Considerazioni sul programma del dopo pandemia promosso da democratici borghesi e da trotzkisti
Uniamoci per salvare l'Italia col socialismo

 
“Il Manifesto” trotzkista cartaceo e il sito “Osservatorio del Sud” promosso peraltro da Piero Bevilacqua, hanno pubblicato il “Manifesto per il 'dopo'. Quando la pandemia sarà finita ”, un programma che si pone l'obiettivo di indicare in vari punti quello che dovrebbe essere l'assetto del nostro sistema economico e sociale, una volta superata l'emergenza Covid-19.
Nella sua introduzione si legge che “la pandemia, che si diffonde quasi con la velocità dei flussi finanziari mondiali, ha messo in scacco la crescita, ha fermato la grande giostra e rischia di schiantarla. La vastità dell’evento e la radicalità delle sue implicazioni, i morti e la distruzione di ricchezza, impongono che dopo la grande tempesta nulla sia più come prima”. Cosicché il programma si propone di contribuire a una “radicale trasformazione dello status quo”.
 

L'analisi di classe del Programma
Analizziamo punto per punto il Manifesto.
Al primo, troviamo la condivisibile esortazione a “riporre nella teca dell'antiquario l'intero armamentario della cultura neoliberista”. Non dice come, ma più di un dubbio affossa l'iniziale ottimismo, poche righe dopo laddove il programma riconosce l'UE come “necessario” agente di investimento al fianco dello “stato nazionale”. I firmatari intendono così riaffermare non un loro generico europeismo ma la loro fiducia nell'attuale alleanza imperialista e capitalista della UE, considerata indispensabile per il futuro e riformabile rispetto a quella attuale.
Il secondo punto rivendica correttamente una Sanità pubblica e capillare. Giusto, siamo d'accordo, ma come potrebbe lo Stato borghese, questo Stato dunque, a togliere dalle mani dei privati non solo i finanziamenti, ma anche le strutture private, visto che esse, oltre ad essere ormai un luogo di poteri intrecciati di malaffare e di tangenti, rappresentano proprio un caposaldo di quel liberismo che il programma vorrebbe archiviare? Nazionalizzandole? Immaginiamo di no, visto che più avanti chiede all'Europa la centralità della sanità pubblica, attraverso politiche di welfare continentale.
Al punto 4 il programma propone la ridistribuzione della ricchezza attraverso la tassa patrimoniale. In linea di principio si tratta di una rivendicazione corretta, spesso proposta dalla cosiddetta “sinistra radicale” e tuttavia mai applicata, neanche quando questi partiti (cari a molti dei firmatari come in seguito vedremo) sono stati al governo.
Il punto 5 chiede giustamente di finanziare maggiormente la ricerca e la scuola, ma accettando la presenza di scuola e di università finanziate in parte dai privati dal momento che non si rivendica che l'istruzione sia totalmente pubblica. Non distinguendo in alcun modo tra una concezione del mondo borghese e una proletaria va da sé che l'auspicata formazione dei nostri giovani sarà sempre indirizzata verso gli stessi valori borghesi di oggi.
Se il potere politico rimane in mano alla stessa classe dominante borghese, non cambieranno neppure nella sostanza l'istruzione e la cultura propinate alle nuove come alle “vecchie” generazioni.
È pensabile una scuola, magari anche totalmente pubblica ma in uno Stato borghese, che educhi al superamento e alla negazione del capitalismo? Forse, in determinate congiunture, semplicemente al superamento del liberismo, che ne è una delle ricette economiche, ma mai contro i sistema politico, economico e culturale capitalistico.
I punti 6 e 7 presentano altri principi condivisibili, a partire dalla richiesta di uscire dalla NATO. Ma come la mettiamo con la permanenza e il rafforzamento della UE del quale abbiamo già parlato, se l'UE stessa è promotrice di un nuovo esercito imperialista europeo? Un paradosso e una contraddittorietà che finiscono per smascherare l'oggettiva copertura all'imperialismo italiano ed europeo.
Una nota a parte meritano i punti 8 e 9, che auspicano un ripensamento degli allevamenti intensivi e della Politica Agricola Comunitaria (PAC) dettato dalla necessità di impedire il ripetersi di altre pandemie.
Il modo di produzione intensivo, sia esso agricolo o di allevamento, è un altro caposaldo produttivo, del mercato capitalista globalizzato. Questa importante riflessione è da oltre due decenni al centro del dibattito fra gli ambientalisti ed i partiti riformisti, ma nulla è cambiato anche quando questi ultimi, in varie parti del mondo inclusa l'Italia, sono andati al governo. A cosa serve allora rilanciare la solita ricetta riformista? L'operazione, nella migliore delle ipotesi, è utile solo a riempire d'inchiostro una pagina bianca per assicurarsi qualche simpatizzante in più fra gli ambientalisti, suggerendo ancora una volta che la via istituzionale e riformista può raggiungere quegli obiettivi.
Piano energetico e ambientale che azzeri gli sprechi e le emissioni è possibile solo in un sistema economico diverso, che metta al centro il soddisfacimento dei bisogni dell'umanità e dell'ambiente. Un sistema incompatibile non solo con il liberismo che si vorrebbe riporre in un armadio, ma anche col capitalismo che, sottolineiamo ancora una volta, non è mai denunciato e messo in discussione in questo programma.
Il punto 10 si riduce a chiedere un approvvigionamento a basso costo di manodopera per le aziende che sono in difficoltà momentanea di reperirla attraverso una “regolarizzazione degli immigrati”. Una misura che chiedono a gran voce i padroni, ora che vedono compromesse la raccolta di prodotti agricoli a bassissimo costo e quei lavori supersfruttati e superprecari. Non rivendica pari diritti ai migranti e il diritto al lavoro in sicurezza per tutti, immigrati e non, e questa è la contraddizione principale che il documento non affronta, relegando l'intera questione a una misura parziale, straordinaria, limitata alla fase della cosiddetta “ricostruzione dell'economia”.
Il punto 11, l'ultimo, invece di attaccare l'imperialismo critica pretescamente “la reciproca competizione” degli stati nazionali vagheggiando una “nuova logica di governo del mondo fondato sulla cooperazione per gestire insieme le ardue sfide che attendono l'umanità tutta intera”; e qui emerge chiara la natura idealista e interclassista di tutto l'impianto del Programma.

