Come tutti i politicanti borghesi
Speranza non si autocritica in parlamento per gli errori del governo nell'emergenza sanitaria
Invocando “unità e coesione sociale” il leader di LeU assolve l'operato di “tutte le istituzioni, governo, Regioni e Comuni”. Renzi cavalca la richiesta del padronato di riaprire subito. La Lega copre le responsabilità dei suoi governatori e fa quadrato sul federalismo. I fascisti di FdI si fingono paladini della sanità pubblica
Rafforzare e sviluppare il Servizio sanitario nazionale. Abolire la sanità privata. Nazionalizzare le aziende farmaceutiche

Il 1° aprile il ministro della Salute Roberto Speranza è andato in parlamento, prima alla Camera e subito dopo al Senato, per un'informativa sulle misure del governo per fronteggiare l'emergenza sanitaria Covid-19. Il clima non era dei più tesi, vuoi per i vistosi vuoti fra i banchi dovuti al diradamento forzato, vuoi per gli appelli di Mattarella alla “collaborazione” tra le forze politiche di maggioranza e opposizione, e vuoi anche per il profilo volutamente basso del ministro che lo ha tenuto fin qui abbastanza al riparo dagli attacchi della destra, concentrati soprattutto su Conte.
Ad ogni buon conto Speranza ha esordito facendo subito mostra di spirito collaborativo ed unitario, appellandosi al parlamento come “il luogo in cui, in una limpida dialettica, dobbiamo ricercare e trovare le ragioni di un'azione comune. Un clima politico positivo ed unitario è la precondizione essenziale per tenere unito il Paese in un passaggio difficilissimo della nostra storia nazionale”. “Dal Dopoguerra – ha aggiunto per evocare un clima da “siamo tutti nella stessa barca” - mai come in queste ore, non è il tempo delle divisioni. Come ha ricordato ancora una volta nei giorni scorsi il nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella, unità e coesione sociale sono indispensabili in queste condizioni”.
Il ministro ha poi informato che i numeri e le statistiche dell'epidemia “indicano che siamo sulla strada giusta” e che essa sta rallentando, ma ha anche aggiunto che “sarebbe un errore imperdonabile” allentare troppo presto le misure di contenimento fin qui adottate, che restano pertanto confermate fino al 13 aprile, in attesa del parere del comitato tecnico-scientifico per una loro eventuale modifica dopo quella data.
Dopodiché, per essere coerente con il suo proclamato impegno di “continuare a dire con chiarezza e nettezza la verità al Paese sull'emergenza sanitaria che stiamo vivendo”, non foss'altro che per imparare dagli errori per il futuro, Speranza avrebbe dovuto entrare in merito alle misure prese, rispondere alle critiche piovute da tutte le parti sulla loro intempestività e inadeguatezza a fronteggiare la situazione e agli errori fatti dal governo. Questioni che sono sotto gli occhi di tutti come la mancanza assoluta di un piano di prevenzione dell'epidemia, il non aver fatto scorte di dispositivi di protezione e ventilatori polmonari quando già si sapeva dell'epidemia in Cina, esponendo così migliaia di medici e infermieri al virus con decine di morti tra le loro file, l'inseguire sempre in ritardo l'espandersi del contagio con misure contraddittorie e confuse, la mancata chiusura dei focolai di Alzano e Nembro che hanno devastato la bergamasca e il relativo scaricabarile delle responsabilità con la Regione Lombardia, la terribile falcidie di anziani nelle case di riposo (Rsa), la chiusura in ritardo, solo parziale e solo dopo gli scioperi di autodifesa dei lavoratori, delle fabbriche non essenziali alle filiere produttive della sanità e dell'alimentare, e così via.
Invece, come tutti i politicanti borghesi, anche il leader di LeU si è sottratto alle sue responsabilità evitando accuratamente qualsiasi accenno critico e autocritico, anzi assolvendo in partenza “tutti i livelli istituzionali, dal Governo, alle Regioni, ai nostri sindaci”, nascondendo così dietro un'assoluzione plenaria non solo i suoi errori e quelli del governo di cui fa parte, ma anche le gravi responsabilità dei governatori regionali e dei sindaci nella confusa e spesso sbagliata gestione dell'emergenza, in particolare nella Lombardia.
Tutta la sua “informativa” era improntata unicamente a sottolineare che il suo ministero e il governo Conte si sono mossi “per tempo” e “per primi” tra tutti i paesi già a fine gennaio con la proclamazione dello stato di emergenza e altre iniziative di allerta; dando a suo dire già a fine febbraio “chiare indicazioni” a Regioni e ospedali di aumentare posti letto e terapie intensive, rispettivamente triplicati e aumentati del 75%; adottando “progressivamente e tempestivamente misure proporzionali al contagio” e adottando “ulteriori severissime misure con l'esplosione dei nuovi focolai, che oggi vengono replicate in molti paesi del mondo”, ecc.
 

