La Cgil denuncia
“Alto rischio contagio da Covid-19 alla tendopoli di San Ferdinando”
"Agire subito per tutelare la salute dei migranti costretti a vivere in insediamenti rurali informali e nei ghetti"

 
Il comune di San Ferdinando, un borgo di 5000 abitanti situato nella piana di Gioia Tauro in provincia di Reggio Calabria, accoglie al suo interno un accampamento costituito da tende e container allestito dal Ministero degli Interni, grande quasi un ettaro, dove vivono ammassati l’uno accanto all’altro in condizioni igienico-sanitarie pessime più di 400 migranti. Si tratta di uomini per la maggior parte di origine africana tra i 20 e i 40 anni di età che per sopravvivere sono costretti tutte le mattine ad andare lavorare nei campi per raccogliere gli agrumi, ricevendo in cambio paghe da fame.
“È come se nel campo di San Ferdinando l’emergenza sanitaria da coronavirus non esistesse”. A denunciarlo, il segretario generale della Flai-Cgil di Gioia Tauro Rocco Borgese che nei giorni scorsi ha avuto modo di constatare il totale stato di degrado e abbandono in cui versano i migranti ancora una volta emarginati e dimenticati dalle istituzioni democratico-borghesi - ultimi tra gli ultimi. Nel momento in cui scriviamo non si registrano contagi da Covid-19 ma il rischio che il virus possa diffondersi, resta comunque alto. Nei giorni scorsi l’amministrazione comunale ha provveduto a sanificare la tendopoli, ha distribuito dell’igienizzante unitamente a dei guanti in lattice monouso e del materiale informativo tradotto in varie lingue, ma tutto questo ovviamente non può bastare. “Le condizioni-igienico sanitarie sono quelle che sono, c’è carenza di acqua e i ragazzi non si possono neanche lavare. La nostra richiesta primaria è che la Prefettura prenda delle decisioni precise, provvedimenti concreti - ha aggiunto Borgese - anche per mettere a disposizione dei ragazzi delle case anche confiscate dove possano andare ad abitare lì e vivere in isolamento perché solo così si può evitare il contagio del Covid-19. Se si guarda dentro le tende ci si rende conto che i migranti vivono gli uni accanto agli altri e le tende non distano neanche un metro l’una dall’altra”.
Altro che rispetto delle norme basilari per prevenire la diffusione del coronavirus! È necessario agire subito prima che sia troppo tardi.
In realtà, le disperate condizioni esistenziali dei migranti che lavorano nei campi di tutta Italia, sono la conseguenza diretta dello sfruttamento capitalistico. I ritmi di lavoro durante i periodi della raccolta sono duri ed estenuanti. Dalla mattina alla sera sono esposti alle intemperie, nonché a respirare sostanze nocive come erbicidi e pesticidi, con gravi rischi per la salute. Le pause per mangiare e andare in bagno non sono sempre garantite e se ci sono, sono estremamente brevi. Alloggiano in baraccopoli o in fabbriche in disuso, veri e propri ghetti ai margini delle aree urbane senza acqua corrente, elettricità e riscaldamento. Molto spesso hanno per aguzzini i “caporali”, che mediando coi latifondisti e i proprietari delle aziende agricole, li schiavizzano e lucrano sulle loro spalle. Intermediazione questa - non dimentichiamolo - che ha trovato spazio in seguito alle scellerate politiche di liberalizzazione attuate dai governi della destra e della “sinistra” borghesi al servizio del regime capitalista e neofascista, in grado di assicurare in maniera efficiente il reclutamento a basso costo di manodopera non qualificata. È bene ricordare che in Italia, il settore agroalimentare rappresenta circa il 12% del Pil nazionale, con un valore di oltre 200 miliardi di euro che occupa 1,3 milioni di persone e esporta merci per 42 miliardi di euro. Un volume di affari impressionante, - secondo Coldiretti il blocco delle frontiere a causa dell’emergenza coronavirus, metterebbe a rischio la produzione delle filiere considerando che oltre 370 mila “regolari” arrivano ogni anno dall’estero. La stagione primaverile è appena iniziata, nei distretti agricoli del nord i lavoratori rappresentano una componente ben integrata nel tessuto economico e sociale. La mancanza di manodopera potrebbe compromettere la raccolta delle fragole e degli asparagi nel Veronese, dei kiwi e delle pere nel Piemonte, dei cavoli e dei broccoli nella Puglia. E i migranti che rappresentano la più alta percentuale di irregolari che lavorano in agricoltura, che fine faranno? Verranno regolarizzati o continueranno a lavorare senza contratto, in “nero”, alla mercé di caporali e imprenditori? Con il blocco delle frontiere, chi porterà gli alimenti dalla campagna alla tavola del consumatore? Interrogativi che necessitano risposte concrete e immediate. Il decreto “Cura Italia” approvato il 16 marzo scorso dal Consiglio dei ministri presieduto dal trasformista liberale Conte prevede lo stanziamento - insieme ad altre agevolazioni fiscali - di un fondo di 100 milioni di euro per favorire l’accesso al credito delle imprese agricole. Nessuna misura adottata per regolarizzare e mettere in sicurezza i migranti che lavorano nei campi e che continueranno inevitabilmente a essere sacrificati sull’altare del profitto. E poi, i politicanti borghesi in giacca e cravatta vorrebbero farci credere che siamo tutti sulla stessa barca, padroni e lavoratori compresi? Si tengano ben stretta la loro insulsa retorica, noi marxisti-leninisti continueremo a marciare sulla via dell’Ottobre, contro il capitalismo e per la conquista dell’Italia unita rossa e socialista. Fin quando sulla terra ci saranno sfruttatori e sfruttati, la lotta di classe - anche in piena pandemia - deve continuare!


31 marzo 2020