“Il Manifesto” trotzkista sdraiato a difesa del dittatore Conte

 
È paradossale, ma altrettanto evidente che oggi a sostenere a spada tratta il governo Conte 2 e i partiti che lo compongono sono proprio quei quotidiani che si spacciano davanti all'opinione pubblica per alternativi ed esterni al Palazzo.
Il Fatto Quotidiano , fondato da Padellaro nel 2009 per rilanciare una “informazione senza padroni”, ma che da tempo rilancia le posizioni trasformiste e destrorse del Movimento 5 Stelle, e Il Manifesto sedicente comunista imbriglia nel trotzkismo della peggior specie i suoi lettori, fanno oggi a gara nel difendere l'operato del governo giustificandolo e appoggiando persino i suoi decreti liberticidi nel nome dell'emergenza Coronavirus.
Una gara allo “scavalco” a destra, alla quale Il Manifesto , quotidiano diretto da Norma Rangeri, nell'ultima settimana, ha tirato uno strappo decisivo rilanciando prima con grande enfasi ed entusiasmo l'appello “Basta con gli agguati”, poi sottolineandone l'adesione con un pezzo a firma di Luciana Castellina pochi giorni dopo.
 

L'appoggio all'appello a difesa di Conte
“Dopo la conferenza stampa del 26 aprile - scrive Il Manifesto -, l’accanimento ha raggiunto livelli insopportabili (...) e molti fanno di tutto per accreditare un Conte poco autorevole e drammaticamente non all’altezza della situazione, oppure un Presidente del Consiglio che si atteggia quasi a dittatore calpestando i diritti e la Costituzione”, definendo queste dichiarazioni come artificiose ed irresponsabili, e identificando a torto nella sola destra il mandante di tali pressioni.
Grave, a nostro avviso, l'affermazione: “Il governo Conte non è il migliore dei possibili governi, sempre che da qualche parte possa esistere un governo perfetto”, che sostanzialmente riassume la dimensione riformista e borghese del quotidiano che giustifica nel nome dell'inevitabile “imperfezione” la necessità di accontentarsi di quel che passa il convento senza un minimo accenno - neppure distorto come Il Manifesto ci ha abituati - di una qualche analisi di classe . “La rivoluzione non russa” invocata da una prima pagina storica di quel quotidiano si riferiva unicamente all'aggettivo russo-sovietico giacché la loro rivoluzione più che non russare è morta e sepolta da sempre e lo confermano queste parole inaccettabili per chi si professa comunista e poi si riduce a difendere a spada tratta un governo borghese “quasi perfetto”. Un pretesto odioso e ripugnante che ci richiama da vicino un altro famigerato slogan caro agli opportunisti trotzkisti, invocato al tempo per far ingoiare il rospo a quell'elettorato che stava prendendo coscienza del tradimento revisionista e si orientava verso l'astensionismo: “Votate un qualsiasi partito della sinistra parlamentare turandovi il naso”.
 

