Prima uscita del nuovo presidente della Confindustria
Bonomi vuole tutto per le imprese e niente per i lavoratori
Invoca accordi sindacali “al di là delle norme contrattuali”

Le prime uscite del presidente designato di Confindustria Carlo Bonomi non lasciano dubbi: colui che dal 20 maggio subentrerà ufficialmente a Vincenzo Boccia (anche se nei fatti l'avvicendamento è già avvenuto) appartiene alla categoria dei falchi poco inclini al compromesso. Non che ci aspettassimo che alla guida degli industriali arrivasse qualcuno in vena di fare concessioni anziché l'interesse esclusivo dei padroni, ma le dichiarazioni dell'ex presidente di Assolombarda chiariscono fin da subito che verrà messa in campo una politica di attacco ai diritti dei lavoratori che richiama alla mente il famigerato “modello Marchionne”.
 

Lo Stato non deve aiutare chi ne ha bisogno
Subito dopo il Primo Maggio Bonomi ha rilasciato alcune dichiarazioni e interviste al Corriere della sera e alla trasmissione de La7, Piazza Pulita , che ci fanno capire quale sarà l'agenda che i padroni intendono dettare a governo, lavoratori e sindacati nei prossimi mesi. Nella sua intervista al Corriere il neo presidente parte subito all'attacco delle misure messe in campo dal governo Conte destinate a operai, impiegati, disoccupati, artigiani, e a tutte le persone in difficoltà a causa delle conseguenze del Coronavirus. Provvedimenti che noi reputiamo del tutto insufficienti ma che lui invece giudica fin troppo generosi.
“Abbiamo reddito di emergenza, reddito di cittadinanza, cassa ordinaria, straordinaria, in deroga, Naspi, Discoll… Potrei continuare”, sbotta il nuovo inquilino di Viale dell'Astronomia (la sede di Confindustria). Tutti soldi a pioggia buttati al vento che non servono a niente, soprattutto non vanno agli industriali; tra due o tre mesi finiranno e la situazione sociale ed economica sarà ancora più drammatica. Insomma, niente soldi dello Stato (cioè pubblici) per aiutare chi non riesce ad andare avanti, dal suo punto di vista questo è assistenzialismo. I 25 miliardi del decreto Aprile? “Non c’è niente sull’industria. - tuona Bonomi - Prevale la logica del dividendo elettorale garantendo nel brevissimo periodo un po’ di soldi a ciascuna categoria sociale”.
 

Agevolare le aziende
Invece loro sì, gli industriali hanno proposte valide: “peccato che al governo difetti la volontà di ascoltare. Ho l’impressione che ci si prepari fin d’ora a scaricare le responsabilità su banche e imprese. Non lo permetteremo”. Bonomi sa benissimo che il capitale finanziario e industriale non è in alcun modo insidiato dalla politica del governo Conte, ma intanto le sue minacce servono a fare pressione sull'esecutivo affinché nel prossimo “Decreto Rilancio” che si appresta a varare le attenzioni e le risorse siano destinate esclusivamente alle aziende.
Ed eccoci alle richieste: “Chiediamo che si sblocchino tutte le opere pubbliche già finanziate. Inoltre, sia gli incentivi di industria 4.0 e sia i pagamenti dei debiti che lo Stato deve alle imprese devono trasferirsi in liquidità immediata, cioè con una detrazione sulle imposte che si pagano quest’anno”. Tutte rivendicazioni che, stando alle indiscrezioni, il governo si appresta a soddisfare con il prossimo decreto.
Ma i bersagli grossi a cui mira Confindustria sono altri. Quando l'intervistatore chiede a Bonomi di spiegare meglio le critiche degli industriali alla cosiddetta “fase 2” risponde: “Le imprese sono pronte e lo hanno dimostrato, basta guardare ai settori che non hanno mai smesso di produrre. C’è un punto invece che non è stato ben compreso: le imprese oggi stanno riaprendo con costi maggiori e con una produttività più bassa perché bisognerà attuare il distanziamento”. Vuol dire che gli industriali non hanno nessuna intenzione di sostenere i costi per adeguare la produzione alle nuove misure di sicurezza imposte dal Coronavirus. Non vogliono intaccare minimamente il profitto in nome della salute dei lavoratori.
 

