Il giornale fondato da Scalfari prono alla linea di FCA
Elkann licenzia Verdelli. Sciopera la Redazione
L'ex direttore di “Repubblica” da mesi è sotto attacco dei fascisti
Al suo posto il fedele atlantico e sionista Molinari

 
Cari lettori, Repubblica non sarà in edicola venerdì 24 aprile, giorno in cui anche il sito internet sarà fermo, a seguito dello sciopero deciso a larghissima maggioranza dai suoi giornalisti dopo la decisione del Cda del Gruppo Gedi di sostituire il direttore Carlo Verdelli come primo atto della nuova compagine proprietaria nel giorno del suo insediamento.
Così apre l'importante comunicato stampa del Comitato di Redazione di Repubblica, stilato a larghissima maggioranza all'indomani della cacciata del direttore Verdelli.
La denuncia è forte, ma nessuno dei quotidiani di regime l'ha rilanciata, neppure Repubblica cartaceo e trovando spazio solo su Repubblica.it. Si conferma così quanto Il Bolscevico – che aveva immediatamente solidarizzato con Repubblica e i suoi giornalisti – ha scritto più volte, puntando il dito verso l'isolamento al quale erano costretti i giornalisti, e in particolar modo il suo direttore costretto a vivere sotto scorta perché oggetto di continue minacce da parte di neofascisti e mafiosi.
Un isolamento di lunga data praticato soprattutto da chi avrebbe dovuto essere in prima linea; quei media stessi, in particolare i giornali, che avevano il dovere di intervenire in maniera puntuale e decisa, nel nome della libertà di informazione e della comune battaglia contro le canaglie nazifasciste e mafiose, le quali evidentemente non agivano isolate ma rispondevano direttamente ai poteri forti.
Invece tutta l'operazione è passata sostanzialmente sotto silenzio; un fatto di gravità assoluta che i colleghi di Verdelli sottolineano laddove non possono non notare che il licenziamento è avvenuto: ”proprio nel giorno indicato come data della morte del direttore Verdelli dagli anonimi che ormai da mesi lo minacciano, tanto da spingere il Viminale ad assegnargli una scorta. Una tempistica quanto meno imbarazzante .”
Due, ad oggi sono gli aspetti che più preoccupano il Comitato di Redazione: il primo riguarda il destino politico del quotidiano, mentre il secondo è relativo al nuovo piano industriale poiché secondo il sito “affari italiani”, dietro il cambio di direttore ci sarebbero motivazioni economiche, e Molinari sarebbe stato incaricato di ridurre di circa 150 unità l’organico (a fine 2019 pari a 2.221 dipendenti) e di procedere anche a un altrettanto ampio taglio di alcune redazioni regionali, tra cui quelle de La Stampa, Il Secolo XIX, Il Tirreno e Il Piccolo di Trieste. Va da sé che i presupposti per l'epurazione dei giornalisti scomodi ci sono tutte.
Ecco perché nel loro documento i giornalisti chiedono “un piano industriale che preveda investimenti e non ulteriori tagli ”, per poi riaffermare con orgoglio: “Repubblica non è e non è mai stato un giornale come tutti gli altri. Ha sempre avuto una identità forte espressa in una linea chiara. “ È un giornale d’informazione il quale anziché ostentare una illusoria neutralità politica, dichiara esplicitamente di aver fatto una scelta di campo”. Sono le parole usate dal fondatore Eugenio Scalfari nel suo primo editoriale del 1976. Parole che valevano allora. E valgono a maggior ragione oggi.
 

Scalfari interviene ma se ne lava le mani
Poco dopo esser stato sollevato dall'incarico, Verdelli ha scritto pubblicamente una lettera ai lettori – anch'essa pubblicata solo su Repubblica.it - dove sottolinea con forza lo “spirito” del quotidiano, la sua “scuola di giornalismo” condivisa nei mesi di direzione con i precedenti direttori Ezio Mauro e Calabresi e con Scalfari, chiudendola con una frase altamente significativa: “Partigiani si nasce, e non si smette di esserlo ”. Un messaggio di rivendicazione antifascista chiaro e forte, un allerta inconfondibile, anche stavolta occultata dal completo silenzio dei media.
Scalfari, il fondatore e firma di punta del quotidiano romano chiamato direttamente in causa, non ha gradito la decisione della nuova proprietà e in una intervista rilasciata al Fatto quotidiano , ha salutato Verdelli, definendolo “il direttore liquidato, fatto fuori, cacciato in maniera brutale ”, e ha voluto “porre alcune condizioni ambientali per il futuro per il nostro giornale ”, non risparmiando critiche agli Elkann e a Molinari, rei di non avergli ancora neppure telefonato.
Lo spostamento di Repubblica ancora più a destra è ormai cosa fatta, l'avvio di una nuova fase di totale allineamento con le volontà padronali è alle porte; ma nonostante ciò Scalfari annuncia di non voler lasciare il giornale continuando a inviare ancora i suoi pezzi, lavandosi le mani seppur con stizza, ed evitando opportunisticamente di denunciare, e trarne le conseguenze, la decisione di porrenanche Repubblica sotto il tallone di ferro del nuovo padrone Elkann. Un po' poco per un personaggio ritenuto il padre di Repubblica , al quale è stato tolto “un figlio”. Ma d'altra parte l'opportunismo è stato una costante della sua vita, da quando, studente universitario, firmava articoli per “Roma fascista”, organo dei GUF, e per altri fogliacci fascisti, passando poi per le sue vicinanze con i liberali nel dopoguerra, poi con i radicali ed infine con i socialisti, prima di fondare Repubblica .
Quando, sotto la guida di Scalfari, Repubblica con merito apre il filone investigativo sul caso Enimont che dopo due anni verrà in buona parte confermato dall'inchiesta di “mani Pulite”, Scalfari se la prende a ragione contro Bettino Craxi, ma non approfondisce mai il ruolo di Spadolini, leader repubblicano, ex-Presidente del Consiglio (il primo non democristiano) ed in quegli anni nominato senatore a vita.
Quanto a Verdelli, è stato liquidato senza pietà dalla nuova proprietà perché evidentemente sarebbe risultato d'intralcio per la doppia operazione di risparmiare sui costi tagliando gli organici e di normalizzare il quotidiano mettendolo al servizio di quei poteri forti e della grande borghesia che strizzano l'occhio a futuri governissimi e a una feroce politica di lacrime e sangue per uscire dall'emergenza coronavirus.
 