Il concetto di “dittatura” per le penne de Il Manifesto
L'incertezza scientifica del momento e la situazione “eccezionale” nella quale il Covid19 ci ha relegati sono i pretesti che servono alla redazione per coprire da sinistra l'azzeramento della stessa democrazia borghese, dei diritti costituzionali e della rappresentanza e l'esautorazione del parlamento che sono stati oggetto di denuncia anche di noti costituzionalisti e da tanti altri democratici di sinistra.
Secondo Il Manifesto , non si dovrebbe tacciare di alcunché il governo del dittatore Conte perché “niente ha intaccato la libertà di parola e di pensiero degli italiani e comunque il governo non è parso abusare degli strumenti emergenziali previsti dalla Costituzione”, e allora - aggiungiamo noi - secondo questo principio che trasuda opportunismo, quale governo del dopoguerra in Italia potrebbe essere etichettato come tale? Nessuno, poiché mai nessuno, formalmente, ha inciso su tale diritto. Un “bomba libera tutti” dal punto di vista storico che sdogana tutti gli esecutivi anticomunisti della destra DC fino a quelli illegali di Berlusconi e del fascista Salvini incluso. Secondo Il Manifesto sono queste due caratteristiche, il rispetto dei brandelli costituzionali non ancora spazzati via e la formale – perché la sostanziale è rimasta solo ai borghesi – libertà di pensiero e di parola, a separare la “democrazia” dalla dittatura. Ecco un nuovo regalo non solo al governo, ma soprattutto al rafforzamento della cultura e della omologazione borghesi tra quanti guardano a sinistra.
La difesa d'ufficio di Conte si spinge al punto di esaltare quanto esso “abbia operato con apprezzabile prudenza e buonsenso”, nonostante “molte di tali difficoltà dipendono infatti dallo stato di decadimento di gran parte del sistema sanitario, frutto di anni di scelte dissennate di privatizzazione e di una regionalizzazione sconsiderata e scoordinata. E invece sembra che tutto il male origini in questo governo, spesso bersaglio di critiche anche volgari e pretestuose, veicolate dai media”. Non una parola, per dirne una, sulle sue gravi responsabilità nella gestione dell'emergenza se è vero che i protocolli di prevenzione della pandemia esistenti e presi in considerazione due mesi dopo la nota dell'OMS del 5 gennaio avrebbero consentito un reperimento congruo di dispositivi di sicurezza individuale la cui assenza ha mandato centinaia di operatori sanitari al macello negli ospedali.
Non stupendosi della condotta della destra populista (e ci mancherebbe), Il Manifesto se la prende soprattutto con quei democratici liberali, “i grandi paladini della democrazia e della Costituzione, i cui show disinvolti e permanenti non fanno proprio bene al Paese, anzi lo danneggiano” poiché, in effetti, come può un liberale non sostenere questo governo? In questa frase trasuda tutto l'interclassismo dei redattori del quotidiano trotzkista, ai quali bisognerebbe chiedere che cosa intendono con “il bene del Paese”, formula generica che finisce per fare ancor più confusione fra le masse, declinando il concetto della via unica per coltivare gli interessi di “tutto il Paese” indipendentemente dalle divisioni in classi.
 

L'articolo di Luciana Castellina prostra il quotidiano ai piedi di Conte
Probabilmente il messaggio lanciato non era ancora abbastanza chiaro, e allora il compito di rafforzare il concetto se l'è preso una delle prime firmatarie dell'appello stesso, la rinnegata Luciana Castellina, attraverso un editoriale pubblicato qualche giorno dopo dal titolo “Migliaia di firme non solo sul governo ma sulla libertà”, nel quale esalta le 15.000 firme raggiunte in pochi giorni dalla petizione, e smaschera definitivamente la posizione del quotidiano a sostegno del governo del dittatore Conte.
Ai lettori de Il Manifesto è toccato ingoiare anche una nuova declinazione del termine “compagni”, che “ormai da moltissimo tempo, ha assunto un significato diverso da quello restrittivo che io stessa le ho dato a lungo per indicare, ora, un insieme di valori e di pratiche di vita che mi fanno sentire chi li condivide, umanamente ancor prima che politicamente, vicini”, così come la pelosa affermazione di felicità per aver sottoscritto l'appello di concerto con un'area estesa e variegata, riformista e borghese aggiungiamo noi.
Da vecchia volpona della sinistra parlamentare costei sembra criticare il ricorso agli “appelli”, quando invece occorrerebbe mobilitarsi in varie forme, per ammettere subito dopo che “L’appello in questione è diverso” poiché si limiterebbe a suggerire una riflessione non solo sul governo ma su cosa sarebbe in realtà la libertà, prendendosela poi con le “inaccettabili” insofferenze presenti nella sua stessa area di sinistra verso le misure restrittive imposte poiché non sarebbero “lesioni di un nostro diritto”.
Si dice contenta che “le occasioni di contagio siano ridotte al minimo”, ma dimentica che non è stato così per i medici, gli infermieri, e i milioni di lavoratori che non si sono mai fermati, i primi per rimediare al tracollo della sanità capitalistica e privata che lei stessa con i suoi molteplici partiti anche di governo non è stata capace di contrastare, mentre i secondi per continuare a far andare la ruota dei profitti privati delle aziende. Forse lo dimentica perché il suo pezzo gronda di qualunquismo e opportunismo da ogni parola.
Nel definirsi orgogliosamente “veterocomunista” conclude confessando: “continuo a preferire i partiti alla piattaforma Rousseau”. Un maldestro tentativo per coprire di essere oramai stata arruolata in pianta stabile al servizio del governo del dittatore antivirus Conte. Un destino che la accomuna a tutti gli opportunisti. In tempi normali si atteggiano e si pavoneggiano nell'opposizione di sua maestà, ma nei momenti critici, quando si tratta di scegliere o col proletariato o colla borghesia, finiscono sempre per smascherarsi e tradire passando armi e bagagli col nemico di classe.

13 maggio 2020