Pandemia da coronavirus
In Italia i morti sono molti di più delle cifre ufficiali

Il 4 maggio l’Istat e l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) hanno diffuso il primo rapporto inerente l'impatto dell'epidemia Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente nel primo trimestre 2020.
Dai dati epidemiologici emerge che nel periodo 20 febbraio-31 marzo i decessi nel nostro Paese sono aumentati del 38,7% rispetto alla media degli anni precedenti.
L’indagine prende in considerazione i dati sui decessi in 6.866 comuni tra il 1° gennaio e il 31 marzo 2020 confrontandoli con gli anni precedenti evidenziando l’impatto che il coronavirus ha avuto sui decessi in Italia.
I comuni presi in esame rappresentano l’86,9% del totale e contano l’86,4% della popolazione complessiva.
Dal rapporto emerge che nel primo trimestre dell’anno si è passati da una media di 158.139 decessi nel quadriennio 2015-2019 a 175.631 morti nel 2020 con un aumento dell'11,1%.
Il coronavirus in Italia ha però iniziato a colpire da fine febbraio: pertanto, se isoliamo il periodo che va dal 20 febbraio (giorno della scoperta del primo caso a Codogno) al 31 marzo, i decessi passano da 65.592 (media 2015-2019) a 90.946 nel 2020, con un aumento di ben 25.354 unità e una percentuale del 38,7.
I decessi nel 2020 sono rimasti sotto la media dei cinque anni passati fino al 5 marzo, giorno in cui tale media è stata superata. Il numero di morti ha poi continuato a crescere: basti pensare che negli ultimi giorni di marzo si sono registrati, in media, tra i 2800 e i 2900 decessi giornalieri, quasi il doppio rispetto alla media di 1500-1600 casi degli anni passati.
Allo stesso tempo, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in questo periodo si sono registrati 13.710 decessi per coronavirus. Ma questi rappresentano solo il 54,1% dei decessi in eccesso, all'appello manca l'altro 45,9% di persone decedute che molto probabilmente erano positive al coronavirus ma non sono state sottoposte a tampone.
Segno evidente che in Italia i morti da coronavirus sono molti di più delle cifre ufficiali diffuse dal governo e dalla Sorveglianza integrata dell’Iss.
Del resto se si osservano i dati delle regioni col maggior aumento di decessi rispetto alla media degli anni precedenti, risulta che in Lombardia ci sono stati 16.084 decessi in più rispetto alla media 2015-2019, ma solo 8.362 morti per Covid-19 (52%). In Emilia-Romagna i decessi in più rispetto alla media del quinquennio precedente rappresentano il 61%, in Trentino Alto Adige il 50%, nelle Marche il 45%, in Liguria il 42%, in Piemonte il 48% e in Veneto il 51%. Tra le regioni più colpite solo la Valle d’Aosta sembrerebbe essere riuscita a intercettare quasi tutti i positivi.
Dai dati emerge anche il forte incremento della mortalità che ha colpito soprattutto le persone più anziane. Ad esempio tra la popolazione compresa tra i 95 e i 99 anni si è registrato un incremento dei decessi pari al 61% rispetto alla media dei cinque anni precedenti. Tra i 70 e i 74 anni i decessi sono invece saliti del 54%, tra i 75 e i 79 anni del 41% e tra gli 80 e gli 84 anni del 46%. Ma sono stati colpiti anche i cinquantenni: tra i 50 e i 59 anni infatti si è avuto un incremento del 20% dei decessi rispetto alla media del quinquennio 2015-2019.
Anche qui però il numero totale dei decessi ufficiali risulta ancora sottostimato perché tiene conto solo parzialmente della stage di ricoverati che si è verificata nelle Residenze sanitarie assistite (Rsa) di tutto il Paese con alla testa l'ormai famigerato Pio Albergo Trivulzio di Milano e sulla cui gestione in fase di emergenza sanitaria le varie procure hanno aperto decine e decine di inchieste.
In Italia, come ha spiegato lo stesso presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro: “è verosimile che abbiamo una sottostima rispetto ai morti riportati”.
I dati ufficiali prendono infatti in considerazione i “decessi con tampone positivo, e sappiamo che questo ne intercetta una larga parte”, ma nel caso dei decessi in casa, ha precisato ancora il presidente dell’Iss, non esistono referti clinici così come, in parte, per quelli avvenuti nelle case di riposo. Brusaferro ha assicurato che l’Iss è al lavoro con l’Istat per mettere a punto una stima più precisa del numero dei morti, ma il problema rimane.