È morto il quotidiano della borghesia di “sinistra”
Il giornale della borghesia di “sinistra”, d'ispirazione – per dirla con le parole di Scalfari - “liberal-socialista” che negli anni Settanta guardava al PCI e alla sinistra della DC, adesso è in mano a Maurizio Molinari, atlantista, filosionista ed ex-repubblicano, ma non è la sola firma importante con l'edera nel cuore.
L'inquietante sodalizio degli ex-repubblicani è la testa d'ariete di questa operazione: Molinari direttore, il già citato Stefano Folli – incompatibile con Verdelli - principale notista politico e Oscar Giannino ai microfoni di Radio Capital (sempre gruppo Gedi) al fianco del suo direttore Giannini da qualche mese, il tutto sotto il segno della famiglia Agnelli che era notoriamente vicina al PRI, il partito italiano più atlantista, filo americano e filo sionista, punto di riferimento anche della Massoneria italiana da sempre compromessa con logge e settori golpisti e anticomunisti.
Molinari, professionalmente, nasce con Folli che all’inizio degli anni Ottanta è direttore de “La Voce ” repubblicana, con Giovanni Spadolini direttore politico, mentre Molinari diviene corrispondente da Gerusalemme per il giornale del Partito Repubblicano dove professa le sue tendenze sioniste di concerto con Ugo La Malfa (direttore dal 1987) che non si stancava mai di ricordare che “La libertà dell’occidente s’inizia a difendere sotto le mura di Gerusalemme”.
Folli e Molinari si ritrovano poi anche a “Il Tempo”, giornale storico della destra reazionaria e fascista romana, prima di approdare il primo al “Corriere della Sera”, e il secondo a “La Stampa” degli Agnelli dove, dopo un decennio da corrispondente dagli USA, ne diviene direttore.
Su “La Voce ” ha scritto anche l'imbroglione Oscar Giannino, allora capo dei giovani repubblicani legatissimo al figlio di La Malfa, già editorialista de Il Foglio , Libero e fondatore del partito ultralibertista e federalista “Fare per fermare il declino ” che alle politiche del 2013 si contraddistinse per lo scandalo delle lauree inventate dei suoi leader - fra i quali lo stesso Giannino - che ora è co-conduttore di uno dei programmi di punta della radio che condivide da tempo i destini del quotidiano Repubblica .
Tornando a Folli, è importante non dimenticare che costui è il figlioccio di Randolfo Pacciardi, a capo dell'ala destra del PRI, anticomunista, massone, esperto di “poteri non riconosciuti” e candidato (segreto) nel 1974, a diventare il primo ministro del governo di salute pubblica che avrebbe dovuto prendere la guida dell’Italia dopo il “golpe bianco” di Edgardo Sogno, che lo raccomandò a “Il Giornale ” diretto dall'anticomunista Indro Montanelli.
Insomma, quali elementi mancano per poter affermare con sufficiente sicurezza che la grande borghesia di destra, industriale, legata a doppio filo con la massoneria, si è impossessata anche di Repubblica , organo che fino ad oggi, pur non rappresentando un punto di vista alternativo al sistema capitalista e già nelle mani della borghesia “riformista”, aveva mantenuto una linea editoriale attenta ai valori dell'antifascismo?
Un giro di vite ulteriore dunque a quel poco che rimane della libertà di informazione, che si è potuto concretizzare anche grazie al silenzio degli altri giornali che hanno abbandonato a se stessi i colleghi di Repubblica ed in particolare il suo ex direttore Verdelli, divenendo così preziosi alleati del destro progetto degli Elkann e di FCA.
Che ne sarà non lo sappiamo, anche se ce lo possiamo immaginare dati i presupposti: il nostro timore è che per i giornalisti di Repubblica , a partire da Berizzi, Palazzolo e altri, ai quali la nostra testata ha prontamente espresso piena solidarietà per gli attacchi subiti dai fascisti e dai mafiosi, saranno tempi duri. A quell'imbarazzante silenzio intorno all'escalation fascista e mafiosa contro di loro è seguito il licenziamento di Verdelli e la normalizzazione di Repubblica : si tratta oggettivamente di un'operazione a tenaglia che aveva lo stesso nero obiettivo.
Il nostro auspicio è che i giornalisti conseguentemente antifascisti non si lasceranno intimidire e si opporranno all'omologazione di destra della stampa.

6 maggio 2020