“Manifesto femminista transnazionale per uscire insieme dalla pandemia e cambiare il sistema”

Pubblichiamo ampi estratti dell'importante manifesto femminista transnazionale scritto e condiviso da transfrorentizas, uno spazio internazionale a cui aderiscono collettivi, movimenti, organizzazioni e reti femministe, transfemministe, antipatriarcali e antirazziste, come Non una di meno, che lo ha rilanciato in Italia. Pur non condividendo alcune posizioni del movimento riteniamo importante il loro invito a unire le forze “per non tornare alla normalità” che per le femministe è “patriarcale oppressiva”. Siamo pienamente d'accordo “a mobilitarsi e ad unirsi” come sostiene il manifesto femminista “perché se ci uniamo possiamo non solo uscire dalla pandemia, ma cambiare tutto”. Noi siamo pronte/i a unire le forze per lottare, oggi, contro il governo Conte e le sue misure antisociali, antifemminili e di restringimento delle libertà e della democrazia borghese che vanno nella direzione di rafforzare il regime capitalista neofascista. Quello stesso regime capitalista responsabile delle disuguaglianze sociali, territoriali fra cui anche quella fra donna e uomo che se vogliamo “cambiare tutto” va inevitabilmente abbattuto e sulle sue macerie ricostruita l'Italia futura, che per noi marxiste-leniniste vedrà il dominio del proletariato e del socialismo.
 
