Decine di procure indagano per omicidio e epidemia colposa del Covid-19
Il virus forse nascosto per non dover chiudere le aziende
Il primo caso all'ospedale di Alzano Lombardo dove tutto è cominciato
Governo e Regione Lombardia primi responsabili della diffusione del virus

Le decine di inchieste per epidemia colposa e omicidio colposo plurimo avviate da decine di procure su tutto il territorio nazionale con l'intento di cercare di chiarire come sia stato possibile che nel giro di poche settimane l'Italia sia diventata la regione europea con il più alto numero di contagiati e di morti accertati da coronavirus, alimentano il sospetto che, a parte le misure indispensabili, quali stare a casa, il distanziamento sociale, le regole igienico-sanitarie e il comportamento da tenere in caso di sintomi semi-influenzali; i decreti varati dal governo Conte per arginare la diffusione del virus, spesso in contrasto anche con le misure decise a livello regionale e comunale, oltre a costituire un pericoloso precedente per i diritti costituzionali e le libertà democratico borghesi, siano stati varati per salvaguardare prima di tutto e quanto più possibile i profitti e gli interessi dei capitalisti e delle stesse aziende sanitarie locali.
Emblematico in tal senso è ciò che è successo nell'ospedale di Alzano Lombardo all'inizio del contagio nei giorni tra il 23- 24- 25 febbraio con la criminale decisione assunta dal direttore generale della sanità lombarda Luigi Cajazzo, dal direttore generale della Asst Bergamo Est Francesco Locati, dal direttore sanitario della Asst Roberto Cosentina e dai vertici della Regione Lombardia a cominciare dal presidente Attilio Fontana e dall’assessore al Welfare Giulio Gallera, di tenere aperto al pubblico l'ospedale nonostante il parere contrario del direttore medico Giuseppe Marzulli e dei suoi collaboratori che invece volevano sigillare tutto il presidio sanitario subito dopo aver accertato i primi due casi di coranovirus, ancor prima del focolaio di Codogno, e senza aspettare l'intervento del governo che invece arrivò ben due settimane dopo, l'8 marzo, con l'intera area compresa fra Alzano e Nembro dichiarata zona arancione.
Un colpevole ritardo e una decisione scellerata da parte dei vertici politici e sanitari che nei giorni seguenti si è rivelata fatale per la diffusione del virus in tutta la bergamasca e poi verso Brescia, Milano e in tutta la Lombardia. Soprattutto se si pensa che ad Alzano Lombardo non esiste nemmeno il reparto di malattie infettive.
Solo ora, tra mille bugie e reticenze ufficiali, comincia a emergere la verità su ciò che è successo all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano da dova pare che tutto sia partito già prima del 20 febbraio. Evidentemente le autorità hanno nascosto tutto nel timore che la notizia della diffusione del coronavirus potesse costringerli a chiudere le aziende, in quest'area del Paese in cui hanno continuato a produrre anche dopo le restrizioni imposte dai decreti governativi.
Il dottor Marzulli in una lettera datata 25 febbraio e indirizzata ai suoi diretti superiori segnala che: “Presso il Pronto soccorso stazionano tre pazienti senza che vengano accolti né dall’ospedale di Seriate né da altre strutture aziendali”. Sospetti Covid-19. “È evidente che in queste condizioni il Pronto soccorso di Alzano Lombardo non può rimanere aperto - l'indicazione di aspettare l’esito del tampone - è assurda ( ed uso un eufemismo) in quanto, come noto, i tempi di refertazione sono mediamente intorno alle 48 ore e ciò vuol dire far stazionare tali pazienti per 48 ore presso il Pronto soccorso, cosa contraria a qualunque protocollo e anche al buon senso - scrive ancora il dottor Marzulli che conclude - Ritengo indispensabile un intervento urgente”.
Diverse testimonianze da parte dei dipendenti della Asst confermano che: “La riapertura dell’ospedale di Alzano è avvenuta per ordini superiori. Il direttore, il dottor Marzulli, era chiaramente contrario e si è espresso più volte in questo senso. Quel lunedì 24 febbraio io ero in servizio e dal suo ufficio lo si sentiva urlare con la direzione generale, la direzione sanitaria, la direzione strategica di Seriate che gli hanno imposto la riapertura. C’è stata una situazione di conflitto, ma ha eseguito gli ordini... A partire dal 15 febbraio, erano già stati accolti pazienti poi risultati positivi al Covid-19”.
Sabato 22 febbraio, un paziente infetto transita dal pronto soccorso e altri due vengono trasferiti al Giovanni XXIII di Bergamo, dove muoiono. Domenica 23 il pronto soccorso chiude e “riapre senza nessuna sanificazione specifica e senza che venissero predefiniti percorsi di sicurezza”, con i pazienti coronavirus accolti “insieme agli altri”. E ancora: “La gente sintomatica ha continuato a lavorare, il personale sanitario circolava liberamente e la sera faceva rientro a casa”. Lunedì 24, l’ospedale riapre. “C’era un clima quasi di panico, di paura generale, più che altro c’era una corsa al tampone, tutti i dipendenti volevano fare il tampone” ma la direzione risponde “Non è possibile” perché ci sono solo 76 tamponi per tutta la Asst e nessuno era in grado di rifornirli.
Drammatica la testimonianza anonima al Tg1 di un primario dell’ospedale di Alzano: “Il 23 febbraio è arrivata la chiamata del direttore generale Cajazzo, che ha detto: 'non si può fare, non possiamo chiudere oggi Alzano, tra due ore Cremona... Quindi riaprite tutto'... Abbiamo pensato: se noi tecnici dobbiamo dipendere da loro, siamo morti”.
