L'accordo definitivo sul piano anticrisi dell'UE imperialista rinviata al Consiglio europeo di giugno
Divergenze sul fondo per la ripresa: sarà basato sui prestiti o sui sussidi a fondo perduto? Ma già gli altri “pilastri” varati dall'eurogruppo, tra cui il Mes non saranno gratis
I popoli europei pagheranno il costo della crisi. L'Italia esca dall'UE

 
Alla fine della videoconferenza per affrontare la crisi della Covid-19, la quarta tenuta il 23 aprile dal Consiglio europeo, in una veloce dichiarazione il presidente del consiglio Giuseppe Conte sosteneva che questa riunione era stata “una tappa importante nella storia europea” perché aveva deciso di introdurre uno “strumento innovativo, il Recovery Fund, un fondo comune finanziato con titoli europei che andrà a finanziare tutti i Paesi più colpiti”; l'Italia era stata in prima fila a chiederlo e ha ottenuto di far passare “anche il principio che è uno strumento urgente e necessario”. “In Europa si avvicina un risultato storico per l'Italia”, chiosava il capogruppo PD al Senato, Andrea Marcucci. Dopo aver sbattuto nel muro dei no nella Ue con la posizione che rifiutava il Mes e reclamava i coronabond o gli eurobond, il governo Conte sbandierava un successo che è ancora tutto da vedere; intanto usciva dal vicolo cieco in cui si era cacciato per merito dell'aiuto determinante del presidente francese Emmanuel Macron che giusto una settimana prima aveva tirato fuori l'idea del Recovery Fund con la forma di trasferimenti di bilancio e non prestiti.
Gli altri strumenti finanziari approvati dal vertice sulla base dell'intesa raggiunta il 9 aprile dall'Eurogruppo sono prestiti che prevedono comunque forme di restituzione e peseranno sui bilanci futuri dei paesi che vi faranno ricorso, l'obiettivo perseguito dal gruppo dei paesi dai bilanci “virtuosi” guidato dalla Germania. Se il fondo per la ripresa sarà basato sui prestiti, come chiedono ancora esplicitamente Olanda e Austria, o su sussidi a fondo perduto per l'eccezionalità della crisi come ha chiesto la Spagna non è un aspetto secondario, non è stato ancora deciso e i 27 ne riparleranno dopo la presentazione della proposta ad hoc affidata alla Commissione europea. L'accordo definitivo sul piano anticrisi è rinviato al Consiglio europeo di giugno ma la sua partenza è al momento collegata all'approvazione del bilancio pluriennale 2021-2027, ancora in alto mare. Non poco per essere quello “strumento urgente” sbandierato da Conte mentre è altrettanto chiaro che al di là dei marchingegni finanziari che saranno applicati nella UE imperialista, il prezzo della devastante crisi economica che si profila dopo quella sanitaria sarà pagato dai popoli europei. Tanto basta per ribadire che le masse popolari italiane non hanno nulla da guadagnare se restano nella UE imperialista, tra gli amici “europeisti” di Conte e la destra sovranista degli amici di Salvini e Meloni, e che l'Italia esca dall'UE.
Le conclusioni della riunione del Consiglio europeo del 23 aprile erano affidate a una dichiarazione letta dal presidente del Consiglio europeo, il liberale belga Charles Michel, che dopo il fallimentare eurovertice del 26 marzo poteva tornare a parlare di rispetto dei “principi di solidarietà, coesione e convergenza”, che sono sostanzialmente formali nella UE imperialista, per aver deciso di adottare una tabella di marcia comune per la ripresa; un documento elaborato insieme alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che si basa sul bilancio pluriennale. Quel famigerato quadro finanziario pluriennale (QFP), valido per gli anni 2021-2027, che Michel sollecitava ad approvare rapidamente. Poteva intanto sbandierare l'intesa raggiunta il 9 aprile nella riunione allargata a 27 paesi dell'Eurogruppo e approvata dal Consiglio che dava il via libera al Mes, il meccanismo europeo di stabilità che senza le condizioni di restituzione previste dall'istituto se i prestiti sono finalizzati ai costi dell’emergenza sanitaria poteva disporre aiuti fino a 240 miliardi di euro, e al Sure, il fondo di sostegno delle casse integrazioni nazionali con una dotazione di 100 miliardi di euro. Gli interventi dei due istituti si sommavano ai prestiti di 200 miliardi di euro alle aziende da parte della Banca europea degli investimenti (Bei). Questi interventi, un pacchetto del valore di 540 miliardi di euro, saranno operativi dall'1 giugno. Quale possa essere l'efficacia di un intervento di queste dimensioni e che sarà attivato tre mesi dopo l'inizio dell'emergenza coronavirus è tutto da vedere; registriamo che intanto la Germania ha già stanziato più del doppio e in Francia il primo pacchetto di stimolo all'economia vale 350 miliardi di euro. Ossia i paesi capitalisti più ricchi spendono da soli quanto i 27 mettono a disposizione per tutti alla faccia dei principi di solidarietà e coesione.
