No ai Comitati aziendali per la ripartenza
Le lavoratrici e i lavoratori non hanno gli stessi interessi dei padroni

“Comitati aziendali per la ripartenza (Car) in ogni fabbrica, perché il tema non è solo quando ma anche come ripartire”. Questa è la proposta lanciata da Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea, la categoria della Cgil dei lavoratori del legno e dell'edilizia.
Nel suo intervento, apparso sul quotidiano trotzkista Il manifesto , Genovesi fa un accorato appello per istituire questi organismi affinché si possa organizzare la ripartenza delle fabbriche e dei cantieri. Lo fa chiedendo di tenere di conto della sicurezza e di un nuovo modo di lavorare che la pandemia del Coronavirus imporrà per molto e, per certi aspetti, per sempre, rilanciando il tam tam della parola d'ordine “niente sarà come prima”, riferito a una nuova metodologia produttiva e al distanziamento sociale che dovranno essere organizzati per il futuro.
Detta così, rimanendo in superficie, potrebbero sembrare preoccupazioni sensate e da condividere, ma se leggiamo più attentamente il suo intervento, breve ma denso di implicazioni su temi importanti, ci accorgiamo che il suo obiettivo è quello di affrontare un tema più generale e delicato, ovvero quello della “collaborazione” tra lavoratori e padroni. Del resto avrebbe avuto poco senso intervenire con questo risalto solo per ribadire che serve applicare i protocolli sulla sicurezza, dotarsi di Dispositivi di Protezione Individuali (Dpi) e mantenere le distanze.
Si parte dall'immediato, dalla collaborazione sulla gestione della fase lavorativa in presenza del Coronavirus fino ad ipotizzarla a tutto campo, permanentemente. I Car dovrebbero riunire “Rsu, Rls, esperti esterni, impresa” per iniziare a preparare una trasformazione dell'ambiente di lavoro e del modo di lavorare, senza precedenti. “Pronti come Sindacato a fare la nostra parte, a costruire, attraverso la partecipazione, proposte specifiche, ma anche un grado di impegno e di sforzo perché la ripresa è interesse dei lavoratori”. I lavoratori e i sindacati dovrebbero “sfidare” le aziende, chiamandole a “uno sforzo di confronto e collaborazione”. Siamo certi, conclude Genovesi, “che tanti imprenditori e rappresentanti istituzionali potrebbero accettare questa sfida. Noi faremo di tutto, perché sia così”.
E così si appella a quegli stessi industriali che hanno mandato nelle fabbriche i loro dipendenti senza alcuna protezione, minacciato chi si opponeva a lavorare a produzioni non essenziali o senza sicurezza, che hanno partecipato in prima fila alla privatizzazione della sanità trasformandola in azienda privata che deve dare profitto. Gli “imprenditori” indicati dal segretario della Fillea Cgil che ancora oggi, dopo migliaia di morti, attraverso le loro associazioni di Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, e con il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi, continuano a intimare a governo e sindacati la riapertura totale.
Oppure confidare nel Governo, Regioni, Province, sindaci che sono stati conniventi con i capitalisti ritardando le chiusure e gestendo l'emergenza in modo tale, finché è stato possibile, di non intaccare i profitti dei capitalisti. Fidarsi del leghista Fontana che vuole riaprire la Lombardia nonostante la gestione catastrofica della pandemia nella sua regione? O del suo compare di partito Zaia che unilateralmente e contro la logica dei numeri ha detto: “il Veneto è pronto a ripartire anche prima del 4 maggio”?
Nessuno vuole andare nelle aziende ad ammalarsi, non lo vogliono i lavoratori e naturalmente neanche i marxisti-leninisti. Ma una proposta di questo genere, e a maggior ragione in un momento come questo, più che uno stop o un avvertimento agli industriali è un lasciapassare vero e proprio, un assist a quella Confindustria e a quei governatori regionali che un giorno sì e l'altro pure premono per riaprire tutte le attività, come se la pandemia fosse già alle spalle. Cosicché, gli industriali sono pronti e Cgil-Cisl-Uil chiedono solo di essere coinvolte, mentre il governo può dare il via.