 

Una ricetta riformista, inconsistente e velleitaria
Non possiamo non rilevare le gravi reticenze sui punti cruciali della presente situazione politica; prima su tutte l'assoluta assenza di critica della dittatura del Presidente del Consiglio a suon di decreti personali, della esautorazione del parlamento e delle misure fasciste e liberticide adottate e che paiono accettate dai firmatari (molti dei quali scesero in campo direttamente contro la controriforma costituzionale di Renzi del 2016), che oggi paiono non accorgersi della democrazia borghese sacrificata sull'altare dell'Emergenza Sanitaria, che lascerà pericolosissimi strascichi, come ha recentemente affermato nel suo Editoriale il compagno Giovanni Scuderi.
Il programma, quindi, nella sua mediocrità di fondo individua come unico neo da rimuovere per far sì che il dopo Covid-19 sia più equo e più giusto per “tutti”, quel liberismo che prevede l'autoregolamentazione dei mercati in assenza di controllo da parte dello Stato. Un sistema introdotto ormai da lunga data, soprattutto dall'Unione Europea il cui compito principale è stato proprio quello di ampliare i mercati “liberalizzandoli”, prima nel continente ,e poi anche con il resto del mondo attraverso sciagurati accordi come il TTIP o il CETA, solo per fare alcuni esempi.
È evidente che il liberismo stesso, spacciato come un meccanismo economico che porta comunque al benessere di “tutti”, è stato un acceleratore nell'ampliare le differenze economiche arricchendo chi è già ricco e provocando un ulteriore impoverimento dei più poveri.
 

Neoliberismo no, ma sì al capitalismo come unica “società possibile”
Tuttavia, non mettendo nel mirino il capitalismo, dal quale comunque il liberismo nasce e si sviluppa nelle sue declinazioni peggiori, si fa propria e si rilancia la ricetta secondo la quale oggi, in un sistema come il nostro, basato comunque sulla proprietà privata capitalistica e sulla ricerca del massimo profitto, sarebbe sufficiente smussare gli angoli per trasformare lo sfacelo attuale in una democrazia che promuova il benessere di tutti. Evidentemente i firmatari del “Programma per il dopo” pensano che non ci sia nulla che impedisca ad un sistema capitalistico di essere compatibile con il bene collettivo e che tutto debba definirsi al suo interno. Un sistema che essi ritengono l'unico possibile. Secondo il più classico dei riformismi, basterebbe introdurre un certo numero di “meccanismi” di redistribuzione della ricchezza e di contrasto all’accentramento della ricchezza (tipo, ad esempio, la tassazione progressiva e le leggi antitrust), uniti alle misure sociali indicate, a cura di uno Stato che si pone in posizione più elevata rispetto agli interessi del padronato, per portare a un benessere diffuso e duraturo, nel rispetto dei diritti sociali e dell'ambiente. Eppure la realtà ci mostra in maniera evidente che il riformismo ha sempre fallito e sono proprio il capitalismo e il modello liberale borghese i responsabili della barbarie in cui è piombata l'umanità. È il capitalismo il padre del liberismo: non si può criticare il secondo ma lasciar governare il primo, se davvero si vuole “una radicale trasformazione dello status quo”.

