Gravi responsabilità di Governo e Regioni. Una catena di sottovalutazioni ed errori uniti alla scarsità di risorse della Sanità pubblica hanno inginocchiato il Paese
Il governo già sapeva del contagio da Covid-19 ma nulla fece fino al “paziente 1”
Nonostante il documento dell'OMS del 5 gennaio e il “Piano Nazionale sulle pandemie influenzali”, sottovalutato il rischio della epidemia che sta portando alla morte di oltre 10 mila persone. Respiratori e mascherine ordinate solo a marzo inoltrato

 
Dopo le pandemie influenzali che in particolare dal 2003 al 2012 provocarono soprattutto gravi infezioni del tratto respiratorio, i Paesi che ne erano sprovvisti, costituirono specifici Uffici all'interno dei rispettivi Ministeri della Salute e si dotarono di piani nazionali ad hoc per certe eventualità.
In Italia è il cosiddetto Ufficio 5, addetto alla prevenzione delle malattie trasmissibili e alla profilassi internazionale, che il 5 di gennaio del 2020 diffonde una nota alle regioni, ai Ministeri degli Affari Esteri, della Difesa, dello Sviluppo Economico e dei Trasporti, del Turismo, alle forze armate ed all'Istituto Superiore di Sanità nella quale dirama i contenuti del documento del 31 dicembre dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Sostanzialmente, il documento informa che alla data del 3 gennaio sono stati segnalati all'OMS dalla Cina 44 casi di polmonite da eziologia sconosciuta e che dal primo di gennaio è stato chiuso il mercato del pesce di Wuhan per disinfezione e sanificazione ambientale. La nota specifica che i pazienti sono in isolamento e descrive i sintomi che hanno, sottolineando le lesioni invasive in entrambi i polmoni.
Il rapporto contiene anche la valutazione dell'OMS che ammette di saperne ben poco, ma che sottolinea che il rischio va valutato con prudenza poiché, specifica “sono valide le raccomandazioni sulle misure di sanità pubblica e sulla sorveglianza dell'influenza e delle gravi infezioni respiratorie acute”.
Non solo. Il governo ha a disposizione il “Piano Nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale”, aggiornato nel 2016 seguendo proprio le raccomandazioni dell'OMS del 2005, un piano che, come si legge in esso, “rappresenta il riferimento in base al quale saranno messi a punto i piani operativi regionali” e che prevede “per ogni fase, obiettivi, azioni ed attori” da attivare.
A inizio di gennaio dunque, quasi tre mesi fa, quando le decine di casi di polmonite grave si trasformano in poche settimane in Covid-19 conclamati a Wuhan, le istituzioni italiane erano già a conoscenza di questa anomala e potenzialmente grave nuova ed inedita forma di virus ed avevano un preciso protocollo da seguire.
La “macchina” però non si mette in moto, e non parte nemmeno nei giorni successivi quando i casi si moltiplicano e diviene noto che per quel patogeno molto aggressivo non c’è vaccino né cura. Si ignora per un mese e mezzo sperando forse che la Cina “non sia vicina”, ma ignorando che è interconnessa col mondo intero ed esistono centinaia di vettori dell'infezione virale.
La popolazione italiana non sa praticamente nulla, e nemmeno i medici di base, fino al 21 febbraio quando l’Italia ha il suo “paziente 1”, e dunque si tornerà a parlare di quelle strane polmoniti avvenute tra dicembre e gennaio. Mentre il contagio si allarga tra Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
 
