Fallito il vertice in videoconferenza dei capi di Stato e di governo della Ue
L'Ue lascia sola l'Italia
Nonostante la dichiarata emergenza coronavirus il Consiglio europeo rimanda ai ministri delle Finanze di presentare entro 14 giorni le loro nuove proposte di adozione di misure economiche e finanziarie collettive

 
“Siamo pienamente consapevoli della gravità delle conseguenze socioeconomiche della crisi causata dalla Covid-19 e faremo tutto il necessario per essere all'altezza di questa sfida in uno spirito di solidarietà”, dichiara il Consiglio europeo del 26 marzo tenuto in videoconferenza causa coronavirus. La solidarietà però non è una parola che circola tra i paesi imperialisti, uniti tutt'al più da comuni interessi egemonici verso l'esterno ma pur sempre concorrenti tra loro, dove a dettare il passo sono sempre quelli più forti. E infatti alle richieste di interventi tempestivi e massicci con strumenti comunitari straordinari per affrontare l'emergenza sanitaria e parare i colpi di quella imminente economica da parte di una serie di paesi, Italia compresa, la superpotenza imperialista europea risponde picche, dice che gli strumenti ci sono già e lascia sola l'Italia e gli altri paesi in difficoltà. Questo il principale risultato del fallimentare eurovertice.
“I nostri Stati membri hanno intrapreso azioni ad ampio raggio per sostenere le loro economie e attenuare i problemi sociali e occupazionali. Ricorreremo nella misura necessaria agli strumenti dell'UE per sostenerne l'azione”, rammenta il comunicato finale per dire che ogni paese si è mosso per conto proprio, con le risorse che aveva, la Germania molte di più dell'Italia e della Spagna. Quali saranno gli strumenti aggiuntivi della Ue lo proporranno, ammesso che dopo una settimana di discussioni a vuoto riescano a raggiungere un'intesa entro altri 14 giorni, i ministri delle finanze dell'Eurogruppo. L'intesa che non è riuscita al Consiglio e che è definita complicatissima, uno shock “senza precedenti” causato dalla Covid-19 in tutti i paesi, viene affidata agli organismi della Ue come se fosse solo una questione tecnico-finaziaria e non politica.
Nella parte finale del documento il Consiglio riconosce che “attualmente l'urgenza è quella di combattere la pandemia di coronavirus e le sue conseguenze immediate”, ma a seguire “dovremmo iniziare a preparare le misure necessarie per tornare al normale funzionamento delle nostre società ed economie”, ossia “una strategia di uscita coordinata, un piano di rilancio globale e investimenti senza precedenti” e a tal fine invita “la presidente della Commissione e il presidente del Consiglio europeo, in consultazione con le altre istituzioni e segnatamente la Bce, ad avviare i lavori su una tabella di marcia accompagnata da un piano d'azione a tal fine”. Come se non ci fosse un'urgenza per un intervento finanziario come richiesto dai paesi più in difficoltà, i capi di Stato e di governo della Ue rimandano allo studio di un futuro piano comune che chissà quando arriverà.
Lo scontro sulle questioni finanziarie non è nato con l'emergenza coronavirus, già il vertice straordinario sul bilancio pluriennale comune della Ue per gli anni 2021-2027 del 20 e 21 febbraio scorsi si era chiuso con un fallimento, la bozza di testo sul bilancio era finita sotto il tiro incrociato dei 27 paesi membri, ogni Stato tirava l'acqua al proprio mulino e non c'era alcuna intesa per spartirsi le quote che devono ricoprire i 75 miliardi di euro in 7 anni versati dalla Gran Bretagna. Tenevano ben chiuso il portafoglio anzitutto quei paesi coi bilanci “virtuosi” e più ricchi, Germania, Svezia, Austria, Danimarca e Olanda. Una divisione che si è riproposta nella discussione sugli strumenti da adottare per fronteggiare la crisi sanitaria e economica del coronavirus.