Già ci sono stati accordi in questo senso, seppur senza la costituzione ufficiale dei Car, in un settore non certo essenziale, quello dell'automotive: alla Marelli, FCA e Ferrari. Controllo temperatura, turnazioni, distanze e alla fabbrica di Maranello anche un'applicazione per monitorare i contatti di eventuali affetti da Coronavirus, ma che potrà servire per spiare la vita dei lavoratori.
Le associazioni degli industriali del marmo e i sindacati Feneal-Uil, Filca-Cisl, Fillea-Cgil, hanno firmato un protocollo per stabilire le misure anticontagio in vista della riapertura che prevede l'istituzione dei Car, come si legge sulla rivista on-line della Cgil, Rassegna.it, che sottolinea: “Il testo ha il merito di andare oltre però le mere misure specifiche per la salute dei lavoratori, individuando un nuovo approccio nell’organizzazione del lavoro, innovando i modelli di relazioni industriali nel solco già tracciato dal contratto nazionale sottoscritto ad ottobre. La ripresa produttiva dovrà essere caratterizzata da una forte collaborazione tra le parti”.
Non si tratta quindi di una decisione improvvisa limitata o dettata dall'emergenza Coronavirus, ma della conferma e dell'ampliamento di una tendenza già contenuta negli ultimi rinnovi contrattuali. Si tratta di una linea cogestionaria che la Cgil ha oramai sposato da tempo, allineandosi sulle posizioni di Cisl e Uil. Non a caso nell'intervento già citato, il segretario della Fillea-Cgil si richiama a due articoli della Costituzione mai attuati, il 39 (Rappresentanza) e il 46 (Partecipazione). Il 39 che permette allo Stato di decidere quale sindacato investire del diritto alla contrattazione (escludendo tutti gli altri), il 46 che “riconosce” ai lavoratori il diritto a “collaborare” con le aziende, ovvero favorire la produzione, mettere in secondo piano le proprie rivendicazioni e rinunciare persino al diritto di sciopero.
Comitati come i Car, costituiti da lavoratori e padroni per collaborare assieme, richiamano direttamente il corporativismo storico di origine fascista. Un modello dove i lavoratori non sono autonomi, ma subordinati all'interesse padronale e a quello più generale dello Stato. Un sistema che riconosce le differenze di classe ma non il conflitto tra le classi, che devono cooperare, ognuno dalla sua posizione dominante o subordinata, in nome di un inesistente “interesse nazionale”.
Quindi “un nuovo modello di relazioni industriali”, come afferma significativamente la rivista della Cgil che di conseguenza richiede anche un sindacato adeguato. Ovvero non un soggetto che si fa portatore degli interessi dei lavoratori, ma un sindacato di stato, istituzionale, mediatore, che abbia come obiettivo principale quello di aiutare lo sviluppo delle imprese capitalistiche e più in generale quello dell'imperialismo italiano nella competizione internazionale.
Un modello che stava alla base delle relazioni del lavoro nel ventennio mussoliniano e del peronismo argentino (e anche del nazionalsocialismo) o, per restare ai nostri tempi, delineato dalle varie controriforme del lavoro degli ultimi decenni fino al Jobs Act e al “modello Pomigliano” tanto cari a Renzi e a Marchionne.
Respingiamo risolutamente i Car e il modello sindacale corporativista, gli interessi dei lavoratori non sono quelli dei padroni. Nella società divisa in classi non ci può essere condivisione con chi si arricchisce sul lavoro altrui, la solidarietà e la collaborazione ci devono essere ma all'interno della classe operaia e dei lavoratori per difendere i propri interessi. Come ha dimostrato la stessa emergenza Coronavirus senza i lavoratori tutto il sistema crolla; sono coloro che producono la ricchezza. Sono in grado di dirigerle le fabbriche, ma ciò può avvenire solo nel socialismo, dopo che il proletariato avrà conquistato il potere politico, e non nel capitalismo dove domina la borghesia.
 
 
 
 
 
 
 

29 aprile 2020