Il criminale tergiversare del governo Conte
Incredibilmente solo dopo la segnalazione di fine gennaio della Germania che denuncia 4 casi, l'Italia chiude i voli con la provincia dello Hubei (ma non tutti, solo quelli diretti!), ed il governo afferma di essere “pronto” nonostante nulla si muova neanche all'interno degli ospedali, evidentemente impreparati.
Ma ormai è troppo tardi, i buoi sono già scappati, il virus circola nel basso lodigiano dal 26 gennaio come è emerso in seguito grazie ad uno studio del professor Massimo Galli del Sacco.
Tuttavia il rischio continua a essere sottovalutato durante almeno tre riunioni che si svolgono all’Istituto superiore di sanità dai primi di febbraio ai quali ha partecipato anche il direttore della rianimazione del Policlinico di Milano che spiega che attraverso le simulazioni sullo sviluppo del contagio “fin da subito era stato chiarito che le terapie intensive sarebbero andate in sofferenza”.
Eppure il 17 febbraio, al ministero della Salute, viene presentato dal direttore della Programmazione sanitaria Andrea Urbani il piano per un'eventuale pandemia da Covid-19 alla presenza della task force che il ministro della Salute Roberto Speranza riuniva dal 22 gennaio, non mancando mai di far notare l'impalpabile impegno sui social, riaffermando ogni volta che “il Servizio sanitario nazionale è dotato di professionalità, competenze ed esperienze adeguate ad affrontare ogni evenienza”.
Il piano mostra alcuni scenari che rimangono segretissimi ai più, ma che evidenziano come anche secondo il più ottimista di essi, i posti letto dedicati in Italia che al tempo erano 5.300 - dei quali solo una minima parte nel Sud - sono assolutamente insufficienti; nonostante vi sia quindi la possibilità di una crisi effettiva al nord e di una strage sicura al Sud, il Ministero nicchia (come pure le Regioni che hanno la competenza sanitaria) intervenendo solo il 23 con l'avvio delle zone rosse al nord dove nel frattempo si è accertato il primo contagiato, ma senza provvedere all'adeguamento delle terapie intensive e all'approvvigionamento dei dispositivi di difesa individuale neanche per i medici.
Solo il 5 marzo, quando si contavano già 148 morti e le Rianimazioni lombarde erano già in crisi, il ministero indica alla Protezione civile un fabbisogno di 2.375 apparecchi tra terapia intensiva e subintensiva, e viene avviato un bando Consip per altri 5.000 apparecchi, molti dei quali non arriveranno mai.
Oggi i 5.300 letti sono divenuti quasi novemila ma le terapie intensive sono in sofferenza oltre che in Lombardia, anche nel Lazio, ad esempio, dove ci sono solo 126 malati Covid-19 in rianimazione; inutile rammentare che in queste condizioni c'è sempre meno spazio per chi ha altre patologie come l'ictus o l'infarto che non si sono certo arrestate nei tempi di Coronavirus.
Insomma, fra Governo, Regioni e Ministri, nessuno tenta di anticipare il rischio, nessuno pensa ad approvvigionarsi di strumenti in grado di far fronte a una probabile grave epidemia che avrebbe certamente provocato il collasso delle rianimazioni e, figuriamoci, nessuno pensa neppure alla chiusura delle attività commerciali e produttive, mentre i politici di ogni sorta balbettano contraddicendosi di giorno in giorno e Confindustria spinge la popolazione all'acquisto di tutto ciò che è in commercio prima delle quarantene forzate.
Adesso certe misure sono state adottate, sebbene in parte, ma si continuano a mandare al macello la classe operaia e le lavoratrici ed i lavoratori dei servizi cosiddetti essenziali, in primis medici ed operatori sanitari, mandati allo sbaraglio dal governo Conte.
 
Disatteso nella conclamata e cruciale fase iniziale il piano nazionale anti-pandemia
Come abbiamo già accennato, l’ultimo piano governativo contro le pandemie è stato aggiornato nel 2016 e prevede una serie di adempimenti da adottare in caso di emergenza di un nuovo virus, fornendo indicazioni chiare e precise su come muoversi.
Nel documento si legge chiaramente che se l'eventuale infezione avesse la capacità di trasmettersi da uomo a uomo, la difficoltà nel controllarla renderebbe indispensabile “preparare in anticipo le strategie di risposta alla eventuale pandemia, tenendo conto che tale preparazione deve considerare tempi e modi della risposta”.
Il piano contempla anche l'approvvigionamento fin dalla fase iniziale di materiali e dispositivi di protezione individuale, come i respiratori e le mascherine (fra l'altro quaranta giorni giorni dopo la dichiarazione dell'emergenza ne sono state spedite 300 mila in Cina).
Insomma, ecco quello che non è stato fatto a partire dal 5 gennaio scorso. E non è tutto poiché praticamente sono saltate fasi importantissime del piano come la pre-allerta e l’allerta senza giustificazione alcuna, oltre all'assenza della richiamata azione di sorveglianza prevista nelle fasi 3-4-5 del piano, in particolare nei confronti degli operatori sanitari che sono anche inseriti al primo posto in ordine di priorità sul personale da proteggere attraverso misure e strumenti di sicurezza che a tutt'oggi non hanno.
 
La Lombardia, regione del primo focolaio, disattende i protocolli
Anche in Lombardia, dal 5 di gennaio, bisogna arrivare alla metà del mese per vedere qualche timido segno di interessamento istituzionale.
Imprudentemente, nonostante le informazioni ricevute dall'ISS e i protocolli esistenti, in Lombardia stimano in 105 i letti di terapia intensiva che sarà necessario ricavare in più, e questa linea rimane la stessa fino alla comparsa del “paziente 1” il 20 di febbraio, nonostante il susseguirsi di simulazioni matematiche sulla curva del contagio che ipotizzavano già allora il collasso delle rianimazioni.
Il disastro nei fatti è già compiuto, ma si concretizza a partire dal 21 febbraio quando quei posti vengono esauriti in meno di due giorni, e oggi i letti in terapia intensiva per malati Covid-19 sono 1.450, un numero dieci volte superiore alla cifra strategica fissata dai vertici regionali ma ancora insufficienti, dal momento in cui tanti medici sostengono che c'è una sorta di regola non scritta secondo la quale “a parità di altre condizioni sanitarie, i nati dopo il 1960 hanno accesso prioritario alla terapia intensiva. Insomma, è vero che sono tanti, in particolare anziani, che non possono essere curati nell'Italia che continua a fregiarsi del suo “servizio” sanitario, e la Lombardia stessa, regione più ricca e culla del federalismo, ha abbandonato a se stessi medici e pazienti per le sue scellerate scelte in piena assonanza con quelle del governo Conte.
Ne è un ulteriore esempio l'apertura di un nuovo fronte di allarme in questi ultimi giorni, relativo a nuovi focolai nelle RSA (Residenze per anziani) e negli Hospice dove sono stati dirottati dalla regione Lombardia (ma anche nelle altre) circa 2.400 pazienti in via di guarigione ma dei quali è impossibile – data la scarsità di tamponi – affermare se sia esaurita la carica virale oppure no. In pratica non si fanno tamponi ai potenziali positivi, figuriamoci ai pazienti che stanno meglio.
Il rischio ovviamente è enorme, ed alcune di queste strutture – inadeguate dal punto di vista organizzativo e meramente sanitario - hanno già denunciato infezioni da Covid-19. Un crimine nel crimine.
Insomma, carenze pesanti, pagate solo in Lombardia con migliaia di morti accertati ed oltre 40.000 contagi certificati ad oggi. Alcune ipotesi parlano di un contagio reale dieci volte superiore e di morti imputabili al virus almeno tre volte tanto quelli ricondotti, in qualche forma, alla pandemia.
 