Certo, come metteva in evidenza nella conferenza stampa la presidente della Commissione Von Der Leyen, la Ue ha messo in campo oltre 3 mila miliardi di euro fra i quali i 1.200 impiegati a partire dall'inizio di marzo nell'intervento della Banca centrale europea (Bce) a supporto dei titoli di Stato per ostacolare tracolli economici dei paesi più deboli già in questa fase. Ma si tratta pur sempre di prestiti, di finanziamenti con interessi da restituire, compresi quelli per le spese sanitarie del Mes che non sono affatto a fondo perduto ma da ricompensare con adeguate politiche di tagli di bilancio una volta finita l'emergenza.
La stessa soluzione potrebbe avere il Recovery Fund se prevalesse l'ipotesi della forma del prestito. Una ipotesi tanto cara al governo di destra dell'Aja che non intende mollare un euro di solidarietà ai partner europei che proprio in questi mesi hanno messo fine allo scandaloso regime di ben 25 anni di paradiso fiscale dell'Olanda che ha sottratto loro miliardi di euro di tasse; non è una caso che Amsterdam sia stata scelta come sede legale delle maggiori aziende di tutto il mondo, comprese quelle di Agnelli, Berlusconi, Fiat (Fca), la nuova Fca-Psa e Mediaset. Il governo olandese difende anzitutto gli interessi della borghesia nazionale allo stesso modo di quello francese con Macron che il 17 aprile ha tirato fuori il fondo per la ripresa dichiarando che l’Unione è arrivata “al momento della verità” e che i leader devono “decidere se è un progetto politico o solo un mercato. Io penso sia un progetto politico e quindi servono trasferimenti finanziari e solidarietà”. Ma più che alla solidarietà con i governi dei paesi mediterranei più colpiti dal coronabond Macron ha pensato alla necessità di consolidare un fronte costruito a partire dall'asse instaurato con l'Italia per contenere a fine crisi l'aumento del gap economico della Francia con la Germania che sbilancerebbe la guida imperialista della Ue verso Berlino. La Germania diventerebbe ancora più forte grazie alle risorse di cui dispone, ha potuto stanziare una cifra ben superiore a quella della Francia e degli altri paesi e dovrebbe avere a fine crisi un debito rispetto al pil intorno al 70% rispetto al 115% stimato per Parigi e al 155-160% per l'Italia.
La conferenza stampa del presidente Michel terminava con l'annuncio della prossima videoconferenza del Consiglio sui Balcani occidentali convocata per il 6 maggio, la data nella quale potrebbe essere pronta la proposta della Commissione sul fondo per la ripresa. La von der Leyen accennava a una possibile “soluzione ponte” in attesa del difficile varo del nuovo bilancio comunitario, una soluzione con una dotazione di 200 miliardi di euro e operativa dal primo gennaio 2021 e affermava che il progetto dovrà contemplare un “giusto equilibrio tra prestiti agli stati e sovvenzioni finanziarie senza restituzioni”. Come dire che si sta parlando di due spiccioli che arriveranno tra un anno e probabilmente non a fondo perduto ma da restituire, tutt'altro che la tappa storica per la UE contrabbandata da Conte.

29 aprile 2020