Secondo una ricerca condotta dall’Eco di Bergamo, nella provincia lombarda a marzo sarebbero morte 4.500 persone, più del doppio rispetto ai dati ufficiali. Uno dei casi più eclatanti è quello del paese di Albino, dove lo scorso anno tra fine febbraio e fine marzo erano morte 24 persone. Quest’anno, come ha denunciato il sindaco Fabio Terzi, nello stesso periodo i morti sono stati 145, di cui solo 30 “certificati” come affetti da Covid-19.
Anche i ricercatori del Centro per i modelli delle malattie infettive dell’Imperial College di Londra stimano, in uno studio pubblicato lo scorso 30 marzo, che in Italia e in altri Paesi europei i contagiati potrebbero essere milioni. Nel nostro Paese, in particolare, le persone che hanno finora contratto il virus potrebbero essere 5,9 milioni, il 9,8% della popolazione, mentre le misure di contenimento del contagio avrebbero salvato circa 38mila vite. la presenza di migliaia di casi di morte non dichiarati va letta come un indizio del fatto che in Italia l’epidemia potrebbe verosimilmente essere molto più diffusa, e i contagiati molti di più rispetto ai casi ufficialmente censiti.
Ad ammetterlo, la scorsa settimana, era stato lo stesso capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, secondo cui il rapporto di un malato certificato ogni dieci non censiti “è credibile”.
Infine, dai dati epidemiologici sulla diffusione del virus tra la popolazione, emerge anche una significativa differenza territoriale e di genere: tra gli uomini complessivamente i decessi salgono del 48% rispetto alla media degli anni passati, mentre tra le donne l’aumento è del 31%. Una situazione completamente ribaltata rispetto al quinquennio 2015 al 2019 che invece presenta numeri di decessi costantemente più alto tra le donne rispetto agli uomini.
Mentre a livello geografico gli incrementi della mortalità variano enormemente da regione a regione: considerando sempre il periodo 20 febbraio-31 marzo, in Lombardia i decessi sono saliti del 144% rispetto alla media dei 5 anni passati. Seguono l’Emilia-Romagna e il Trentino-Alto Adige, che registrano incrementi rispettivamente del 55% e del 53%, poi la Valle d’Aosta (44%), le Marche (42%), Liguria e Piemonte (entrambe al 37%). Il Veneto ha invece registrato un incremento pari al 20%.
All’interno delle regioni esistono poi grandi disparità provinciali: nella provincia di Bergamo, la più colpita dal coronavirus, l’incremento dei decessi è pari al 429%, dal momento che si passa dai 1.180 decessi medi nel quinquennio 2015-2019 a 6.238 morti nel 2020. Seguono la provincia di Cremona, nella quale ci sono stati 1.999 decessi contro i 496 della media dei cinque anni precedenti, e quella di Lodi, dove è esploso il primo focolaio, in cui si sale da 264 a 1.056 decessi, con un incremento quindi del 300%.
Nel complesso, sette delle dieci province più colpite si trovano in Lombardia: le tre province restanti sono quelle di Parma, di Piacenza e di Pesaro-Urbino.
Se si guarda invece ai capoluoghi di provincia più colpiti, si ha che nella città di Bergamo i decessi sono saliti del 341%, a Cremona del 310% e a Lodi del 275%. Dei dieci capoluoghi più colpiti, cinque si trovano in Lombardia: oltre a questi tre ci sono infatti anche Brescia e Lecco.
Osservando poi i dati dei cinque principali capoluoghi di regione del nord Italia, si nota un incremento del 56% dei decessi a Milano, mentre a Torino l’aumento è dell’11%, a Genova del 36%, a Bologna del 21% e a Venezia del 9%.
Una strage che poteva essere benissimo ridotta nella sua portata se i vari governi sia di “centro-destra” che di “centro-sinistra” ivi compreso l'attuale Conte 2 che si sono succeduti alla guida del Pase avessero adottato una politica sanitaria basta su maggiori investimenti e non sugli odiosi tagli di personale, chiusura di interi ospedali e privatizzazione dei servizi che di fatto hanno determinato lo smantellamento del Sistema sanitario nazionale.
Ecco perché il tasso di mortalità complessivo è del 9.8% in Spagna, dell’1,8% in Germania e di ben il 12,5% in Italia.
La spesa sanitaria in Italia è stata pesantemente tagliata di ben il 40% nel corso dell'ultimo decennio. Un rapporto della Corte dei Conti evidenzia sia lo squilibrio territoriale della spesa sanitaria (inferiore nelle regioni del Sud rispetto al Centro-Nord) sia la minore spesa italiana rispetto ai principali Paesi europei.
Secondo gli ultimi dati Ue, infatti, Francia e Germania spendono per la sanità l’11,3% del PIL, contro l’8,9% della Spagna e l’8,8% dell’Italia. L’Italia è anche tra i Paesi europei che spendono meno per abitante (2.287 euro), come la Spagna (2.221), contro i 4.459 tedeschi e i 3.992 francesi.

13 maggio 2020