 

Lotta di classe e il futuro dell'Italia
Niente dicono i firmatari del Programma sul come intendono raggiungere gli obiettivi dichiarati. Per bontà di chi ha governato l'economia e la politica? O forse imbastendo una qualche futura lista riformista e trotzkista che si andrebbe ad aggiungersi alle tante trappole escogitate senza risultati in questi anni?
Non certo attraverso la lotta di classe, che rimane l'unica via possibile, come ha ben spiegato il Segretario generale del PMLI compagno Giovanni Scuderi: “È proprio in questi momenti che bisogna tracciare una chiara e netta linea di demarcazione tra il proletariato e le masse popolari da una parte e la borghesia e il suo governo dall’altra parte. Perché gli interessi e le esigenze dei primi sono contrapposti a quelli dei secondi. (…) La lotta di classe non può non continuare, pensando all’Italia futura.”
Su questa piattaforma riformista non ci stupisce notare fra i firmatari democratici borghesi come Tomaso Montanari e Piero Bevilacqua, vicini a La Sinistra, al fianco di vecchi volponi trotzkisti come Alfonso Gianni, già braccio destro del salottiero anticomunista Bertinotti, già MLS, PdUP, PCI, PRC (sottosegretario allo sviluppo economico con Prodi), SEL, Rivoluzione Civile, TSIPRAS ed ora direttore della fondazione “Cerca ancora” presieduta da Bertinotti stesso, o come Guido Viale, ex Lotta Continua e poi promotore della lista Altra Europa con Tsipras alle Europee del 2014, accanto a Tonino Perna, Aldo Carra, Paolo Favilli.
E non ci sorprende neanche che è stato appunto il quotidiano trotzkista “Il manifesto” a pubblicare questo documento, in calce al quale i promotori chiedono un contributo economico per l'acquisto di una intera pagina di pubblicazione.
 

Uniamoci per salvare l'Italia col socialismo
Emergenza sanitaria o no, l'unica via per salvare l'Italia e le masse popolari dall'ennesima crisi del capitalismo, alla quale ne seguiranno tante altre all'infinito, è quella di porre fine al sistema capitalista e di unire tutte le forze per conquistare il socialismo.
Il socialismo non è un sogno, non è una utopia; il sogno è pensare di superare il liberismo – e il capitalismo – con ricette riformiste, l'utopia è pensare che la borghesia che detiene il potere oggi, lo lasci domani, in maniera spontanea, semplicemente perché “ha capito” che il suo sistema economico deve essere più umano.
Il socialismo non è una via ideale, ma un sistema già sperimentato concretamente nell'Unione Sovietica di Lenin e di Stalin e nella Cina di Mao; solo il socialismo consente al proletariato di costruire una nuova e superiore forma di società e nuove forme giuridiche, politiche, culturali proprie di un sistema economico, di un tipo di proprietà e di un modo di produzione e di distribuzione della ricchezza prodotta socialisti, a beneficio del proletariato e delle masse popolari ora sfruttate e prive di voce e di potere politico.
Solo nel socialismo la classe operaia si emanciperà eliminando la proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio e conseguentemente lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, fondando una società basata sulla proprietà pubblica, sul benessere sociale, assistenziale e sanitario della popolazione e sulla distribuzione della ricchezza prodotta secondo il lavoro di ciascuno.
Prima però occorre spazzar via il capitalismo. La borghesia non è eterna. Essi sono destinati prima o poi a essere rovesciati dal socialismo e dal proletariato attraverso la rivoluzione socialista e la instaurazione della dittatura del proletariato.

22 aprile 2020