La memoria corta sui tagli alla sanità
Il grave ritardo nell'approvvigionamento dei dispositivi di protezione, tutt'ora mancanti, Speranza lo attribuisce unicamente al “mercato già saturo da fine 2019” e alle “misure protezionistiche adottate da più nazioni”, senza spiegare perché ci si è ridotti a cercarli sul mercato internazionale solo a partire da marzo, a pandemia ormai dilagante, quando ci si sarebbe potuti muovere fin da gennaio. E per quanto riguarda le richieste provenienti da tutto il comparto sanitario di un uso di massa dei tamponi, il ministro per ora glissa parlando di un “uso intelligente” (tradotto, ancora limitato e selettivo) di essi.
Nel finale ha strappato facili applausi traendo da questa vicenda la lezione di quanto sia fondamentale “tornare a sviluppare in parallelo con gli ospedali, che sono e restano essenziali, la rete dei servizi territoriali, tutti i servizi di prevenzione ed una rinnovata integrazione tra politiche sanitarie e politiche sociali”. E di quanto “il nostro Servizio sanitario universale” sia il “patrimonio più prezioso che possa esserci” e sul quale “dobbiamo investire con tutta la forza che abbiamo”. Peccato che non si sia ricordato anche di fare autocritica, a nome di tutta la “sinistra” borghese rinnegata, riformista e liberale, per aver partecipato insieme alla destra berlusconiana e fascioleghista allo smantellamento e alla privatizzazione della sanità pubblica e ridurla nello stato disastroso in cui la pandemia di Coronavirus l'ha trovata.
 

Dita negli occhi a Speranza e Conte
Quasi in risposta al clima di “unità nazionale” raccomandato da Mattarella e richiamato da Speranza, gli interventi in entrambe le Camere non hanno registrato attacchi particolarmente duri al ministro e al governo da parte dei partiti del “centro-destra”, che tra l'altro non schieravano i loro capofila Salvini e Meloni, bensì personaggi seppur noti, ma di seconda fila, come la leghista membro della commissione Sanità del Senato, Sonia Fregolent, e il vicepresidente della Camera di FdI, Fabio Rampelli. Paradossalmente l'intervento più insidioso per il governo è venuto dall'interno della sua stessa maggioranza, cioè da Renzi, il quale ha impostato il suo intervento su due richieste, entrambe equivalenti ad altrettante ditate negli occhi a Speranza e Conte, anche se cadute sostanzialmente nel vuoto: quella di una commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori fatti nella gestione dell'emergenza Covid-19 (“questo Parlamento dovrà avere un'occasione nella quale riflettere su ciò che non ha funzionato, dalle mascherine ai tamponi, perché se non si fa una Commissione parlamentare d'inchiesta quando ci sono 12.000 morti allora non la si fa più”, ha detto); e quella della riapertura delle fabbriche e delle attività commerciali, continuando così a farsi interprete delle pressioni di Confindustria per cominciare a riaprire già dopo il 13 aprile.
 