Il fallimento conclamato del federalismo sanitario
La Lombardia è stata la prima regione colpita e la più duramente. Tuttavia l'atteggiamento generale di tutta l'Italia, Governo e Regioni, è stato lo stesso fin dall'inizio e ora, nonostante ci si affanni a rimediare gli errori, chi è al centro della pandemia non sa che pesci pigliare per risolverla, mentre chi sta attendendo il suo turno che si augura non arrivi, boccheggia e affanna nella speranza vana di prepararsi per tempo.
Nel quadro, drammatico, descritto finora emergono evidenti le grandi contraddizioni e disuguaglianze del federalismo sanitario e dello smantellamento del SSN. La Puglia, ad esempio, dispone adesso di soli 16 ventilatori in tutta la regione, l'Umbria di 20 e via via di seguito, rispettando di tutto punto le proiezioni della “questione meridionale” che in campo federalista offre tutta la sua proverbiale gravità.
Stesso discorso per la carenza di mascherine che sono fornite per un decimo del necessario, stavolta da nord a sud senza troppe distinzioni territoriali.
Come già scritto in un precedente articolo pubblicato su Il Bolscevico , l'avvento e il consolidamento della seconda repubblica, unitamente alle imposizioni dell'UE imperialista – che oggi non vuole emettere alcun provvedimento comunitario di aiuti per non scontentare i Paesi più forti e ricchi -, hanno definitivamente affossato il SSN sull'altare dei tagli selvaggi al welfare a tutto vantaggio della sanità privata, mercificata a profitto.
In questi anni tutti i governi, nessuno escluso, hanno smantellato il quadro unitario del Paese anche dal punto di vista sanitario, affidando alle Regioni la gestione della sanità che è stata dirottata ovunque a favore dei privati e delle borghesie regionali colpevoli di innumerevoli intrallazzi politico-mafiosi che hanno portato alla riduzione dei servizi erogati e allo smantellamento dei diritti dei lavoratori del settore, quanto quelli dei pazienti. E tutto ciò in tempi “normali”, cioè senza emergenze particolari in corso.
Il Covid-19, oscuro male dei nostri tempi, ha evidenziato oltre a quanto sopra esposto che rimane il quadro generale di riferimento, anche che le istituzioni borghesi, dallo Stato alle Regioni, sono talmente subalterne agli interessi del capitale da non riuscire ad intervenire sottraendosi a tali logiche nemmeno di fronte alla morte seriale alla quale stiamo assistendo.
Oggi il ministro LeU Speranza ammette attraverso il suo staff di essere “in affanno”, perché “l’impatto è stato enorme” e “noi tutti speravamo che non lo fosse”; fonti qualificate del ministero della Salute dicono che “non si potevano comprare cinquemila ventilatori quando c'erano solo due cinesi allo Spallanzani. Avremmo speso un miliardo di euro, saremmo stati accusati di sperperare denaro”. Denaro invece che non si sperpera acquistando milionari aerei da guerra F-35. Una vergogna.
Ma non c'erano solo due cinesi ricoverati col coronavirus, bensì una pandemia mondiale e la certezza dello spostamento di migliaia di persone da e verso la Cina. C'era un piano nazionale anti-pandemico da seguire che non è stato seguito. La realtà, ben più semplice e cruda da rilevare, è semplicemente che certi provvedimenti, dall'acquisto di respiratori e mascherine, fino alla chiusura immediata delle attività commerciali e produttive riconoscendo la continuità salariale, configgevano con quella legge fondamentale sacra nel sistema economico capitalistico, che è la ricerca del massimo profitto.
Governo e Regioni hanno preferito tergiversare, sperando probabilmente in una sorte benevola, consapevoli che non siamo sulla stessa barca: i ricchi e i borghesi viaggiano in prima classe anche in ambito sanitario, mentre il proletariato, le lavoratrici ed i lavoratori, le masse popolari, studenti e pensionati sono reclusi nella stiva di una carretta del mare in mezzo alla tempesta.

31 marzo 2020