Non è compito della Bce ridurre gli spread, dichiarava il 13 marzo la nuova presidente dell’istituto, Christine Lagarde, che rispondeva a una domanda sulla pericolosa altalena del differenziale tra i titoli di Stato tra Italia e Germania, lei non “voleva essere ricordata per un altro whatever it takes”, ossia adoperare tutti gli strumenti finanziari che servono per stabilizzare i mercati finanziari come il predecessore Mario Draghi, osteggiata a Berlino. La Lagarde voleva anzitutto dire che sono finiti i tempi di una Bce che sotto la direzione di Draghi aveva partecipato in maniera determinante a parare i colpi della speculazione finanziaria sostenendo i titoli dei paesi più deboli. Solo cinque giorni dopo, il 18 marzo, la Banca Centrale Europea dichiarava la disponibilità a acquisti di titoli del settore pubblico e privato per un valore di 750 miliardi di euro entro il 2020, una cifra non certo adeguata e lontano dallo slogan “tempi straordinari richiedono azioni straordinarie” della Lagarde, che si faceva bella con due spiccioli per sbandierare che “non ci sono limiti all'impegno della Bce, determinata a usare il pieno potenziale dei suoi strumenti”.
Alla decisione della Bce si aggiungeva quella della Commissione che annunciava la sospensione delle rigidità di bilancio definite nel famigerato Patto di Stabilità e la possibilità per i governi di spendere senza badare ai parametri del deficit. Per chi può farlo con un cannone, come la Germania, è un conto ma chi ha a disposizione solo un pistolino come l'Italia o la Spagna non arriva lontano e non ha garanzie che in futuro la Ue non torni a chiedere di ricoprire il nuovo buco di bilancio. Non a caso i governi di 9 paesi europei, Belgio, Francia, Italia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna, in una lettera del 25 marzo inviata al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, chiedevano “di intraprendere azioni straordinarie che limitino i danni economici e ci preparino a compiere i passi successivi. Questa crisi globale richiede una risposta coordinata a livello europeo”; non con gli strumenti ordinari e le relative penali associate come quelli del meccanismo di stabilità, il Mes usato in Grecia con l'avallo dell'allora governo Tsipras e pagato a caro prezzo dalle masse popolari, sostenevano i nove paesi, magari potremo creare un nuovo strumento “di debito comune emesso da una istituzione dell'Unione europea”, si chiami Eurobond o Coronabond. Una richiesta stoppata dal muro alzato dal gruppo dei paesi guidato da Germania, Olanda e Austria che ritenevano già sufficienti le azioni della Bce e della Commissione. Nessun accordo all'Eurogruppo del 24 marzo che doveva preparare la strada al Consiglio del 26 marzo dove si registrava di nuovo un nulla di fatto.
Alla vigilia del vertice Ue, la presidente della Commissione von der Leyen interveniva all'europarlamento di Strasburgo riunito in videoconferenza per ricordare che nelle ultime settimane “quando l'Europa aveva davvero bisogno che ci fossimo gli uni per gli altri, troppi inizialmente si sono preoccupati solo di se stessi. Quando l'Europa aveva davvero bisogno che lo spirito fosse 'tutti per uno', troppi hanno risposto 'solo per me stesso'. E quando l'Europa aveva davvero bisogno di dimostrare che questa Unione non esiste solo quando va tutto bene, troppi si sono rifiutati inizialmente di condividere quello che avevano”. Allora potrebbero andare bene i bond comunitari per raccogliere miliardi da destinare all’emergenza del coronavirus o una versione simile? Niente affatto dichiarava il 28 marzo, la Commissione non sta lavorando a questo progetto, “il termine corona bond è attualmente uno slogan. Dietro ad essa c’è la questione più grande delle garanzie. E qui le riserve in Germania, ma anche in altri Paesi, sono giustificate”. Correggeva il tiro in seguito alle proteste sollevate a Roma da Conte e Mattarella ma non cambiava certo la musica, come vuole Berlino.
Ricevuta la lettera di richiesta di inteventi comuni straordinari dei 9 paesi, il presidente del Consiglio europeo Michel dichiarava che i leader dell’Ue stavano preparando una “strategia di stimolo simile al piano Marshall”. Al termine del vertice dichiarava che “oggi è stata l'occasione per uno scambio politico, estremamente intenso e denso e di qualità per progettarsi nelle prossime settimane e mesi e abbiamo chiesto all'Eurogruppo di continuare un lavoro intenso sul piano delle proposte da fare per far fronte alla emergenza e sulla stabilità della Ue”. Intanto nessun piano Marshall, o similari. Come spiegava il premier austriaco Kurz nelal riunione del Consiglio europeo era stato respinto il concetto di “una mutualizzazione generalizzata dei debiti”, ossia chi ha i debiti se li paghi da solo o con gli strumenti penalizzanti previsti dalla Ue, senza ricorrere alla copertura finanziaria ma neanche politica degli altri partner europei.

31 marzo 2020