Mentre un’infermiera racconta che: “La sanificazione dell’ospedale è stata fatta quattro giorni dopo. Siamo stati obbligati a tenere i pazienti infetti insieme agli altri ricoverati per 72 ore cruciali. Il nostro direttore ha chiuso subito il pronto soccorso, ha avvisato i vertici... Nel frattempo abbiamo fatto una lista di pazienti transitati nel pronto soccorso e nei reparti, i ricoverati, i famigliari, il personale entrato in contatto, lo abbiamo fatto con la caposala, noi autonomamente, mentre i vertici si confrontavano sul da farsi. I giorni successivi, il delirio! Comunicazioni/direttive che cambiavano di ora in ora”.
La Procura di Milano ha aperto una dozzina di fascicoli su iniziativa dei pm o a seguito di denunce presentate dai lavoratori delle Rsa e dai parenti delle vittime. A quello sul Pio albergo Trivulzio, di cui riferiamo in un articolo a parte, si aggiungono quelli del Don Gnocchi-palazzolo, dove sono morti 40 ospiti su 112, che vede indagati il presidente della cooperativa sociale Ampast che opera nella struttura, Waly Ndiaye Papa, Dennis Troisi, dg organizzativo, Federica Tartarone, direttore sanitario, e Fabrizio Giunco, direttore dei servizi medici.
Un’altra indagine si occupa dell’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, in cui il pm Mauro Clerici ha indagato il presidente Don Marco Bove e il dg Paolo Pigni.
Un fascicolo è stato aperto anche sulla tragicamente nota casa di riposo di Mediglia passato per competenza alla procura di Lodi, la quale già dalla fine di febbraio indaga anche sulla diffusione del virus all’ospedale civile di Codogno sempre per epidemia colposa.
Altri 13 fascicoli di indagine sono stati aperti dalle procure del Piemonte che indagano sulle Rsa per gli anziani dove si sono verificati decine di decessi sospetti e schiere di operatori sanitari malati e contagiati.
In Veneto è stata aperta un’inchiesta a Treviso già il 27 febbraio sulla morte di una professoressa 76enne molto conosciuta in città. Altre inchieste sono state aperte dopo denunce ed esposti di familiari delle vittime.
In Emilia Romagna la Procura di Piacenza sta indagando sulle case di cura “Piacenza” e “Sant’Antonino” e sui motivi della carenza di mascherine e dispositivi di protezione per i sanitari degli ospedali cittadini. Mentre gli ospedalieri dell’ Anaao hanno denunciato alla procura della Repubblica la carenza di maschere filtranti a Bologna.
In Toscana la procura di Lucca ha aperto un'inchiesta dopo aver ricevuto un esposto relativo a tre morti sospette avvenute nei giorni scorsi alla residenza sanitaria assistenziale (Rsa) Paoli-Puccetti di Gallicano. Oltre ai tre morti, nella stessa struttura sono stati registrati altri 23 contagiati (10 operatori e 13 pazienti).
Nel Lazio la Procura di Civitavecchia indaga sulla Rsa “Madonna del Rosario”, dove finora sono deceduti 14 anziani. Mentre delle attuali 55 persone assistite i contagiati risultano essere ben 42 insieme a diversi altri lavoratori e assistenti sanitari. Nel mirino dei magistrati c'è anche l’Rsa Giovanni XXIII di Roma denunciata dai familiari di un anziano deceduto nei giorni scorsi.
In Campania gli operatori sanitari dell’Anaao hanno presentato un esposto alla procura di Napoli denunciando la mancata fornitura da parte delle Asl di adeguate protezioni individuali e il conseguente alto numero di medici e infermieri contagiati. Tra gli ospedali più colpiti c’è il Cardarelli.
In Puglia i magistrati di Lecce hanno aperto un’inchiesta sulla Residenza sanitaria per anziani di Soleto, almeno dodici vittime e l’incubo degli scambi di persona: “Non sappiamo se nostra nonna è morta”, hanno riferito ai giornali locali familiari di una degente. Un altro fascicolo è stato aperto a Bari sul caso di una partoriente arrivata dall’Emilia-Romagna, senza dichiararlo, che avrebbe contagiato un medico e cinque infermieri.
In Calabria il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, indaga sulla Rsa Domus Aurea di Chiaravalle: 20 anziani morti in pochi giorni (si legga l'articolo a parte).
In Sicilia c’è un’inchiesta per epidemia colposa a Ragusa, a seguito della morte di un quindicenne egiziano (risultato positivo) all’hotspot di Pozzallo. Mentre la Procura di Siracusa indaga per omicidio colposo sulla morte di Calogero Rizzuto, direttore del parco archeologico della città, e le possibili responsabilità mediche nel ritardo di diagnosi e ricovero. C’è un’indagine anche sul contagio all’Umberto I. Ad Enna si indaga invece sulla morte di una paziente trasferita da un ospedale a un altro, senza tampone. A Caltanissetta aperto un fascicolo sulla situazione sanitaria provinciale.
Infine a Sassari i Pm indagano per capire su come sia stato possibile che la maggior parte dei positivi in Sardegna siano operatori sanitari, pazienti o persone transitate al Santissima Annunziata, in particolare dal reparto di Cardiologia, diventato epicentro della diffusione nell’isola. Il primo fascicolo aperto è relativo alla morte del primo paziente contagiato in Cardiologia mentre il secondo si riferisce alla situazione nel reparto Dialisi, dove i familiari dei pazienti hanno denunciato di essere stati abbandonati.

15 aprile 2020