Dalla Sevel alla Hitachi, dalla Elettrolux alla Italpizza, dalla Berco alla De Longhi: raffica di scioperi nei settori non essenziali e nelle fabbriche che non garantiscono la salute dei lavoratori
La lotta di classe non è andata in quarantena

Gli scioperi che si sono susseguiti in tutta Italia hanno evidenziato come gli operai e i lavoratori non hanno alcuna intenzione di fare da carne da macello per il profitto dei padroni, né di cedere alla retorica dell'unità nazionale, che ci vorrebbe tutti sulla “stessa barca”. Dopo le prime manifestazioni di inizio marzo la mobilitazione è continuata, a dimostrazione che i lavoratori non credono alle misure del governo prese con il decreto dell'11 marzo ne dal protocollo sicurezza firmato il 14 da Confindustria e da Cgil-Cisl-Uil.
Questi scioperi spontanei sono stati quasi sempre censurati dai maggiori mezzi d'informazione che hanno cercato di sminuirli, mentre invece registravano massicce adesioni, specie nel nord e nelle province più colpite, costringendo i sindacati a muoversi e contribuendo a far prendere al governo la decisione di chiudere alcune fabbriche, anche se il decreto del 22 marzo si è poi rivelato un bluff.
Emblematica la situazione di Amazon . Qui addirittura c'è un aumento dei volumi produttivi perché con il divieto di uscire e la chiusura dei negozi il commercio on-line è aumentato. I lavoratori del centro distribuzione di Castel San Giovanni (PC), il più grande del nord Italia, che impiega circa 1.100 lavoratori a tempo indeterminato disposti su tre turni giornalieri, sono in sciopero fino a data da definire. I sindacati hanno proclamato lo stato di agitazione immediato a partire dal turno delle 20 del 16 marzo per “mancata integrale applicazione da parte di Amazon” del protocollo per il contrasto e il contenimento della diffusione dell’epidemia di coronavirus negli ambienti di lavoro.
La stessa accusa arriva dagli oltre mille lavoratori della sede Amazon di Passo Corese, in provincia di Rieti, che il 17 marzo hanno iniziato la loro protesta, la prima nell’hub del Lazio (il più grande del centro-sud) con uno sciopero a oltranza: “È inaccettabile che un gigante dell’economia globale come Amazon, che fattura miliardi ogni anno, non rispetti le disposizioni del governo in materia di contenimento del Covid-19” accusano sindacati e lavoratori, i quali contestano anche la decisione di lavorare a pieni ritmi per una distribuzione che per il 95% consegna articoli futili e non certo essenziali.
Drammatica la situazione nelle province di Bergamo e Brescia, dove si concentrano contagi e morti come in nessun altra parte del Paese, un esempio lampante di come la scelta di mettere al primo posto i profitti delle imprese, nell’ottica di una poco lungimirante “tutela” del tessuto economico abbia prevalso sulla salute della collettività. In questo territorio ci sono più della metà dei decessi della Lombardia, il 25% del totale nazionale. Non sarà certo un caso se queste due province sono anche le più industrializzate d'Italia. Le misure del governo per il contenimento del virus non hanno avuto alcuna efficacia in città e località dove decine di migliaia di lavoratori si spostano ogni giorno per andare in fabbrica ed è stato un comportamento criminale continuare a tenere aperti i posti di lavoro non essenziali.
Ci sono morti anche nelle fabbriche e negli uffici; deceduti due dipendenti di Poste Italiane in provincia di Bergamo che avevano lavorato fino a pochi giorni prima. Grave la situazione nel resto della regione, in particolare nelle province di Lodi e Cremona. È allarme a Milano: boom di contagi, 534 in un giorno. La Camera del Lavoro del capoluogo lombardo stima che almeno in 300 mila siano costretti a lavorare per aziende ed imprese non essenziali della provincia.
Il sindaco di Bergamo e il leghista governatore della Lombardia adesso vogliono chiudere tutto, ma fino a pochi giorni fa invitavano alla normalità. Fontana, così come Zaia (governatore del Veneto) fanno la voce grossa di fronte alle telecamere e sui social ma poi nel concreto hanno ceduto alle pressioni degli industriali. Il 4 marzo il sindaco leghista di Alzano Lombardo parlava di “danni incalcolabili” all’industria, e invitava a “tenere conto della nostra particolare situazione economica, che è molto strutturata.” Il 6 marzo (623 casi) diversi imprenditori locali rincaravano la dose, dichiarando che istituire una zona rossa sarebbe stato un “disastro totale”. Secondo Confindustria Bergamo, un intervento del genere avrebbe coinvolto 376 aziende per 3700 dipendenti e 680 milioni di fatturato. Ancora l'11 febbraio Confindustria Lombardia dichiarava di essere orientata a “garantire la continuità aziendale”.
Numerose aziende delle province di Bergamo e Brescia sono state comunque chiuse sotto la pressione degli scioperi: aziende come la Polini Motori di Alzano Lombardo, il gruppo Bercelli elettroforniture, Tenaris, Beretta, Lucchini, Same, Feralpi hanno serrato i cancelli. Chiuse la Candy (2 casi tra gli operai), le bullonerie Agrati e Fontana e tante altre in tutta la Lombardia.
