Caporalato in Romagna: 50 euro alla settimana ai richiedenti asilo
Ma ben 200 euro al mese erano trattenuti dai caporali per “vitto e alloggio”

Dal corrispondente della Cellula “Stalin” di Forlì
Non è la prima volta, e purtroppo non sarà nemmeno l'ultima. Ciò non toglie che l'ennesimo caso di caporalato emerso nelle campagne dell'Emilia-Romagna, e in questo caso di Forlì, Rimini e Ravenna, è comunque un vergognoso frutto del sistema capitalistico e della sua ignobile ricerca del massimo profitto a danno dei più elementari diritti. Ancor più ignobile quando a finire tra le grinfie di questi sfruttatori senza scrupoli sono i più indifesi e ricattabili, cioè migranti richiedenti asilo, scampati dalla fame e dalla guerra nel loro paese per trovare condizioni di fame e la guerra per la sopravvivenza nel nostro.
Al termine di un'indagine iniziata lo scorso settembre e terminata a febbraio di quest'anno (quindi nulla c'entra la difficoltà a trovare manodopera a causa delle restrizioni per il coronavirus, la cui diffusione è cominciata successivamente) la Squadra mobile di Forlì ha provveduto all'arresto di 4 “caporali” pachistani e alla denuncia di 8 italiani a piede libero.
I titolari di 6 aziende agricole romagnole site in Forlì, a Castrocaro (in provincia di Forlì), San Clemente e San Giovanni in Marignano (in provincia di Rimini) e a Bagnara di Romagna (in provincia di Ravenna) appaltavano alcune lavorazioni come la raccolta di frutta e verdura e la potatura degli alberi ai caporali, che avevano costituito false ditte individuali, con prezzi al ribasso rispetto a quelli di mercato anche del 30/40%, in parte corrisposto in nero.
Ai 45 lavoratori, tutti richiedenti asilo, reclutati addirittura direttamente nei “centri di accoglienza”, andavano appena 50 euro al mese per 60/80 ore di lavoro settimanale, nonostante la contrattazione nel settore agricolo di ore di lavoro ne preveda un tetto massimo di 44. Infatti ai 250 euro che avrebbe costituito la già misera e illegale “retribuzione” i caporali trattenevano ben 200 euro per “vitto e alloggio” che consisteva in un dormitorio in casolari lontani dai centri abitati con materassi a terra, senza acqua calda e con poco cibo.
I caporali tenevano i lavoratori migranti con le minacce e le intimidazioni, giornalmente portati sul “lavoro” e costantemente controllati, vietando loro persino i bisogni fisiologici durante il lavoro.
Dalle testimonianze dei lavoratori supersfruttati fornite agli inquirenti emerge chiaramente la situazione di ricatto e minacce: “Se io potessi me ne andrei subito, ma mi farebbe terra bruciata intorno, non lavorerei più. Non ho alternative. Se lui sapesse che io ho detto la verità sarei in pericolo e lo sarebbe anche la mia famiglia in Pakistan".
E mentre le istituzioni regionali esprimono il loro “sdegno”, come se non fosse anche loro la responsabilità di una situazione che solo saltuariamente emerge ma che non è certo nuova, i sindacati non vanno al di là che definire “intollerabili i ritardi sull'applicazione della Legge 199/2016 (legge contro il caporalato), che deve essere applicata in tutte le sue parti, in particolare sui temi del collocamento, alloggi e trasporto” da parte di un'amministrazione, quella uscita dalle elezioni regionali dello scorso 26 gennaio, presieduta dal PD Bonaccini (così come quella precedente con la quale è in perfetta continuità) e che vede come neoassessore allo Sviluppo economico, Green economy, Lavoro e formazione, l'ex vicesegretario nazionale della Cgil Vincenzo Colla, l'ennesima commistione tra sindacati collaborazionisti e istituzioni borghesi che nessun beneficio ha mai portato se non ai sindacalisti arrivisti, alle istituzioni borghesi alle quale viene garantita copertura a “sinistra” e agli sfruttatori, “legali” o illegali che siano, che hanno per la libertà di arricchirsi ai danni delle masse lavoratrici e popolari.
 

6 maggio 2020