anziani, disoccupati, precari e famiglie operaie e popolari, a causa della contestuale crisi economica e finanziaria, sono costrette, a causa dei costi esorbitanti, a rinunciare perfino alle cure mediche.
Sono loro i massimi responsabili di questo disastro. Ed è una vergogna che un pregiudicato come Berlusconi, condannato per aver evaso 368 milioni di dollari attraverso i contratti esteri gonfiati di Mediaset, venga osannato, dal suo emulo Matteo Renzi e da tutta la stampa di regime come il salvatore della patria per aver donato 10 milioni di euro alla Regione Lombardia per l'emergenza sanitaria. Proprio lui che ha tagliato alle rianimazioni ben 368 milioni di euro durante i suoi governi!
Così come è vergognoso che tanti altri grandi pescecani capitalisti come ad esempio Ferrero, Agnelli, Armani, Esselunga, Lavazza, Benetton, Moncler ecc. adesso fanno finta di lavarsi la coscienza con la corsa alle elemosine ma sempre sulla pelle dei lavoratori dal momento che l’ultimo decreto del governo Conte stabilisce la detraibilità totale per le donazioni per il Coronavirus fatte dalle imprese.
Anche il tanto sbandierato “modello Lombardia” quasi completamente in mano a tre grandi gruppi privati: San Raffaele (famiglia Rotelli), Gruppo San Donato (GSD) e Humanitas (gruppo Rocca-Techint) sostenuti e foraggiati anche dall'attuale governatore Attilio Fontana e dall’assessore Giulio Gallera, ha dimostrato sul campo che non è in grado di fronteggiare adeguatamente la pandemia nonostante il commovente sacrificio di centinaia di medici e personale sanitario di tutti gli ospedali pubblici e privati a cui va invece tutta la nostra solidarietà, incoraggiamento e ammirazione.
Il sistema sanitario lombardo ha da anni cambiato natura. I gruppi privati la fanno da padrone e negli anni hanno investito solo sulle prestazioni più remunerative tra cui non rientrano i reparti di malattie infettive e di rianimazione intensiva e sub intensiva.
Dalla metà degli anni Novanta a oggi, la controriforma Formigoni, il quale, lo ricordiamo, è stato condannato per associazione a delinquere e corruzione per avere intascato almeno 6,6 milioni di euro in cambio di almeno 200 milioni dirottati dalle casse della sanità regionale verso le cliniche e gli istituti privati fra cui proprio il San Raffaele e la Maugeri, ha più che dimezzato i posti letto pubblici in Lombardia.
A livello nazionale, negli ultimi vent’anni, alla sanità pubblica sono stati sottratti almeno 8 miliardi di euro. Mentre i privati si sono accaparrati e hanno investito solo sullo sviluppo delle prestazioni più redditizie, lasciando in mano pubblica solo quelle meno redditizie.
Nel 1994 il sistema sanitario lombardo poteva contare su 27 ospedali, 5 strutture “classificate” (religiose, ma considerate pubbliche), 5 Irccs (gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico: le eccellenze), 3 università (Milano, Pavia, Brescia). Il privato aveva 52 strutture, 6 Irccs, zero università. Oggi è cresciuto a 102 strutture, ben 21 Irccs e 4 università (San Raffaele, Humanitas più due progetti), mentre il pubblico si è grandemente ridimensionato.
Secondo lo studio “La privatizzazione del SSR della Lombardia e il soverchiante peso del settore privato” pubblicato in quattro articoli su “Salute internazionale” dalla professoressa Maria Elisa Sartor dell’Università Statale di Milano, in Lombardia il sistema sanitario privato incamera in percentuale più soldi del pubblico. Su 1,441 milioni di ricoveri, 947 mila (il 65%) sono negli ospedali pubblici, 495 (il 35%) nelle strutture private. Ma il privato incassa 2,153 miliardi di euro sui 5,4 totali (il 40%), contro i 3,271 del pubblico. Dunque il 35% dei ricoveri incassa il 40% delle risorse impegnate dalla Regione Lombardia. La tendenza è la stessa per le visite ambulatoriali e gli esami: su 160 milioni di prestazioni, il pubblico ne eroga 93,3 milioni (il 58%), il privato 66,6 (il 42%), ma il primo incassa 1,6 miliardi di euro (il 57%) su un totale di 2,8 miliardi di euro, il secondo 1,2 miliardi (il 43%). Quindi, anche qui, le prestazioni erogate dal privato hanno una remunerazione più elevata di quella del pubblico.
L’anno del primo sorpasso privato-pubblico è già il 2015, quando gli incassi per le prestazioni di un settore (la diagnostica strumentale e per immagini) vanno per il 52% ai privati contro il 48% del pubblico. Da allora, lo sbilanciamento diventa di anno in anno maggiore. In numero di strutture, siamo al pareggio: su 198 strutture sanitarie in Lombardia, 99 sono private e 99 pubbliche. Ma in alcune aree (le più ricche e renumerative) il sorpasso è già avvenuto: a Milano (31 a 26), a Bergamo (14 a 9), a Como (8 a 4), a Mantova (6 a 4). I posti letto sono comunque ancora di più nel settore pubblico, perché le sue strutture hanno dimensioni maggiori. Ma in vent’anni, i posti letto pubblici sono più che dimezzati. In soldi incassati, il sorpasso è già avvenuto (dal 2017) a Como: 145 milioni di euro per ricoveri in strutture private, 105 nel pubblico. In altre aree ci siamo quasi: a Milano il privato incassa il 47% della torta, a Bergamo il 44%, a Brescia il 43%, a Pavia il 37%, a Mantova il 36%, a Monza-Brianza il 33%. Questi i dati ufficiali, ma i soldi (sempre pubblici!) incamerati dai privati sono molti di più – e quindi il sorpasso, ancora invisibile, è in realtà già avvenuto – se si considerano le sovra-tariffazioni riguardanti gli Irccs (21 privati, solo 6 pubblici) e i poli universitari (passati da zero a 4).
Altro che modello di eccellenza!
Arriva un virus e si scopre ad esempio che i posti di terapia intensiva in Italia sono 5 mila, mentre in Germania sono 25 mila.

24 marzo 2020