Critica la situazione in Piemonte . Inaccettabile la situazione a Cameri (NO), dove lo stabilimento che produce e assembla i cacciabombardieri F-35 continua la sua produzione benché si registrino già un paio di contagi nello stabilimento. Nonostante sia stata realizzata la sanificazione dell’impianto e a una parte degli addetti (gli impiegati) è stato permesso il telelavoro. Gran parte dei lavoratori si è messa in malattia. Non si può chiedere il sacrificio di rischiare il contagio per montare la fusoliera di un caccia. I lavoratori confidavano nella chiusura grazie all'ultimo decreto del governo, ma paradossalmente la fabbricazione gli F-35 e delle armi è stata dichiarata “essenziale”.
Scioperi con adesioni altissime nelle province di Asti, Cuneo e Vercelli nelle aziende Mtm, Ikk, Dierre, Trivium, chiusa la Michelin di Cuneo. Nel torinese in molte aziende gli operai hanno abbandonato i posti di lavoro perché non era stata presa nessuna misura di sicurezza. Nei giorni successivi, sotto le pressioni degli operai, numerose aziende che non prevedono attività non essenziali si sono fermate. La direzione FCA ha chiuso temporaneamente molti stabilimenti, dove non lo ha fatto, come alla Sevel di Atessa in Abruzzo, sono partiti immediatamente gli scioperi.
Scioperi in tutto il Nord-Est , dalla Electrolux di Susegana alla Zoppas di Vittorio Veneto, dalla Berco (macchine agricole) alla De Longhi. Scioperi, anche a oltranza, in tutto il Trentino. In Emilia il SI-Cobas ha proclamato sciopero alla Italpizza di Modena perché i lavoratori sono ammassati l'un con l'altro a produrre alimenti con scarse precauzioni sia per loro che per i consumatori. Sul piede di guerra anche gli operai della Trenton, meccanica di precisione di Frassinoro (MO), dove la Fiom-Cgil chiede che “si fermino le attività produttive non essenziali per il tempo che servirà” , l'aspetto economico non deve prevalere sulla salute dei lavoratori.
Se l'epicentro è stato al Nord non sono mancati scioperi e proteste al Centro-Sud. Nelle Marche, in provincia di Ancona scioperi alla Fime di Castelfidardo, alla Cebu Italy e Luna Quinto di Osimo. Sotto la pressione operaia la Fiom-Cgil ha chiesto a tutte le aziende metalmeccaniche il “fermo temporaneo della produzione almeno per il periodo di diffusione massima del virus”. Scioperano e chiedono il blocco di tutte le attività non essenziali anche gli i lavoratori di Pesaro-Urbino, la provincia più colpita al di fuori del Nord dove si contando diversi contagiati tra gli operai.
In Toscana sciopero di una settimana alla Hitachi di Pistoia e alla Gkn in provincia di Firenze. Alla Piaggio di Pontedera (PI) dopo che la pressione degli operai ha costretto l'azienda ad alcuni giorni di fermo per sanificare e diradare la vicinanza tra i lavoratori è ripresa, seppur ridotta, la produzione. Il sindacato USB ha indetto uno sciopero di 8 ore per la chiusura totale dello stabilimento, che poi si è verificata. Un grave atto discriminatorio è accaduto a Livorno, dove due addette alle pulizie dell'ospedale cittadino impiegate in una cooperativa sono state licenziate, e poi reintegrate dopo la risposta dei sindacati, per essersi rifiutate di lavorare senza alcuna protezione.
Mobilitazioni anche alle acciaierie di Terni e di Taranto, alla Whirlpool di Napoli, allo stabilimento ex Fiat di Pomigliano D'Arco, a Roma. Nella capitale i lavoratori dell'Ama, la municipalizzata che gestisce la raccolta dei rifiuti, chiedono garanzie, sopratutto da quando il Comune ha obbligato i contagiati e chi è in quarantena a sospendere la divisione dei rifiuti e gettare tutto nei cassonetti dell'indifferenziata.
Da non dimenticare l'agitazione dei lavoratori del commercio . A Torino gli addetti del grande supermercato Carrefour di via Montecucco, che si ostina a rimanere aperto 24 ore, si sono rifiutati di entrare fino a quando non sono arrivate le mascherine. Sciopero indetto da Cgil, Cisl e Uil per la giornata di domenica 22 a Firenze e provincia per rivendicare maggiori tutele e orario ridotto. Pur dovendo assicurare la distribuzione di cibo e beni essenziali i lavoratori del commercio non intendono fare carne da macello per aziende che pensano solo al loro profitto e chiedono chiusure settimanali e orari ridotti.
Adesso però la partita non è chiusa con il decreto del governo del 22 marzo perché, al di là del nome “Serra Italia”, lascia criminalmente aperte numerose fabbriche e servizi non essenziali.

25 marzo 2020