Sospendere i contratti nazionali
Indica poi chiaramente chi deve pagare questi costi: “Bisogna avere ben presente che quella che sta iniziando è la stagione dei doveri e dei sacrifici, per tutti. Quando sento chiedere aumenti contrattuali, per esempio nell’alimentare, significa che a molti la situazione non è chiara”. Altro che premi ai lavoratori rimasti al lavoro durante l'emergenza, come veniva chiesto dall'intervistatore, questi devono tacere e sacrificarsi. Ci risiamo con la retorica del “siamo tutti sulla stessa barca”, utile solo a sottomettere gli interessi del proletariato a quelli della borghesia.
Ma Bonomi si spinge oltre: approfitta dell'emergenza per attaccare il contratto nazionale di lavoro (CCNL) e per spingere ulteriormente verso rapporti di lavoro di stampo mussoliniano quando chiede che “Il governo agevoli quel confronto leale e necessario in ogni impresa per ridefinire dal basso turni, orari di lavoro, numero giorni di lavoro settimanale e di settimane in questo 2020, da definire in ogni impresa e settore al di là delle norme contrattuali”, chiedendo di fatto la sospensione dei CCNL e di negoziare sulla base delle esigenze aziendali.
Niente di nuovo a dir la verità, perché già l'articolo 8 del famigerato “decreto Sacconi” del 2011 permetteva di aggirare i contratti nazionali. Quella legge, disconosciuta a parole dai sindacati confederali ma attuata in sordina in molte fabbriche, tra cui Fca e Ilva, permetteva di derogare praticamente su tutto e, attraverso contratti aziendali (“di prossimità” in termine tecnico), aggirare i CCNL purché con il consenso delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative o con le loro ramificazioni aziendali.
Oppure, se vogliamo trovare altra analogie, molto somigliante alle linee guida del “modello Pomigliano” di Marchionne e del Jobs Act di Renzi che affossa il CCNL e i diritti in fabbrica. Un modello corporativo di stampo fascista dove i lavoratori devono essere privati della loro autonomia, dove la lotta di classe deve essere messa da parte e le rivendicazioni operaie subordinate alle esigenze padronali aziendali, e più in generale a quella del capitalismo e dell'imperialismo italiano. Dove lo Stato mette i soldi e aiuta le imprese ma poi sono solo i padroni a decidere.
 

Soldi alle imprese, ma senza condizioni
Non si devono dare soldi ai lavoratori e ai più poveri ma l'assistenzialismo per le aziende è invece un dovere. A questo proposito in questi giorni Maurizio Stirpe, vice di Bonomi, durante le consultazioni avute con il governo per la stesura del prossimo DCPM, ha dichiarato: “Le imprese hanno bisogno di indennizzi e non di prestiti”. Praticamente Confindustria chiede la ricapitalizzazione delle aziende da parte dello Stato, senza che questo abbia la possibilità di avere indietro un euro e senza alcun potere decisionale.
Sullo stesso tema Bonomi ha dichiarato: “Lo Stato faccia il regolatore, stimoli gli investimenti... ma si fermi lì. Non abbiamo bisogno di uno Stato imprenditore, ne conosciamo fin troppo bene i difetti”. Ma non ci sono contraddizioni con quanto ha detto il suo vice, il fatto è che Confindustria vuole i soldi pubblici ma non vuole che lo Stato, attraverso quote azionarie, entri con i propri rappresentanti nei consigli di amministrazione, riproponendo la vecchia logica cara ai capitalisti italiani della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti. Invece le nazionalizzazioni sono più che mai urgenti, da Alitalia alla ex-Ilva, per salvare migliaia di posti di lavoro e rilanciare la produzione.
Riassumendo, questo è il Bonomi-pensiero: non spendiamo tanti soldi negli ammortizzatori sociali ma solo un po' di elemosina, le nuove misure di sicurezza mettiamole in pratica ma non le facciamo ricadere sulle imprese, i lavoratori devono fare sacrifici e scordarsi aumenti contrattuali, i rinnovi dei CCNL vanno sospesi e al suo posto contrattazione in base alle esigenze delle singole aziende, lo Stato deve mettere i soldi nelle tasche dei padroni in difficoltà ma nelle fabbriche non deve pretendere di avere voce in capitolo sulle decisioni o sui livelli occupazionali.
 

Rispondere con la lotta di classe
Ma se Bonomi ha le idee molto chiare su come rappresentare gli interessi degli industriali, dall'altra parte, Cgil, Cisl e Uil, hanno la stessa decisione nel rappresentare quelli dei lavoratori? Sembrerebbe proprio di no perché in questo periodo le segreterie confederali, con alla testa Landini della Cgil, parlano sempre di “unità nazionale”, di “interessi comuni”, dell'impegno di ognuno a “fare la propria parte”.
Occorre invece sviluppare la lotta di classe per ottenere la piena copertura salariale e 1.200 euro al mese per chi è senza reddito e senza ammortizzatori sociali finché dura l’emergenza del Coronavirus; per il rafforzamento e lo sviluppo del Sistema sanitario nazionale e l’abolizione della sanità privata; per l’abrogazione del titolo V della Costituzione e la relativa autonomia differenziata delle regioni; per l’abrogazione dell’articolo 81 della Costituzione che impone il pareggio di bilancio, della legge Fornero, del Jobs Act e dei decreti sicurezza; per la nazionalizzazione delle grandi aziende comprese quelle farmaceutiche e delle banche; per l’uscita dell’Italia dall’Unione europea imperialista, considerando anche che non ha fatto nulla fin qui per aiutarci nella lotta contro il virus. Contro la militarizzazione del Paese e delle fabbriche; le restrizioni dei diritti democratico-borghesi, il controllo poliziesco, il divieto di scioperare e protestare.
 

13 maggio 2020