Faccia tosta e memoria corta della Lega
Non che la leghista Fregolent abbia rinunciato ad attaccare il governo, soprattutto nella persona di Conte, ma più che altro il suo intervento era concentrato nell'esaltare la “preveggenza” della Lega, che aveva indovinato tutto fin dall'inizio (“avevamo chiesto la chiusura dei voli diretti e indiretti dalla Cina... avevamo chiesto l'applicazione della quarantena; avevamo sottolineato che il pericolo era rappresentato dagli asintomatici; avevamo chiesto l'applicazione del principio di massima precauzione”, ha sciorinato); e nell'attribuire al solo governo responsabilità che sarebbero da spartire quantomeno equamente con i governatori di Regione, a cominciare dal leghista Fontana: come per gli operatori sanitari “fatti lavorare senza Dpi”, come per i morti nelle Rsa “abbandonati a loro stessi” (e da chi, se non dalla Regione Lombardia innanzi tutto?), e come addirittura per aver “destrutturato e impoverito il Servizio sanitario nazionale”.
Accusa quest'ultima piuttosto surreale, visto che la Lega è il partito più vecchio del parlamento e negli ultimi venti anni è stato al governo più di chiunque altro. E che il suo famoso “modello lombardo” pubblico-privato di sanità ha dimostrato proprio in questa emergenza un disastroso fallimento. Eppure la senatrice salviniana ha avuto anche la faccia tosta di chiedere che lo Stato “deve assicurarsi la responsabilità di controllare, di porre obiettivi e di riorganizzare la sanità di tutto il Paese, superando il drammatico divario tra Nord e Sud”. Divario che guarda caso fino a ieri la Lega si proponeva di aumentare con l'autonomia regionale differenziata! Obiettivo a cui del resto non ha affatto rinunciato, visto che la senatrice ha non soltanto esaltato a spada tratta le Regioni “che hanno dovuto fare tutto da sole”, ma ha anche diffidato chiunque a tornare indietro dal modello federalista “per tornare ad una posizione centralista, vanificando tutto il lavoro fatto in questi anni”.
 

Proposte demagogiche e rivendicazioni vere
Quanto ai rappresentanti di FdI, i loro interventi confermavano la linea di critica a Conte e agli errori del governo, ma anche di “collaborazione parlamentare” in nome dell'emergenza nazionale adottata di recente dalla Meloni: “Noi collaboriamo ma voi ammettete i vostri errori”, ha detto infatti Rampelli rivolto a Speranza e al governo, al termine di un intervento in cui peraltro ha avanzato tutta una serie di proposte per il rafforzamento della sanità pubblica. Come il rafforzamento della medicina d'igiene, con il rafforzamento dei presidi sanitari sul territorio (quelli che sono stati distrutti in Lombardia, come accusano i medici lombardi in una lettera al governatore Fontana e all'assessore Gallera, ndr), il ripristino dei reparti di medicina infettiva, adeguate forniture di Dpi al personale, e fare milioni di test alla popolazione. Il suo collega intervenuto alla Camera, Zaffini, ha anche puntato il dito sullo squilibrio sanitario Nord-Sud, e si è detto pronto a rivedere il Titolo V della Costituzione prevedendo anche “nuove pesature nella distribuzione di competenze tra Regioni e Stato”. Tutte proposte condivisibili, se non puzzassero anche di opportunismo demagogico lontano un miglio, dato che provengono da un partito che governa tutt'ora insieme alla Lega in molte Regioni e Comuni del Nord e che nel Sud è uno dei pilastri del sistema di potere colluso con le mafie.
Insomma, ora pare che tutti i politicanti della destra e della “sinistra” borghese siano stati fulminati sulla via di Damasco nella difesa del Servizio sanitario pubblico, anche perché a invocare come prima tagli e “razionalizzazioni” oggi c'è da essere lapidati. Ma non c'è da farsi illusioni. Appena passata la bufera tutte le promesse di ora finiranno in un cassetto, perché il sistema capitalista, fondato sulla legge del massimo profitto e sulla supremazia del mercato è strutturalmente incompatibile con la difesa della salute delle masse al primo posto.
Solo con la lotta di classe, che non deve arrestarsi neanche ora perché non è vero che “siamo tutti nella stessa barca”, il proletariato e le masse popolari possono far valere i loro interessi immediati e a più lungo termine. Si tratta, come ha indicato il compagno Giovanni Scuderi nel suo Editoriale Coronavirus e l'Italia del futuro, di lottare “per il rafforzamento e lo sviluppo del sistema sanitario nazionale e l’abolizione della sanità privata; per l’abrogazione del titolo V della Costituzione e la relativa autonomia differenziata delle regioni; per l’abrogazione dell’articolo 81 della Costituzione che impone il pareggio di bilancio, della legge Fornero, del Jobs Act e dei decreti sicurezza; per l’uscita dell’Italia dall’Unione europea imperialista, considerando anche che non ha fatto nulla fin qui per aiutarci nella lotta contro l coronavirus.
 

8 aprile 2020