 
Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema: il movimento femminista e transfemminista globale non si arrende all’isolamento imposto da questa nuova crisi globale, sanitaria, economica ed ecosistemica e non metterà a tacere le sue lotte di fronte alle misure restrittive che i nostri paesi stanno attuando per affrontare il Coronavirus. In tutto il mondo ci sono donne e persone LGBTIQ* che rifiutano di sottomettersi alla violenza esacerbata dalla pandemia globale e che cominciano a organizzarsi intrecciando le loro pratiche ribelli, potenziate dagli ultimi
anni di scioperi femministi globali.
Questa crisi evidenzia e intensifica la violenza e le gerarchie del patriarcato, del capitalismo e del colonialismo così come le loro radici strutturali di oppressione, diseguaglianza e sfruttamento contro cui abbiamo sempre lottato e continueremo a lottare. È proprio nelle tensioni e nelle fratture aperte da questa crisi che emergono nuove forme di resistenza e di solidarietà, di cui facciamo parte e a cui vogliamo partecipare e far risuonare globalmente attraverso la nostra voce collettiva, affinché insieme si possa uscire dall’isolamento e scardinare i paradigmi dominanti, affermando conoscenze e pratiche femministe, transfemministe e antipatriarcali. Il Coronavirus colpisce tutte e tutt*, ma gli effetti della pandemia sono diversi, ancor più se li guardiamo da una prospettiva transnazionale che parte dalle nostre posizioni di donne e soggettività libere.
Ci è stato detto di stare a casa, senza considerare che le case non sono luoghi sicuri per molte di noi e che ci sono persone che non hanno nemmeno una casa. I femminicidi e la violenza contro le donne e le persone LGBTIQ* si sono intensificati dall’inizio di questa crisi, e le misure di quarantena e di coprifuoco hanno reso ancora più difficile ribellarsi alla violenza maschile e di genere e affermare la nostra volontà di libertà e di autodeterminazione.
La crisi sta mettendo sotto attacco le diverse condizioni materiali della riproduzione, intensificando e precarizzando maggiormente il lavoro produttivo e riproduttivo delle donne e delle persone LGBTIQ*: questi lavori, che sono sempre stati invisibilizzati e sfruttati, ora si mostrano in tutta la loro necessità, rendendo evidente la centralità politica che hanno e che abbiamo sempre affermato.
Da un lato, il sistema patriarcale scarica sulle donne l’assistenza e la cura degli anziani e dei bambini, aumentando ancora di più il peso del lavoro domestico. D’altro lato, ci sono molte donne che occupano la prima linea in questa emergenza - infermiere, mediche, addette alle pulizie, cassiere, operaie, farmaciste - lavorando in condizioni pericolose per la loro salute, con orari estesi e spesso con salari miseri.
I lavori domestici e di cura, così come molti lavori precari o informali, sono spesso svolti da donne migranti, afro-discendenti, nere o indigene che non solo sono ora licenziate e non hanno la possibilità di mantenersi o di pagare le spese mediche, ma si trovano anche senza permesso di soggiorno, più vulnerabili agli attacchi razzisti e più esposte alle conseguenze sanitarie ed economiche del contagio, poiché spesso vivono nelle zone più popolate e povere.
Così, da un lato, le nostre vite vengono sacrificate per sostenere questa crisi, mentre dall’altro, i corpi e le vite che non sono valorizzabili per il profitto, come quelli delle persone disabili, vengono semplicemente invisibilizzati.
(…) Il neoliberismo mostra il suo volto più brutale nella militarizzazione e nella securizzazione degli spazi urbani e rurali e dei territori recuperati dalle comunità indigene da parte delle forze armate che approfittano dell’emergenza e della fragilità democratica dei governi per mettere a tacere ogni traccia di rivolta, criminalizzare le reti di solidarietà che stanno emergendo e garantire la catena di comando di Stati che diventano sempre più autoritari e repressivi.
E, infine, diventa ancora più evidente che non è possibile accettare la devastazione ambientale ed ecosistemica che, subordinando tutte le specie viventi e le risorse naturali alle esigenze di profitto del capitale, favorisce quegli stessi squilibri che hanno permesso la diffusione del Coronavirus.
La pandemia sta mettendo a nudo l’insostenibilità dell’organizzazione capitalistica, patriarcale e coloniale della società così come la crisi preesistente del neoliberalismo. La nostra lotta non deve mirare solo alla nostra sopravvivenza di fronte al contagio, ma deve trovare soluzioni alle immense conseguenze che questo avrà sulle nostre condizioni economiche e materiali.
Riteniamo che le risposte dei governi siano del tutto insufficienti e rifiutiamo tutte le politiche che continuano a finanziare le aziende invece della sanità e approfittano della pandemia per consolidare progetti estrattivi.
Sebbene le misure statali siano eterogenee, la risposta capitalistica alla crisi segue la stessa logica in tutto il mondo: anteporre i profitti alla nostra vita, scaricando su di noi i costi di questa crisi e producendo effetti a lunga durata.
Non vogliamo uscire da questa “emergenza” ancora più indebitate e impoverite!
Vogliamo un’uscita femminista transnazionale dalla crisi per non tornare a una “normalità” basata sulla disuguaglianza e sulla violenza.
(…) Dalle nostre diverse condizioni materiali, pluralità di linguaggi, eterogeneità di pratiche e complessità dei discorsi, ci impegniamo a sostenere, rafforzare e intrecciare le nostre lotte, resistenze e forme di solidarietà, così come quelle che stanno emergendo spontaneamente a livello globale e che sono centrali per rilanciare la nostra iniziativa futura. Quello che lo sciopero femminista globale ci ha insegnato in questi quattro anni è che quando siamo insieme accumuliamo la forza necessaria a ribellarci alla “normalità” patriarcale e oppressiva e ora più che mai dobbiamo muovere le nostre milioni di voci nella stessa direzione per evitare la frammentazione che la pandemia ci impone.
In questo momento non possiamo inondare le strade con la nostra potenza femminista, ma continueremo a gridare tutta la nostra rabbia contro la violenza di un sistema che ci sfrutta, ci opprime e ci uccide, indicando i colpevoli, per poter tornare ancora più numerose a prendere la prima linea.
Non fermeremo questo processo di liberazione femminista e transfemminista transnazionale che stiamo tessendo in modo collettivo ed espansivo, e continueremo a lottare per costruire la vita che vogliamo e desideriamo vivere.
Invitiamo tutte e tutt* coloro che rifiutano la violenza patriarcale, lo sfruttamento, il razzismo e il colonialismo a mobilitarsi e ad unirsi per arricchire e rafforzare la lotta femminista globale, perché se ci uniamo possiamo non solo uscire dalla pandemia, ma cambiare tutto.

6 maggio 2020